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 2009  febbraio 05 Giovedì calendario

MARIO SECHI PER PANORAMA 5 FEBBRAIO 2009

Caso Genchi Dal ministero della Difesa al Viminale. Forza Italia, i Ds e la Margherita. Pisanu, Mastella, Minniti... E poi i vertici dei servizi segreti e della Finanza, magistrati e carabinieri. Ecco chi, e come, veniva «pedinato» dal superconsulente.

Può lo Stato essere messo sotto controllo? Eccome se può. Il ministero degli Esteri, per esempio: due utenze sottoposte a monitoraggio del traffico. Attività produttive: un’utenza. Trasporti: un’utenza. Comunicazioni: un’utenza. Difesa: due utenze. Marina mercantile: un’utenza. Presidenza del Consiglio: sei utenze. Una decina per il ministero della Giustizia. Va peggio di tutti al regno della sicurezza, il Viminale: decine di utenze controllate. Non si salvano la presidenza della Camera e quella del Senato. La Guardia di finanza è auscultata in tutta Italia. Non sono sicuri i telefoni di Margherita, Udc, Ds, Forza Italia.
L’elenco bipartisan dei parlamentari senza privacy, presenti e passati, va da Clemente Mastella (Udeur) a Gianni Pittelli (Forza Italia), da Giovanni Kessler e Marco Minniti (Pd) a Beppe Pisanu (Forza Italia). Neppure i servizi segreti sfuggono al Grande fratello: sei utenze del Sismi osservate speciali, tra cui quelle del direttore Nicolò Pollari, del responsabile dei centri Sismi del Nord Italia Marco Mancini e del generale dei carabinieri (ora defunto) Gustavo Pignero.
Non sfugge alla rete la Direzione nazionale antimafia: controllato il numero del procuratore nazionale Piero Grasso, come quelli dei magistrati Alberto Cisterna, Nicola Gratteri ed Emilio Ledonne. Tenuto d’occhio il sostituto procuratore Francesco Mollace. Ispezionato telefonicamente il capo degli ispettori del ministero della Giustizia, Arcibaldo Miller.
Nella categoria avvocati troviamo Massimo Dinoia. Naturalmente in questa galleria non può mancare l’Autorità del garante della privacy rappresentata dal vicepresidente Giuseppe Chiaravalloti. Ciliegina sulla torta di «Interceptor», ecco spuntare il nome di Giuliano Tavaroli, ex capo della sicurezza Telecom, e i numeri telefonici della Pirelli.
«Il più grande scandalo della storia della Repubblica» l’ha definito Silvio Berlusconi. Scorrendo l’elenco dei nomi e delle istituzioni sotto controllo, di cui Panorama rivela alcuni dettagli, il presidente del Consiglio non ha tutti i torti.
Anche Francesco Rutelli, presidente del Copasir (il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), è preoccupato. Le istituzioni scoprono di essere vulnerabili: politici, magistrati, alte cariche dello Stato, uomini dei servizi e della Guardia di finanza sono monitorati nei loro contatti telefonici, nei loro scambi per via elettronica e nei loro spostamenti.
Al centro di tutta questa attività ci sono un uomo, Gioacchino Genchi, un magistrato, Luigi De Magistris, e un metodo investigativo che è dilagato al punto da assumere la forma sinistra di una ragnatela nella quale perfino lo Stato è impigliato.
Da Castelbuono alla Rete
Genchi Gioacchino da Castelbuono (Palermo) non è un investigatore di paese. Vicequestore in aspettativa sindacale alla questura di Palermo, 49 anni, uomo di grande sicurezza ed ego smisurato, è probabilmente il più abile e intelligente detective informatico d’Italia. Il suo pensiero è sofisticato, la sua conoscenza del software e dell’hardware sorprendente. Il suo talento micidiale ha cominciato a rivelarsi fin dagli anni Ottanta, quando «smanettava» sui primi pc in commercio. Nel 1985 entra in polizia e già dopo tre anni il capo della Polizia di Stato, Vincenzo Parisi, lo mette alla testa della direzione telecomunicazioni del ministero dell’Interno per la Sicilia occidentale. Carriera fulminante.
Nel 1996 diventa consulente tecnico dell’autorità giudiziaria. Su incarico del Csm tiene corsi di formazione e aggiornamento per magistrati e uditori giudiziari. In breve, Genchi diventa un punto di riferimento: «I risultati del mio lavoro sono consacrati in centinaia di ordinanze, di sentenze e di pronunce alla Corte di cassazione» si vanta sul suo sito web. vero, ma la sua attività vista in controluce ha più di una zona oscura. Tanto che già nel 1993 Ilda Boccassini, allora sostituto procuratore di Caltanissetta, drizza le antenne e si scontra con Genchi, che all’epoca è il tecnico del pool investigativo sulla strage di Capaci e vuole allargare l’indagine ai contatti telefonici privati e alle carte di credito di Giovanni Falcone. O me o lui, dice «Ilda la rossa». E la spunta.
Questione di metodo
De Magistris, sostituto procuratore a Catanzaro, non si pone tutti questi dubbi e ricorre al «metodo Genchi» per le sue inchieste Why not e Poseidon. Così il lavoro dell’uomo venuto da Castelbuono esce dal cono d’ombra. Le indagini partono da presunti casi di malaffare locale e si allargano a macchia di leopardo fino a toccare le più alte istituzioni dello Stato.
