Roberto Cota, La stampa 2/2/2009, 2 febbraio 2009
HANNO RAGIONE GLI OPERAI INGLESI VEDRETE IN VENETO"
Le parole del premier Gordon Brown che ieri a Davos ha definito gli scioperi anti-stranieri «indifendibili» suonano come un tradimento per la gente di Grimsby. Dov’è finito l’erede promettente di Tony Blair che due anni fa aveva lanciato lo slogan «il lavoro inglese agli inglesi», anticipando la serrata protezionista di questi giorni? Se lo chiedono gli operai del Lincolnshire, ammassati davanti ai cancelli della raffineria Lindsey Oil per difendere la stabilità d’un tempo. E se lo chiedono anche i «nemici», gli italiani ingaggiati dalla siracusana Irem, pionieri del mercato in divenire sospesi su una chiatta al largo di questa grigia cittadina a nord-est dell’Inghilterra in attesa del via libera di Londra. Due mondi che si fronteggianno a distanza con gesti teatrali di sfida a colmare l’incomunicabilità: gli uni in ansia per il passato, gli altri incerti sulle opportunità future dell’Europa promessa.
«Le proteste non sono contro gli stranieri in per sé, ma contro l’esclusione dei lavoratori britannici» ripete Derek Simpson, presidente dell’Unite, il maggior sindacato britannico. L’Irem, l’azienda vincitrice dell’appalto da 200 milioni di sterline, ha spiegato che non ci sono state discriminazioni nella selezione ma basta dare un’occhiata al sito ukwelder.com, la piazza virtuale dei saldatori da cui è partita la chiamata alla rivolta, per capire l’impossibile margine di comprensione, la miccia è innescata e non si fermerà a Grimsby.
Secondo l’ex ministro del welfare, il laburista Frank Field, la crisi è il risultato del fallimento di Brown in materia d’immigrazione. «Per anni ho pressato il governo perché tagliasse il numero dei permessi di lavoro - rivela al Sunday Times -. Su tre milioni di posti creati negli ultimi dieci anni, nove su dieci sono andati a maestranze straniere». Anche gli inglesi fanno i bagagli, rivela una ricerca del Move Monitor, secondo la quale nell’ultimo anno l’emigrazione verso l’Australia è cresciuta del 31 per cento. Field guarda in casa propria e suggerire al premier di rimediare immediatamente mettendo un paletto all’ingresso. Con buona pace di Bruxelles che si prepara ad adottare un documento sul valore preziosissimo del mercato unico europeo. A la guerre comme à la guerre: «Che ci portino pure in tribunale».
Mentre il governo prende tempo, il Paese si prepara a una settimana calda. Stamattina potrebbero incrociare le braccia 900 dipendenti della centrale nucleare di Sellafield allargando ancora di più la protesta dei lavoratori della Lindsey Oil già dilagata in Galles, Scozia, Irlanda del Nord. Manifestazioni, picchetti, il blocco di alcuni impianti tra cui, probabilmente, la centrale della Isle of Grain, nel nord del Kent. I sindacati, lanciatissimi, annunciano il boicottaggio di tutte le stazioni di servizio Total, proprietaria della raffineria di Grimsby.«Denunciano il sistema ma alla fine è con noi che se la prendono» dice all’Ansa uno dei tecnici italiani a bordo della chiatta della discordia. Gli operai che da terra lo scrutano in cagnesco adorano il suo connazionale Gianfranco Zola, ex giocatore del Chelsea passato alla panchina del West Ham. Made in Italy come il vino, la cui esportazione nel Regno Unito è cresciuta nel 2008 del 10 per cento. La British Beer and Pub Association conferma che nei pub inglesi il Chianti va più della vecchia bionda, ma in quelli di Grimsby, oggi, agli italiani non si serve volentieri neppure un bicchiere d’acqua. Hanno ragione gli operai inglesi». Senza se e senza ma, il capogruppo della Lega Nord alla Camera Roberto Cota, si schiera a fianco dei lavoratori della raffineria Lindsay di Grimsby, in sciopero da giorni contro i dipendenti di una società italiana accusati di «rubare il posto agli inglesi».
