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 2009  febbraio 01 Domenica calendario

FASCINO DI VIENNA IMPERIALE TRA AMMIRAZIONE E RIMPIANTI


A proposito della sua risposta sui cognomi degli ebrei tedeschi le riferisco quanto mi raccontava mia madre.
Quando si ritenne opportuno di dar loro un cognome, essi venivano convocati davanti a un giudice o a un funzionario, che chiedeva loro «Wie wollen Sie heissen?» e la rispettosa risposta generalmente era «Wie Sie heissen, will ich heissen», dove l’ambiguità stava nel doppio significato di «heissen», chiamarsi o ordinare, cioè «mi voglio chiamare come lei si chiama oppure come lei ordina». Da qui, nel caso di un funzionario cortese derivano cognomi, anche per i sudditi ebrei, tipicamente tedeschi; in caso invece di uno «spirito bizzarro» tutto uno sbocciare ironico di cognomi idilliaci richiamanti un mondo di fiori, profumi, boschi, campi, uccellini cinguettanti, tanto più quanto più l’ebreo in questione era trasandato e «scuro» nell’aspetto e nel vestire. Una piccola preghiera: non sia così severo con il passato Impero Austro-Ungarico. Per lei, di origine veneta, l’Austria fu certo tradizionalmente sentita come una potenza straniera occupante, ma per altre terre, come Trieste, che all’Austria volontariamente si affidò, a parte alcune eccezioni risalenti a epoche influenzate dai nazionalismi, essa fu simbolo di governo corretto, onesto, efficiente e generoso.
Elena Mazzaroli Sanga
gesanga@alice.it Cara Signora,

Grazie anzitutto per i ricordi di sua madre. Cercherò di rispondere alla seconda parte della sua lettera. Qualche giorno fa ero a Salisburgo dove ho fatto una conferenza nell’Alte Residenz, lo splendido palazzo barocco del principe arcivescovo. Dietro il podio da cui ho parlato vi erano due grandi quadri di Francesco Giuseppe. Il primo è un ritratto del giovane re imperatore, dipinto intorno all’anno della sua ascesa al trono (1848): alto, magro, la fronte leggermente stempiata, il corpo stretto nella giacca bianca degli ufficiali austriaci. Il secondo, dipinto agli inizi del Novecento, ritrae un vecchio signore ormai calvo e appesantito dagli anni. Ma nel volto quasi nascosto da baffi, barba e favoriti, gli occhi sono vivi e lanciano all’osservatore uno sguardo paterno, quasi affettuoso. In una stanza vicina, invece, è conservato, insieme ad alcuni ricordi del giovane Mozart, il ritratto del suo geloso protettore, il principe arcivescovo Hieronymus Joseph Franz de Paula Colloredo von Wallsee und Mels. I Colloredo avevano un castello in Friuli che fu abitato dal giovane Ippolito Nievo e ispirò in parte la descrizione del castello di Fratta nelle «Memorie di un italiano».
Questi volti e queste memorie non mi sono estranei. Il nonno paterno nacque italiano in Friuli nel 1872 da genitori che erano stati fino a sei anni prima cittadini dell’Impero. Per molto tempo la famiglia di mio padre ha abitato a pochi chilometri da Cervignano, dove passava sino al 1918 il confine italiano-austriaco. Quando un ragazzo della nostra casa voleva proseguire gli studi e specializzarsi, soprattutto in medicina, le destinazioni preferite erano Vienna e Graz. Anch’io, quando decisi di fare una esperienza giornalistica nel mondo di lingua tedesca, andai a Vienna. Mi preparai al viaggio leggendo uno stupendo e struggente affresco culturale e sociale della città negli anni che precedettero la Grande guerra. «Il mondo di ieri» che Stefan Zweig scrisse durante l’esilio in Brasile prima del suicidio. Credo quindi di appartenere a quel club di incurabili nostalgici della Mitteleuropa di cui è presidente onorario, non soltanto in Italia, Claudio Magris.
Ma la nostalgia non mi vela lo sguardo e non mi impedisce di riconoscere che l’Impero fu, negli ultimi decenni della sua esistenza, gravemente malato. Il suo tasso di sviluppo economico era inferiore a quello dell’Italia e della Germania. La sua società politica era divisa da profonde divergenze sul destino della Duplice Monarchia. Vienna fu un prodigioso vivaio di intelligenze, movimenti artistici, sperimentazioni culturali. Ma fu anche la culla dell’antisemitismo, di Hitler e di uno sciovinismo germanico che contribuì ad accrescere il nazionalismo dei suoi molti popoli. Sulle responsabilità della Grande guerra sono state scritte intere biblioteche. Ma quelle dell’Austria furono probabilmente le più gravi. Sono queste, cara Signora, le ragioni per cui provo un po’ di fastidio quando ascolto certi rimpianti asburgici diffusi in alcuni ambienti delle nostre regioni orientali. Non sono severo con l’Austria- Ungheria, ma, se mai, con coloro che rimpiangono i suoi aspetti peggiori.