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 2009  febbraio 01 Domenica calendario

SILVIO ORLANDO


In Silvio Orlando gli opposti si toccano. Ha lavorato a suo tempo per la Fininvest, e in occasione di un programma molto censurato ebbe modo di incrociare Berlusconi che per intuito personale (e per parere unanime delle sue guardie del corpo) lo salvò dai tagli apportati a quel format televisivo. Poi, al di là degli equilibrismi per far convivere il varietà tv Emilio a Canale 5 e film come Palombella rossa o Il portaborse, il destino ha voluto che due anni fa fosse lui il protagonista umano e infelice del Caimano di Nanni Moretti, che di Berlusconi è stato il ritratto-apologo più spietato. Ha fama incontestabile d´essere un artista di fine e solido talento ma lui sostiene che la prima qualità per recitare è solo la pazienza. Ti dice che la «recitazione» (con le virgolette) è una malattia infantile dell´attore, e che lui «recita» solo nei momenti morti della sua carriera, ma intanto il suo essere artista, che «reciti» o no, gli è valso la Coppa Volpi all´ultimo Festival di Venezia per l´interpretazione de Il papà di Giovanna di Pupi Avati. Fa l´attore ma si schermisce spiegando che dietro ogni attore c´è in fondo un musicista fallito, e lui suona il flauto e il sax con una band (preferisce chiamarla «banda»), la S.N.A.P., che sta per Senza Nulla A Pretendere, capitanata dal maestro Raia, che dà concerti qua e là.
 eminentemente, squisitamente e contemplativamente un comico, Silvio Orlando, ma dal punto di vista umano, e in certi casi nella professione, ha in serbo anche una malinconia, una flemma, un mistero quasi oscurato da una zona d´ombra. Dopo anni di confidenze e chiacchiere di lavoro, ora, per caso, ce ne parla. «All´inizio di tutto c´è un dolore, con cui non è facile fare i conti. Un piccolo mostro col quale lotti, che non riesci a dominare. Nella storia di ogni artista ce n´è un segno, nascosto da qualche parte. Scavando, esce fuori. un punto di partenza che poi in genere viene sommerso dalla tecnica, dalla pratica, dal mestiere. Ma di fondo, c´è. Molti degli attori sono orfani di genitori, di tutti e due o di uno. Io, se devo trovare una cosa che mi rende diverso, è il non essere mai riuscito a risolvere il sospeso con una stanza. Borges citava avvenimenti della vita che se chiudi gli occhi ti riaccadono in eterno. La camera dove è morta mia madre quando io avevo nove anni, me la porto dentro sempre, anche se faccio una cosa comicissima. Riemerge. Nel Caimano di Nanni c´era ad esempio l´ossessione di non riuscire a trovare un pezzo di Lego giallo da 12, un´immagine straordinaria che poteva quasi valere il film, un frammento mancante d´una felicità incompiuta. Io quel pezzetto lì lo sto cercando e non lo troverò mai».
 convinto che magari sia una fortuna. «Meglio che un attore sia lontano dalla perfezione. Resta comunque un vuoto, un´incompiutezza, un qualcosa di sospeso che non si placherà mai. Per cercare di venirne a capo ho fatto pure percorsi psicanalitici, non credendoci tanto. Allora non resta che guardare in faccia questa cosa col mestiere. Sembra cinismo? Eppure è nel lavoro che trovi un risarcimento contro il dolore. Anzi, col mestiere il dolore può diventare utile. Qui s´intromette la coscienza, che a volte non tollera la professione del far ridere basata su un´ansia irrisolta. Il rapporto tra causa e effetto ti sembra un trucco, una cosa brutta. Ma attore sono e attore resto».
