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 2009  gennaio 31 Sabato calendario

IN ITALIA C’E’ UN PANDA CHIAMATO PARMALAT


Parmalat è il panda del capitalismo italiano: un animale raro. rinata da una ristrutturazione trasparente e di mercato, che non ha avvantaggiato alcun interesse particolare. una multinazionale (70% del fatturato all´estero), ma non produce "Made in Italy". Non è "tascabile" come molte imprese esportatrici: con 4 miliardi di fatturato, è tra i primi 15 gruppi industriali. quotata in Borsa, ma non ha un azionista di controllo. Come il panda, però, è a rischio di estinzione.
Parmalat in Borsa vale 2,1 miliardi, ma ha 1,1 miliardi di liquidità, frutto delle azioni legali. Quindi, tolta la cassa, si può acquistare tutto il capitale sborsando appena un quarto del suo fatturato. Le attività industriali sono valutate dal mercato appena 5 volte il risultato operativo netto (utile prima delle imposte, oneri finanziari e dei ricavi da azioni legali): meno della metà dei multipli dei colossi europei del settore (Nestle, Unilever, Danone). La valutazione depressa di Piazza Affari non è solo conseguenza della crisi generalizzata. Parmalat ci ha messo del suo: chi ha investito 100 euro alla quotazione (autunno 2005) se ne ritrova oggi 46 (inclusi i dividendi), circa la metà di quanto avrebbe ottenuto investendo nell´indice europeo degli alimentari.
Il problema è la redditività: troppo bassa, con un risultato netto pari al 5,6% del fatturato nel biennio 2007-2008, rispetto al 14% medio dei leader europei. Parmalat è ancora troppo concentrata sul latte, segmento tra i meno redditizi, anche perché il costo della materia prima è spesso sostenuto artificialmente. Poi c´è la dimensione: troppo grande per un´azienda di nicchia; troppo piccola per investire e avere peso in più paesi, con più marchi e prodotti. Così la redditività industriale sul capitale investito si ferma al 12%, rispetto al 19% dei leader. Valutazione depressa e liquidità abbondante: un´occasione irresistibile per scalarla e venderne i pezzi più pregiati. Lo Statuto societario è un ostacolo, ma le barriere anti-scalata decadono fra un anno. Altro rischio è che i soci, ingolositi dalla liquidità, esigano un maxi dividendo straordinario, privando la società delle risorse per crescere. E c´è infine il rischio che si rispolveri il progetto di fusione con Granarolo, gruppo lattiero-caseario indebitato e in perdita: con la liquidità di Parmalat, e meno concorrenza, si potrebbe rimettere in carreggiata, per la gioia di creditori, produttori di latte (e loro padrini politici), coop emiliane (che controllano Granarolo), e con la benedizione di Intesa Sanpaolo, socio in entrambe. "Il campioncino nazionale": un film scadente e già visto.
Per Parmalat è arrivato il momento di muoversi molto rapidamente con acquisizioni mirate, puntando su nuovi prodotti (cioccolato, caffè, acqua minerale), marchi di nicchia e paesi in forte crescita. Priorità: aumentare margini e dimensioni. Investire ancora nel latte non sarebbe lungimirante. Parmalat ha la liquidità per crescere; ma anche la possibilità di usare il capitale per le fusioni, non avendo azionisti di controllo timorosi di essere diluiti.
Contro il rischio di estinzione, però, il viatico migliore per il panda è superare la sua ritrosia ad accoppiarsi. Così, anche per Parmalat. Idealmente, potrebbe cercare un gruppo con cui fondersi, di dimensioni simili, in possesso di marchi forti e prodotti diversi, presente all´estero in mercati dove Parmalat non c´è. Viene in mente una società come Ferrero. Il nuovo gruppo avrebbe subito dimensioni e caratteristiche per avvicinarsi ai leader europei; permetterebbe ai Ferrero, diventati azionisti di controllo nella nuova entità, di accedere al mercato dei capitali senza l´iter della quotazione, e di assicurare un futuro di crescita a una grande azienda familiare. E il gruppo si ritroverebbe anche la liquidità per ulteriori acquisizioni. E´ solo una mia fantasia. Ma esemplifica la creatività, determinazione e rapidità necessaria a Parmalat per sopravvivere e prosperare.