La stampa 2/2/2009, 2 febbraio 2009
SARA’ L’INVERNO DELLO SCONTENTO?
Perché i cittadini di mezza Europa manifestano nelle strade?
Tutto ha avuto origine con il «credit crunch», il crollo del mercato del credito. Il domino della crisi finanziaria si abbatte ora sull’economia reale: le imprese sono in difficoltà, cala il livello dei consumi e i lavoratori rischiano il licenziamento. Le proteste nelle strade nascono da questo malessere diffuso.
Quali paesi finora sono stati maggiormente coinvolti?
I primi episodi di contestazione contro i governi, accusati di fare troppo poco per salvare le economie nazionali dalla recessione, si sono verificati in Grecia e in Islanda. Ma negli ultimi giorni hanno srotolato i loro striscioni anche gli operai inglesi, contrari alla presenza di lavoratori italiani nel Lincolnshire, subito appoggiati dai sindacati di tutta la Gran Bretagna. Giovedì 29 gennaio anche la Francia è stata paralizzata da uno sciopero generale che ha coinvolto oltre un milione di persone: i mezzi pubblici sono rimasti nelle rimesse, un terzo degli insegnanti non si è presentato in aula, e hanno incrociato le braccia anche i lavoratori delle poste, degli ospedali e di molte aziende private.
Perché lo sciopero francese ha avuto così tanto successo?
Il tasso di disoccupazione, in Francia, è ai livelli più alti da quindici anni, i consumi sono crollati e le otto sigle sindacali si sono unite per contestare il piano anti-crisi varato da Sarkozy. «26 miliardi di euro non basteranno mai per rilanciare la Francia» tuonavano gli slogan dei lavoratori che hanno invaso i boulevard parigini.
Qual è stata la prima scintilla della contestazione?
Il primo episodio risale al 7 dicembre con l’uccisione, ad Atene, di Alexis Grigoropoulos, un quindicenne colpito dal proiettile di un poliziotto durante una manifestazione. Nei giorni successivi l’ondata di proteste ha invaso tutta la Grecia e ben presto, l’indignazione per la morte del ragazzo, si è saldata con i malumori causati dalla crisi economica.
La Grecia ha subito maggiormente l’impatto della crisi?
Sì, perché è uno dei paesi strutturalmente più esposti alle conseguenze del «credit crunch»: la sua economia, infatti, si fonda prevalentemente sui servizi e sul turismo, i primi settori colpiti dalla crisi. L’agenzia di rating Standard &Poor’s, la scorsa settimana, ha fatto suonare l’ennesimo campanello d’allarme spiegando che la recessione ha «evidenziato un’ulteriore perdita di competitività del paese».
Ma come influisce la recessione sulla vita quotidiana dei greci?
La recessione ha investito in modo drammatico la Grecia. I giovani, che hanno visto crollare il tasso di occupazione del 30% in poche settimane, si sono messi alla testa delle proteste. La loro laurea si è trasformata in un pezzo di carta senza valore, e gli under-30 sono stati costretti ad accettare lavori non qualificati. Questa settimana, il loro esempio, è stato seguito anche dal mondo dell’agricoltura. Atene è stata letteralmente invasa da 9 mila trattori e gli agricoltori hanno chiesto al governo di stanziare 500 milioni di aiuti per far fronte all’emergenza.
In quali altri paesi il malcontento ha causato manifestazioni?
Soprattutto nei paesi dell’Est, come la Bulgaria e le repubbliche baltiche, che negli anni scorsi hanno conosciuto un vero e proprio boom economico. Sono stati i primi a crollare. In Lettonia la situazione è diventata insostenibile perché ai disagi della recessione si è sommato anche l’aumento delle tasse. Recentemente il presidente del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strass-Kahn, ha annunciato che Lettonia, Ungheria, Bielorussia e Ucraina sono i paesi più esposti ai danni della recessione.
Cos’è successo di così grave e preoccupante in Lettonia?
Durante il boom degli anni scorsi il paese è cresciuto a ritmi impressionanti, meglio di qualunque altro paese europeo. Lo scorso anno, però, l’economia ha perso di colpo il 2% e le previsioni dicono che perderà un altro 5% nel 2009. Negli ultimi sei mesi il tasso di disoccupazione è raddoppiato fino all’8%, mentre quello giovanile è schizzato addirittura al 24%.
Qual è stata la miccia che ha innescato la protesta dei lettoni?
Nel dna della Lettonia non c’è una tradizione di contestazioni violente. Eppure la scorsa settimana, a Riga, un corteo di oltre 10 mila persone si è trasformato in una rissa a base di alcol e pestaggi che si è conclusa con il ferimento di 25 persone e con 106 arresti. A dare il la alla protesta è stata la risposta di un ministro, intervistato durante un programma televisivo. «Quali soluzioni state studiando per fronteggiare la crisi?» gli ha chiesto il giornalista. «Mah, niente di speciale» ha risposto il politico. La frase ha fatto infuriare la gente, che l’ha adottata come slogan durante le manifestazioni.
Cosa chiedono le persone che sono scese in piazza?
Che il governo se ne vada, e che lasci il posto a un nuovo esecutivo. Ma il primo ministro ha già dato la sua risposta: «Non dipende da noi, ma dalle scelte avventate fatte dai nostri predecessori».
Ma è giusto incolpare i governi dell’attuale situazione?
Le autorità ce la stanno mettendo tutta, ma con scarsi successi. Sembrano piloti alla guida di un’auto impazzita: mettono mano a tutte le leve, nella convinzione che prima o poi l’economia riprenderà a funzionare come prima. Nel frattempo, però, decine di milioni di euro si stanno vaporizzando nel nulla. La confusione dei manifestanti non è altro che lo specchio della confusione dimostrata da molti governi europei.
Le proteste hanno già avuto conseguenze politiche?
Il primo a soccombere è stato l’esecutivo islandese, crollato la scorsa settimana dopo che 8 mila persone sono scese in piazza indossando, simbolicamente, una maschera a gas. Le elezioni si terranno fra un paio di mesi e per il momento il paese è guidato da un governo d’emergenza.
Dove ci porterà tutta questa confusione?
Torneranno i dubbi sull’apertura dei mercati e sulla validità della moneta unica, si ricomincerà a parlare di protezionismo. I primi segnali ci sono già: tra gli operai inglesi sta riprendendo forza la propaganda dei partiti nazionalisti e in altri paesi, come l’Italia, è tornata a farsi sentire la voce degli euroscettici.
Cosa potrebbe accadere? Ci saranno ripercussioni sulla Ue?
Qualche Cassandra prevede che le economie più deboli potrebbero essere cacciate fuori dall’Eurozona. Ma anche chi non è così catastrofista teme che le economie più forti potranno esigere un prezzo sempre più alto per continuare a trascinare il fardello dei paesi più deboli.
Che prezzo potrebbero esigere le economie più forti?
In primis potrebbero imporre alle economie deboli l’obbligo di tagliare i loro deficit spaventosi. Per il momento il primo ministro del Lussemburgo ha chiesto che sia l’Eurozona nel suo complesso a prendersi carico dei debiti dei paesi più deboli. In cambio i governi di questi paesi dovrebbero accettare che i loro bilanci vengano discussi a Bruxelles. Ma le profonde sforbiciate nei bilanci potrebbero alimentare altri disordini e aggravare ulteriormente la situazione.