Nel 2005 l’inchiesta Poseidon, nata su un uso illecito dei fondi europei, accende i fari su Walter Cretella-Lombardo, ufficiale della Guardia di finanza, consigliere dell’allora commissario europeo Franco Frattini, e tocca Lorenzo Cesa (segretario Udc) e Giuseppe Chiaravalloti, presidente della Regione Calabria e oggi commissario del garante della privacy. Nel 2007 l’inchiesta Why not ha il colpo d’ala quando De Magistris, seguendo le tracce (informatiche e telefoniche) di Antonio Saladino, presidente della Compagnia delle opere in Calabria, arriva fino a Romano Prodi e Clemente Mastella (per entrambi è giunta l’archiviazione).
La pesca a strascico
 durante queste indagini che Genchi dispiega il suo metodo: la pesca a strascico per via elettronica. Una gigantesca rete che intrappola tutti i pesci, grandi e piccoli, che nuotano nel suo raggio d’azione. Genchi, su autorizzazione del magistrato, chiede ai gestori della telefonia italiana i dati anagrafici di migliaia di utenze e i tabulati del traffico in entrata e in uscita. Organizza il monitoraggio dei numeri sospetti e ricostruisce, attraverso un’analisi incrociata delle telefonate, i rapporti fra i titolari. Usa le connessioni telefoniche per consentire alla magistratura di fare connessioni investigative: perché Genchi è più che un mero fornitore di tabulati: è l’eminenza grigia delle indagini.
Su autorizzazione del solo De Magistris, Genchi accumula 578 mila schede anagrafiche e 1.042 tabulati, controlla 390 mila persone e 1 milione di contatti telefonici. Non sappiamo quali dati abbia archiviato attraverso altre consulenze e soprattutto chi conservi oggi questi dati.
Genchi sostiene che non ci sono intercettazioni, soltanto analisi dei tabulati telefonici. Il problema è che i dati del traffico sono come un pedinamento: attraverso il sistema delle celle si è in grado di controllare non solo le chiamate in entrata e in uscita, ma gli spostamenti del titolare del telefonino e ovviamente gli sms e la posta elettronica. Lecito e illecito, mogli, mariti ed eventuali amanti, amici, affari, passioni, odi, gioia e dolore. Tutto finisce nel calderone elettronico.
L’Italia, vale la pena di ricordarlo, è uno dei paesi con la massima diffusione di telefonini nel mondo. Ma c’è un orwelliano Grande fratello che tutto vede e tutto sa. Genchi non è il solo a svolgere quest’attività di pesca: i consulenti delle procure sono centinaia e a questi bisogna aggiungere i detective privati e i responsabili della sicurezza delle aziende in stile Tavaroli.
Chi controlla Interceptor?
Perfino i dati raccolti lecitamente sono a rischio. «Un consulente dell’autorità giudiziaria, secondo la legge, è equiparabile a un pubblico ufficiale e quindi è tenuto a rispettare gli stessi obblighi che vigono in un ufficio giudiziario» ricorda l’avvocato Giovanni Guerra, 43 anni, otto anni di lavoro all’Autorità sulla privacy, uno dei massimi esperti di nuove tecnologie, diritti della persona e comunicazioni elettroniche. Perfetto, ma, chiuso il rapporto di consulenza con i magistrati, siamo certi che i dati vengano conservati secondo quanto dispone la legge? O la tentazione di farsi un backup (salvataggio dei dati) illecito su un server delle Isole Cayman è troppo forte? Siamo certi che le informazioni delicate non finiscano nelle mani di qualche ricattatore o vengano utilizzate per fini illeciti?
Guerra spiega che «per finalità di giustizia penale i dati devono essere conservati in strutture di massima sicurezza. Anche gli accessi ai dati da parte degli amministratori di sistema devono essere tracciati. In America c’è stato un adeguamento dopo l’11 settembre». E in Italia? Le norme ci sono, ma sui controlli il dubbio è più che lecito.
Si è disquisito sulla differenza sostanziale tra intercettazioni e il semplice tracciamento dei dati. In realtà un tabulato senza conversazioni può fornire un sacco di notizie private e per niente neutre, soprattutto se consideriamo l’intestatario delle utenze, i suoi contatti e i suoi spostamenti. Secondo Guerra, intercettazioni e traffico dati «in sostanza sono equiparati: c’è una lesività maggiore nell’intercettazione, ma un’altrettanto grave lesione c’è quando si pongono sotto monitoraggio gli spostamenti telefonici. Esistono software in grado di ricostruire la tua posizione geografica mentre sei al telefono».
 sicuro un paese dove i membri della Direzione nazionale antimafia possono essere localizzati quando e come si vuole? sicuro un paese dove il Parlamento e il governo sono sotto scacco telefonico? sicuro un paese dove il direttore del servizio segreto non ha più un segreto? Semplicemente: è un paese?