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 2009  febbraio 01 Domenica calendario

PUTIN, AFFARI SOTT’ACQUA


Scorie nucleari e affari più o meno opachi con l’«amico Putin». Il governo Berlusconi ci riprova. E presenta in senato un emendamento al disegno di legge 1195 («norme su sviluppo, internazionalizzazione delle imprese ed energia») che affida a un super-commissario ad acta tutta la gestione dello smaltimento dei rifiuti nucleari dei sommergibili russi in disarmo.
Il «codicillo» arrivato da palazzo Chigi sfila alla Sogin (la spa interamente di proprietà del ministero del Tesoro che ha il compito di gestire il nucleare italiano) tutti gli affari con la Russia e istituisce un ufficio a parte che risponderà di una contabilità speciale, separata, istituita presso la tesoreria provinciale di Roma. Pagato con stipendi d’oro in deroga al tetto dei dirigenti pubblici. In sostanza, un uomo solo al comando riceverà e gestirà tutti i fondi statali per i sottomarini ex sovietici e lo smaltimento delle armi chimiche russe senza rendere conto dei suoi bilanci a nessun ministero.
Oltre alla delicatezza della questione - la messa in sicurezza dell’arsenale nucleare e chimico ex Urss non è cosa da affrontare con leggerezza - si tratta per quanto riguarda l’Italia di un giro d’affari gigantesco, avviato fin dal 2003, che ammonta a ben 720 milioni di euro. Soldi prelevati, centesimo dopo centesimo, da una voce speciale delle bollette elettriche di tutti gli italiani. Ma per capire che c’entrano le nostre lampadine con gli «Ottobre rosso» arenati a Murmansk bisogna fare un passo indietro.
Nel 2002 tutti i paesi del G8 si impegnarono a mettere 20 miliardi di dollari per la distruzione delle testate atomiche dell’ex «impero del male». L’accordo bilaterale Italia-Russia a questo riguardo fu firmato da Berlusconi e Putin il 5 novembre del 2003 (ratificato con la legge n. 160 del 31 luglio 2005). Nella stessa occasione, tra l’altro, in cui a Roma Berlusconi difese a spada tratta la repressione russa in Cecenia attirandosi la censura del Parlamento europeo. Ma mentre la maggior parte degli altri paesi, Usa compresi, nel corso degli anni hanno più o meno congelato il proprio impegno, solo l’Italia del Cavaliere è sempre andata avanti come un treno.
Se necessario anche con operazioni spregiudicate. L’inedito «commissario ai sommergibili» infatti non è una novità. Già alla fine del 2004 l’allora ministro berlusconiano Antonio Marzano provò a introdurlo alla chetichella (ma senza riuscirci) nel decreto sulla competitività. Oggi ci risiamo. Nonostante a cinque anni di distanza da quell’accordo, cioè a metà progetto, si siano spesi centinaia di milioni con pochi risultati visibili.
Eppure il testo approvato in parlamento prometteva solennemente lo smaltimento di «circa 15 sottomarini all’anno». Ma è la stessa Sogin ad ammettere oggi sul suo sito che «allo stato attuale è in corso di svolgimento lo smantellamento di un primo sottomarino nucleare». Coraggio, viene da dire, ne restano altri 116. Secondo la relazione che accompagnava l’accordo bilaterale, infatti, la Russia ha dismesso all’inizio degli anni ’90 ben 193 sottomarini nucleari, di cui 117 dislocati nel mar Baltico. Di questi, 37 avevano ancora a bordo i due reattori necessari alla propulsione navale. «Migliaia di tonnellate di rifiuti radioattivi» - si legge sempre nella relazione al parlamento - sono conservate nelle baie di Murmansk e Arkhangelsk in «depositi spesso saturi e in cattivo stato». Tanto che la radioattività della zona «è paragonabile a quella di Chernobyl». Intervenire si doveva. Ma come controllare le spese effettuate?
L’accordo, tanto per andare al sodo, prevede all’articolo 11 un’esenzione fiscale totale per l’Italia: tutti i soldi spesi a favore della «grande madre Russia» per personale, interventi o progetti nel settore nucleare sono esenti da qualsiasi tassa, dazio o imposta regionale e locale. Dunque da una rendicontazione fiscale a Mosca. Lo stato italiano paga. E nessuno controlla. In più, se qualche cittadino russo viene contagiato dalle radiazioni perché l’Italia non fa il suo dovere o lo fa male c’è una clausola esplicita che esonera il nostro paese da qualsiasi responsabilità legale e risarcitoria.
Stando ai bilanci Sogin, negli anni si creano uffici e si fanno viaggi soprattutto a Mosca. Secondo il rendiconto 2008 pubblicato su Internet per una benefica disposizione del governo Prodi, i sei consulenti russi nell’ufficio della capitale hanno ricevuto 293.600 euro di stipendi (circa 4mila euro al mese ciascuno). Mentre solo i costi di trasferta dei cinque funzionari italiani, almeno nel 2005, erano circa il doppio. Un miliardo di vecchie lire all’anno.
Se nel frattempo non si è smaltito neanche un sottomarino si è però già pensato a come trasportare il materiale radioattivo. Nel luglio scorso il ministro Scajola, senza nessuna gara europea grazie all’accordo bilaterale, ha affidato a Fincantieri il compito di realizzare una complessa nave «porta-scorie» la cui progettazione è costata 6,7 milioni di euro. E’ una commessa che vale da sola 71,5 milioni di euro.
Fincantieri prevede che la nave sarà varata a fine 2011.Ma l’Italia, nonostante la spesa, non la userà mai. Lo stesso accordo Putin-Berlusconi, infatti, la affida direttamente alla società armatrice Atomflot, affidataria diretta del Centro federale russo per la sicurezza nucleare. Dunque gli italiani pagano, i russi usano. Senza che finora nessuno sappia, almeno pubblicamente, verso dove viaggeranno, magari per sempre, i rifiuti nucleari della marina ex sovietica.