Panorama 5/2/2009, 5 febbraio 2009
12 DOMANDE E 12 RISPOSTE PER CAPIRE IL CASO ELUANA
Divide l’Italia il caso di Eluana Englaro, in stato di incoscienza da 17 anni dopo un incidente. Suscita discussioni accese: da un lato chi appoggia la battaglia del padre Beppino per lasciar morire una figlia che non avrebbe voluto una vita come questa; dall’altro chi ritiene che anche lo stato di incoscienza sia vita e rifiuta l’idea che vi si possa porre fine. Panorama in queste pagine ha cercato di rispondere ai quesiti più importanti sollevati dalla vicenda.
Che cosa dice la legge italiana?
«Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». L’articolo 32 della Costituzione è chiarissimo. Ma su come applicarlo (eutanasia, testamento biologico, alimentazione e idratazione assistite, trattamenti sanitari irrinunciabili) in Italia c’è il vuoto legislativo. Anche per questo la vicenda di Eluana è diventata dirompente. Per sospendere i trattamenti sanitari alla figlia, Beppino Engiaro si è rivolto alla magistratura. Tribunali di ogni ordine e grado gli hanno finora dato ragione: ultima la Corte di cassazione, che con la pronuncia numero 27145 del 13 novembre 2008 ha confermato il diritto per chiunque di rifiutare le cure sanitarie, alimentazione e idratazione comprese.
E’ diventato così definitivo il decreto della Corte d’appello di Milano che autorizzava, in luglio, l’interruzione dei trattamenti. Interruzione mai resa effettiva: la Regione Lombardia ha negato il ricovero di Eluana in una propria struttura per eseguire la sentenza, costringendo Englaro a cercare altrove. Il 22 gennaio il tar lombardo ha annullato il provvedimento regionale. Il 27 gennaio il governatore Roberto Formigoni ha annunciato un ricorso al Consiglio di Stato. (Laura Maragnani)
Cosa chiede il padre? Perché, dato che per Eluana è stato autorizzato all’interruzione dei trattamenti, non lo fa a casa propria?
«Ora, come sempre, chiediamo il diritto di rifiutare le terapie» dice Englaro. «Chiediamo la libertà di cura». Tanto più ora, «dopo la decisione di luglio della Corte d’appello di Milano» chiarisce Vittorio Angiolini, legale della famiglia, «non resta che il sistema sanitario faccia il suo dovere, secondo le disposizioni del tutore e come autorizzato dal decreto».
Eluana, racconta il padre, aveva spesso discusso in famiglia il tema delle terapie terminale, anche perché era stata toccata dalla vicenda di un suo amico, Alessandro, finito in rianimazione. Ne aveva orrore, tanto da dire che non le avrebbe mai accettate: «Noi speriamo che sia arrivato il momento di liberarla». Perché allora non a casa? «Perché Eluana è stata tenuta artificialmente in vita, invasa corporalmente senza il suo consenso da terapie attuate sempre e solo in strutture cliniche adeguate» aggiunge Englaro. «La logica conseguenza è che la cura imposta cessi in un’altrettanto adeguata struttura confacente al percorso clinico previsto», Aggiunge Angiolini: «In casa, oltretutto, non sarebbe più semplice né più sicuro». (Donatella Alarino)
Perché Etuaria non viene portata all’estero, in paesi dove l’eutanasia è consentita?
«In primo luogo perché non è eutanasia e tale non l’ha classificata nemmeno la Cassazione» afferma il legale degli Englaro, Angiolini. «Poi perché c’è una decisione della giustizia italiana che per questo va attuata in Italia. Oltretatto, secondo il diritto internazionale non sarebbe comunque una procedura automatica: per il trattamento sanitario la legge applicabile è quella del luogo dove viene erogato».
Il punto di vista dei padre di Eluana è questo: «Un paese non può squalificarsi al punto da non poter mettere in pratica un decreto definitivo della magistratura». Ma anche per Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare, l’ipotesi estero non sarebbe praticabile: «Servirebbe un consenso informato, firmato dalla persona in questione. L’anomalia del caso Eluana è proprio questa: non esiste alcun documento del genere, nulla di scritto. La sua volontà è stata ricostruita su base indiziaria». (D.M.)