Parla di sé in modo pacato, s´è tolto per un po´ la maschera, e d´altronde Orlando, napoletano, classe 1957, ha proprio la delicatezza e la sensibilità di un Cancro mai guidato dalla ragione, dal calcolo, dall´apatia artistica. «Chissà perché parlo di un buco che c´è sempre, che niente ha riempito. E pensare che noi al Sud abbiamo un pudore di ferro, non ci apriamo, stiamo attenti a non piangerci addosso. Per il nostro rapporto con la dignità». Fu uno sguardo ricevuto, e un furtivo senso di potenza, a cambiargli la vita, quand´era ancora piccolo, già colpito dalla mancanza materna. «Avvenne a scuola. Un´insegnante mi fece interpretare a memoria una cosa, e poi mi guardò in un altro modo. Anche i compagni. Avvertii una forza, un ascendente. E c´ero arrivato senza fatica, senza calcoli mnemonici, tabelline. Non ci fu seguito, ma a diciotto anni, obbligato da un mio amico avvocato, in un teatrino da cinquanta posti presi parte alla ricostruzione farsesca d´un processo ai Nuclei armati proletari, nei panni di un imputato non politico, col compito di suonare anche un flauto: mi dettero piacere le risate, le reazioni, l´ondata d´attenzione che sentivo. Un dubbio ce l´avevo: ero io che li facevo ridere o loro ridevano di me?».
Poi mise a punto altri tentativi con Tonino Taiuti, Antonio Neiwiller, Renato Carpentieri. Assemblaggi di teatro popolare, con al centro l´attore. «Noi rimanevamo di proposito in un solco antico, mentre in teatro s´affermava una nuova spettacolarità con diapositive e molto uso del corpo ad opera di Martone e Servillo, che più tardi hanno recuperato la parola». Ma in materia di comunicazione ci fu anche un´altra fonte di ammaestramento, per Silvio Orlando: il padre. «Era un esempio di cosa significhi essere affabili, estroversi. Lui teneva banco, faceva il commesso viaggiatore e vendeva cose che non sapeva come funzionassero. Era un uomo di grande positività, aveva cinquant´anni quando sono nato io, e questa età matura gli forniva anche un velo di disincanto, la cosa che in definitiva m´ha trasmesso di più. Andava a Milano a vendere macchine fotografiche, mentre noi vivevamo a Napoli, al Vomero, zona senza una storia propria, Eldorado anonimo riservato alla piccola borghesia che guarda dall´alto il proletariato del centro storico. Io la città vera l´ho scoperta tardi, da solo, dopo essere cresciuto facendo a meno di spazi comuni, piazze, rapporti umani».
Diventare attori senza una gavetta sociale, senza l´apprendistato dell´amicizia, è una faccenda strana, per un artista meridionale. Ma Silvio trovò i rimedi. «Conobbi un po´ di vita in comune al liceo, nelle esperienze musicali più vicine alla Nuova compagnia di canto popolare che al rock, nella sezione del Pci (anche se prevalse una noia mortale perché si ragionava come nel comitato di un partito sovietico), e ci fu uno sdoganamento attraverso le vicende sentimentali, anche se nel pianeta femminile sono atterrato tardi». Viene fuori pian piano il ritratto di un napoletano fuori catalogo. «Beh, io appartengo a una categoria di esseri umani normali su cui non pesa l´egemonia della città. A volte l´amor proprio e il contegno sembrano un lusso estremo. Ma il peggio ti può capitare nel mondo del lavoro, dove spesso prevalgono superficialità e mancanza d´amore, tanto da indurti ad avere poco rispetto per ciò che fai. Qui un piccolo merito credo d´essermelo ritagliato dando voce a personaggi che tengono l´anima coi denti, vedi Il portaborse, il professore della Scuola, Ferie d´agosto, la figura in crisi del Caimano, il marito in Questi fantasmi a teatro, fino al Papà di Giovanna».