Onorevole Cota, sul «Sunday Times» un operaio britannico ha detto che «non ha nulla contro i lavoratori italiani, ma c’è la recessione». Condivide?
«Le parole di quell’operaio sono condivisibili e giustificabili. Quello che sta succedendo a Grimsby è l’esempio più classico della globalizzazione che ci presenta il conto. Ce lo ha già presentato con la crisi economica e finanziaria, con il problema della sicurezza e adesso tocca al mercato del lavoro. Sono gli effetti di una globalizzazione senza regole o con le regole saltate, una globalizzazione selvaggia».
Le regole formalmente sono state rispettate. L’impresa italiana ha vinto un regolare appalto internazionale, la circolazione delle persone è garantita. Quindi, come si fa?
«Questi sono gli effetti della direttiva Bolkestein sulla liberalizzazione delle prestazioni dei servizi. Siamo di fronte alla solita storia dell’idraulico polacco».
Il lavoratore dell’Est che arriva in Europa e si accaparra il lavoro accontentandosi di un salario più basso. Ma nel caso di Grimsby la paga è certificata, i nostri operai in Gran Bretagna prendono più dei loro colleghi inglesi...
«Forse sfugge un aspetto molto più generale di tutta questa vicenda. Il mercato del lavoro, oggi più che mai in tempi di recessione, dovrebbe essere regolamentato da un principio: domanda e offerta di lavoro devono essere regolamentati sul territorio. Non è così. E allora si creano squilibri come quelli che stanno avvenendo in Gran Bretagna. Adesso tocca a Grimsby. Prima o poi si parlerà del Veneto».
Il Veneto?
«Nel Nord Est sta cominciando lo stesso problema. Arriva manodopera straniera che toglie lavoro ai nostri. Ci vuole una moratoria sui flussi come ha fatto Zapatero in Spagna».
Con i comunitari come si fa? Ci sono gli accordi di Schengen...
«Potrebbero essere sospesi. Bisogna iniziare a ragionare anche su questa eventualità. Non possiamo aprire le frontiere se non viene garantito il lavoro ai nostri. Io capisco le supereccellenze, l’altissima professionalità richiesta... Ma qui stiamo parlando di lavoro ordinario».
Liberismo addio?
«Il mercato funziona solo se ha delle regole. La concorrenza totale è sleale. Se non ci sono più regole, che mercato diventa?».
Contro la politica del controllo dei flussi, gli imprenditori del Nord Est hanno sempre detto di essere contrari perché se no le aziende chiudono. Chi vince: la politica o l’impresa?
«E’ irragionevole in questa situazione chiedere nuovi immigrati o lavoratori che arrivino comunque dall’estero. Abbiamo bisogno di garantire l’occupazione ai nostri. Ci sono famiglie monoreddito che non ce la fanno. Anche la Cei lancia dei programmi di aiuto... Gli imprenditori che vorrebbero manodopera straniera perché costa meno fanno solo della concorrenza sleale».
Gli italiani a Grimsby come gli extracomunitari. Non teme un’ondata xenofoba?
«Mi ritrovo nelle parole di quell’operaio inglese che dice di ”non aver nulla, personalmente, contro gli stranieri”. La xenofobia non c’entra. C’entra l’esigenza di avere nuove regole per garantire un corretto equilibrio sul territorio tra domanda e offerta di lavoro».
Nuove regole?
«Ci vuole il coraggio di reimpostare tutto su nuove basi. Ha ragione Barack Obama quando sostiene che bisogna difendere gli interessi economici nazionali. Abbiamo fatto una battaglia per anni come Lega, per sostenere i dazi a difesa delle nostre merci e per impedire l’invasione delle merci cinesi. Questo è il momento di riscrivere regole internazionali anche in tema di lavoro. Gordon Brown dice che gli scioperi di Grimsby sono illegali, forse lo fa per questioni diplomatiche. Ma intanto la Gran Bretagna continua a rimanere fuori dall’euro».