A che punto è il dibattito sulla legge?
Raffaele Calabrò, 62 anni, cardiologo di Lucera, tre figli, quattro nipoti: la legge sul testamento biologico è nelle mani di questo senatore dei Pdl, vicino all’Opus Dei. Martedì 27 gennaio ha presentato in comnússione Sanità al Senato il testo di maggioranza sui Dat (dichiarazioni anticipare di trattamento) messo a punto con il governo. Articolo 1: «La Repubblica riconosce il diritto alla vita inviolabile e indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza». E dunque: divieto di accanimento terapeutico, ma anche di «ogni forma, sia attiva che omissiva, di eutanasia». Divieto di suicidio assistito. Istituzione di un registro nazionale per la raccolta dei Dat, che vanno firmati davanti al notaio alla presenza di un medico e durano 3 anni. «Idratazione e alimentazione non sono considerate terapie, bensì forme di sostegno vitale» precisa Calabrò. «Non è possibile rifiutarle».
«Un testo lontano dalle sofferenze dei pazienti » per Ignazio Marino, capogruppo del
Pd in commissione Sanità. Invece «una buona proposta che coniuga difesa della vita e libertà della persona» secondo nove senatori pd vicini ai teodem che non condividono la posizione prevalente dei partito, così riassunta da Marina Sereni: «Rivendichiamo la possibilità di dire no ai trattamenti sanitari, comprese idratazione e alimentazione forzata». Se questa legge fosse stata in vigore prima della sentenza della Cassazione, Eluana non potrebbe essere lasciata morire. (L.M.)
Perchè gli ospedali che si erano offerti di sospendere i trattamenti a Eluana hanno fatto retromarcia?
«La casa di cura Città di Udine comunica di trovarsi costretta a ritirate la propria disponibilità». E’ il 16 gennaio quando Claudio Riccobon, amministratore delegato della clinica, spiega così la marcia indietro: «Il ministro Sacconi potrebbe assumere provvedimenti che metterebbero a rischio l’operatività della struttura, e quindi il lavoro di più di 300 persone». A muoversi liberamente possono essere solo strutture non convenzionate come l’hospice La Quiete di Udine, di proprietà comunale, che sta ora discutendo con Beppino Englaro le modalità di un prossimo ricovero. (L.M.)
Può in questo caso un medico fare obiezione di coscienza?
La legge prevede l’obiezione di coscienza, ovvero l’esonero dal prestare un servizio pubblico, in casi come aborto, fecondazione assistita, sperimentazione su animali. Negli altri casi, come quello di Eluana, l’obiezione invocata dall’arcivescovo di Torino Severino Poletto per «i medici cattolici che si trovassero a lavorare nell’ospedale dove si intendono interrompere alimentazione e idratazione» può presupporre una disobbedienza civile? Anche accettando l’idea che nessuno può essere costretto a fare qualcosa che non condivide, la clausola di coscienza non esime la struttura sanitaria dal fornire i trattamenti richiesti o previsti, trasferendo la responsabilità a un altro medico. «Se la Regione Lombardia è rispettosa della coscienza dei suoi medici, deve provvedere a far sì che alcuni di essi garantiscano le prestazioni dovute» sostiene il magistrato Amedeo Santosuosso.
«Diversamente dall’aborto, dove il medico non compie un atto che non si sente di condividere, in questo caso l’obiezione di coscienza invade la libertà personale, non rispetta la volontà, la dignità di un individuo e le sue convinzioni culturali» dice Ignazio Marino. «Compito del medico, che sia di tradizione laica o cristiana, è assistere il malato, anche se questi rifiuta le cure che lui in scienza e coscienza vuole prestargli». (Gianna Alilano)
Quello di Eluana si può considerare accanimento terapeutico?