Quando parliamo del suo carattere, dell´indole che adotta e che vive in film e spettacoli, fa un´ammissione sorniona. «Mi viene istintivo suscitare un senso di preoccupazione in chi mi vede. Io sono classicamente l´uomo-che-prende-gli-schiaffi, e la gente che mi ha davanti può chiedersi: io che farei al suo posto? anche questione di fisiognomica, che nel mondo dello spettacolo conta come in nessun altro mestiere. Se sei alto meno di 167 centimetri sai bene in che rapporto sei con gli occhi degli altri. Posso anche fare il prepotente, ma è come quando Pavarotti cantava Satisfaction (della serie "Apprezziamo, maestro")». Gli è restato sempre impresso, come un tatuaggio, e ci si è sempre riconosciuto, il primo giudizio critico ricevuto da Repubblica ai tempi di Comedians, quando era in scena con Bisio, Rossi e Catania: «Recita l´inanità, ne fa un´arte». Non dimentica Gino e Michele che lo aiutarono a confezionare pezzi di cabaret con cui entrò negli studi della Fininvest per quattro stagioni. «I comici erano unti dal Signore, per Berlusconi, e una volta, incontrandomi, lui disse "Orlando, lei è qui. Se lo avessi saputo, avrei sciolto i cani" e intanto sorrideva».
Abbiamo di fronte un attore che oggi è un beniamino del pubblico sia a teatro che in cinema. «L´equilibrio me lo dà il mercato. Una faccenda fisiologica. Scompari e ricompari. A me piace la gregarietà, l´essere chiamato. Apparterrò a una mentalità vecchia, ma l´attore che chiama un regista, o che si propone, rinuncia alla propria dignità. L´unica proposta a cui a livello umano mi dispiacque di non dire sì fu una cosa chiestami da Troisi. Ma lavoro bene con la gente più diversa, anche "in contraddizione". Vado avanti con un misto di flessibilità e di coerenza». Il legame con Nanni Moretti è noto, e non poggia su alcun cameratismo. «La complicità non è producente, soprattutto nei confronti di Nanni, anche perché quello che io consento a un regista è più di ciò che consento a un amico. Ho grande riconoscenza nei suoi riguardi, e sostengo che la fortuna è incontrare persone giuste che t´insegnano ad amare il lavoro. Avrei fatto questo mestiere anche senza Nanni, ma non così».
Proviamo a individuare qualche momento decisivo della sua carriera. «Lo sblocco l´ho affrontato reggendo un arco di tempo lungo sullo schermo per Il portaborse, con tutti gli stati d´animo del protagonista, poi c´è stato il genitore con figli complicati nel Caimano di Moretti, e senz´altro quest´ultimo personaggio del padre nel film di Avati, che ha rappresentato una difficoltà e ha prodotto un effetto sorpresa, m´ha reso consapevole di certe corde dopo trent´anni di lavoro. Emozionandomi, anche». Due film su tre di quelli che cita implicano un ruolo paterno, un ruolo che Orlando non conosce ancora nella vita. «Sì, non ho avuto finora figli, e penso che mentre per la madre è un fatto biologico, la condizione di padre è di fatto uno stato intellettuale, di uno che comincia a parlare con un esserino...». Sorride, con la sua flemma. S´è sposato un mese fa a Venezia con la sua compagna, l´attrice Maria Laura Rondanini. «Ho annunciato il matrimonio il giorno del premio, e lei non lo sapeva che l´avrei fatto così pubblicamente. L´avevamo deciso da tempo. Lei è la persona che più mi ha aiutato negli ultimi dieci anni, che mi ha reso possibile accettarmi».
Sullo scenario prossimo venturo è tranquillo, fatalista, naturale. «Ho finito Ex di Fausto Brizzi, film molto comico, alle prese con un magistrato divorzista. E poi con Anna Bonaiuto, Michela Cescon e Alessio Boni sto per far parte del quartetto teatrale, nel ruolo del padre d´un ragazzo preso a randellate per bullismo, de Il Dio della carneficina di Yasmina Reza». Ancora un padre. Sorride. Quasi chiudendo gli occhi. Come fa lui. Con la modestia di un flautista-sassofonista imprestato allo spettacolo.