L’articolo 32 della Costituzione dice che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». E l’articolo 13 garantisce l’inviolabilità della libertà personale, quindi del proprio corpo. Si potrebbe perciò definire accanimento tempeutico qualsiasi trattamento attuato senza l’esplicito assenso della persona e percepito come sproporzionato alle condizioni in cui si trova.
«Una legge dello Stato non può definirlo perché dipende da un sentire individuale, dal contesto culturale e dalla fede. Ciò che per me può essere accanimento terapeutico per un’altra persona può non esserlo» risponde Ignazio Marino. Il codice italiano di deontologia medica definisce l’accanimento terapeutico come l’irragionevole «ostinazione in trattamenti da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per il malato o un miglioramento della qualità di vita». E nell’Enciclica Evangelium vitae Giovanni Paolo Il definisce accanimento terapeutico certi «interventi non più adeguati alla reale situazione del malato perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o perché troppo gravosi per lui e per la famiglia».
La commissione dell’Istituto superiore della sanità cui l’ex ministro della Salute Livia Turco chiese di stabilire se nel caso di Piergiorgio Welby si dovesse parlare di accanimento terapeutico concluse di no, e quindi non si poteva interrompere la ventilazione artificiale. «Anche mezzi di sostegno vitale, se usati contro la mia volontà, sono un accanirsi terapeutico. Che probabilità ha Eluana di uscire dal coma?» si chiede Maurizio Mori, della Consulta di bioctica di Milano. (G.M.)
Ci si può risvegliare da uno «stato vegetativo persistente»?
Non esiste una risposta univoca a questa domanda, perché la definizione stessa di stato vegetativo persistente (Svp) è oggetto di ampio dibattito, così come ciò che si intende per «risveglio». Uno studio effettuato nel 1998 dal Royal College of physicians britannico afferma che il 43 per cento dei pazienti ricoverati con diagnosi di Svp sarebbe in realtà in stato di minima coscienza, una forma più lieve di alterazione della coscienza stessa.
Recentemente, inoltre, sono stati pubblicati i risultati di diverse sperimentazioni su pazienti in stato vegetativo persistente che hanno subito un intervento neurochirurgico per l’impianto di stimolatori cerebrali: piccoli apparecchi che, come il pacemaker cardiaco, inviano stimoli elettrici a determinate aree del cervello. In alcuni di essi (tra cui una paziente torinese) si è assistito a un miglioramento che i giornali hanno chiamato risveglio, ma che equivale, in effetti, al passaggio da Svp a stato di minima coscienza, con un’interazione con l’ambiente molto lirffitata. (Daniela Ovadia)
Quanto costa tenere in vita Eluana? Quanti sono in Italia i malati come lei?
Eluana non è mai tornata a casa. Ha trascorso i primi due anni dopo l’incidente fra rianimazione e lungodegenza riabilitativa, fino alla diagnosi prognosi definitiva di stato vegetativo. E seguito il ricovero nella casa di cura Beato Luigi Talamoni di Lecco, struttura privata convenzionata con il sistema sanitario dove è rimasta per un totale di 17 anni «Più di 6.219 giorni» puntualizza il padre). Secondo i dati dell’assessorato alla Famiglia della Regione Lombardia, delegato alla gestione di hospice, case di cura e di riposo, mantenere Eluana costa 82 euro al giomo, poco meno di 30 mila euro l’anno, contro una media di 160 euro per analoghe situazioni. In tutto in Lombardia ci sono 481 casi (dati ad agosto 2008). Non esiste un censimento nazionale: l’ultima indicazione ministeriale, ferma al 2006, parla di circa 1.500 persone in Italia. (D. Al.)
Perchè il ministero della Salute è intervenuto con un atto di indirizzo, e cosa dispone?
L’atto di indirizzo del 16 dicembre 2008, firmato dal ministro Maurizio Sacconi, è stato inviato ai presidenti delle regioni. Sacconi ha spiegato in una recente nota che «in assenza di una disciplina legislativa dedicata alla regolazione della fine della vita, a questo punto da sollecitare al Parlamento, la generale applicazione del dovere di alimentazione e idratazione non poteva non essere accompagnata da un atto di ricognizione dei principi generali in materia».
Due i punti cardine del dispositivo, sintetizzati a Panorama dal sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella, presidente della Commissione ministeriale sugli stati vegetativi: Il parere del Comitato nazionale per la bioetica («massima autorità in materia, oltre che organo consultivo della presidenza dei Consiglio»), che già nel 2005 sancì che alimentazione e idratazione non sono terapie, ma atti indispensabili per garantire condizioni base per vivere; la convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità in particolare l’articolo 2005 contro le discriminazioni, applicabile anche agli stati vegetativi. Testo sottoscritto dall’Italia «con sostegno bipartisan» e in corso di ratifica dopo l’approvazione a novembre del Consiglio dei ministri. Aggiunge Roccella: «La sanità è materia concorrente fra Stato e regioni, l’atto d’indirizzo serve a garantire uniformità nazionale. Non solo, il nostro sistema sanitario, orientato alla cura e non al suo contrario, non dispone in caso di morte assistita né dei protocolli essenziali d’assistenza né di dimissione». (D.M.)
Perchè è stato contestato il provvedimento del ministro Sacconi?
«Inidoneo», «illegittimo», «abnorme», «nullo»: i giudizi di costituzionalisti sull’atto di indirizzo del ministro, che ha aperto un fronte nuovo nella vicenda Eriglaro, un possibile conflitto tra poteri dello Stato. Un atto amministrativo, secondo i critici di Sacconi, non può vanificare una sentenza definitiva della magistratura. Può per di più un ministro definire illegale l’operato di chi si appresta a eseguirla? No, secondo Alessandro Pace, presidente dell’Associazione italiana dei costituzionalisti: «L’atto di indirizzo dei ministro è scorretto. Spetta al Parlamento fare le leggi e ai giudici applicarle».
La direttiva del ministero sarebbe addirittura «tre volte incostituzionale» secondo il costituzionalista Michele Ainis, il primo a censurare Sacconi, sulla Stampa del 18 dicembre: l’atto di indirizzo a suo parere offende «le competenze regionali» perché «gli atti di indirizzo e coordinamento sono vietati nel campo della sanità», «calpesta la sovranità del Parlamento» (soltanto una legge statale di principio può intervenire in materia sanitaria) e «Viola le attribuzioni del corpo giudiziario» (sul caso Eluana c’è ormai una sentenza definitiva della Cassazione). (L.M.)
Qual è la posizione della Chiesa italiana?
Da sempre contraria all’eutanasia, la Cei ha aperto alla possibilità di una legge sulla fine della vita dopo il provvedimento della Corte d’appello di Milano su Eluana, nel luglio scorso. La Chiesa teme che il vuoto legislativo possa essere colmato solo dalla magistratura. Pertanto una legge che autorizzi le dichiarazioni anticipate di volontà viene considerata il male minore.
I vescovi però non accettano che si parli di testamento biologico: preferiscono chiamarla «legge sul fine vita». Chiedono infatti che la norma non affronti solo la questione delle dichiarazioni anticipate di volontà di trattamento ma, più in generale, promuova le cure palliative, l’apertura di hospice dove accogliere persone in coma irreversibile o stato di incoscienza, l’assistenza domiciliare e gli aiuti alle famiglie di malati terminali. In concreto, per la Chiesa le dichiarazioni anticipate devono essere volontarie, devono avere validità di tempo limitata, vanno sottoscritte davanti al medico o a un pubblico ufficiale e possono prevedere la nomina di un fiduciario del paziente con il compito di vigilare sull’attuazione delle sue volontà.
Categorico il no alla sospensione di idratazione e alimentazione poiché per la Chiesa non sono trattamenti terapeutici ma sostegni vitali. I vescovi chiedono pure che venga rispettata l’autonomia del medico nel valutare il quadro clinico al di là della volontà espressa dal malato. E va sempre fatto salvo il diritto all’obiezione di coscienza dei sanitari. (Ignazio Ingrao)