Note: [1] La Stampa 31/1; [2] Cristina Marrone, Corriere della Sera 31/1/2009; [3] Armando Spataro, Corriere della Sera 23/1; [4] Omero Ciai, la Repubblica 15/1; [5] Omero Ciai, la Repubblica 30/1; [6] Alessandra Mangiarotti, Corriere della Sera 30/1/2009, 31 gennaio 2009
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 2 FEBBRAIO 2009
Oggi il Supremo Tribunale Federale brasiliano (l’equivalente della nostra Cassazione) si riunisce per decidere se accogliere la richiesta di scarcerazione di Cesare Battisti, ex leader dei Proletari armati per il comunismo condannato in Italia a due ergastoli per gli omicidi del maresciallo della polizia penitenziaria Antonio Santoro (Udine 6 giugno 1978), del macellaio Lino Sabbadin (Mestre 16 febbraio 1979), del gioielliere Pierluigi Torregiani (Milano 16 febbraio 1979), dell’agente della Digos Andrea Campagna (Milano 19 aprile 1979). [1]
Battisti, 54 anni compiuti lo scorso 18 dicembre, si dichiara innocente. Ha ribadito venerdì in una lettera ai giornalisti brasiliani scritta nel carcere di Papuda, vicino Brasilia: «Non sono responsabile per nessuna delle morti di cui sono accusato». E poi: «Sono un perseguitato politico. I veri colpevoli sono Gabriele Grimaldi, Sebastiano Masala, Giuseppe Memeo e Sante Fatone». [2] Secondo le sentenze, nei delitti Santoro e Campagna sparò materialmente in testa o alle spalle delle vittime, al delitto Sabbadin partecipò facendo da copertura armata al killer Diego Giacomini, nel delitto Torregiani fu co-ideatore e organizzatore. [3]
Arrestato nel 1979, nell’81 Battisti evase dal carcere di Frosinone iniziando un lungo periodo di latitanza che lo portò prima in Messico (Puerto Escondido) e poi, dal 1990, a Parigi, dove prese a scrivere e a pubblicare libri gialli (’polar”, polizieschi-noir) di un certo successo. Protetto per anni dalla cosiddetta ”dottrina Mitterrand” (vedi l’articolo di Cesare Martinetti a pag. 2), nel 2004, imminente l’estradizione nonostante il comitato in suo favore animato dalla giallista Fred Vargas, scappò in Brasile. [4] La settimana scorsa ha raccontato in un’intervista al settimanale brasiliano Istoé che la sua fuga fu aiutata dai servizi segreti francesi. [5] L’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga: «Dopo la Svizzera e il principato di Monaco, la Francia è il Paese democratico che ha il più alto numero di forze di sicurezza. Poteva forse uno come lui scappare senza essere aiutato?». [6]
Battisti fu arrestato in Brasile nel marzo 2007. Massimo Martinelli: «Tre ragazzini lo derubarono in strada, a Copacabana. Gli presero tutto, soldi e vestiti. E lui fu costretto a telefonare a Parigi ad un’amica, affinchè gli mandasse un aiuto. L’Interpol controllava quel telefono e gli furono addosso in un attimo». [7] Omero Ciai: «Quando fuggì dalla Francia che stava per concedere l’estradizione per darsi di nuovo alla latitanza nel 2004, Battisti scelse il Brasile proprio perché in questo paese c’erano dei precedenti che lo facevano ben sperare in caso di cattura. Il più famoso è quello di Achille Lollo, l’ex di Potere Operaio coinvolto nella strage di Primavalle. Ma ce ne sono anche altri, meno noti, che hanno fatto nascere a Rio de Janeiro una piccola ma influente lobby di rifugiati italiani, più o meno coinvolti con gli Anni di Piombo». [4]
Nello scorso aprile la Procura Generale brasiliana aveva espresso un parere favorevole all’estradizione, a condizione che l’Italia si impegnasse a convertire l’ergastolo in una pena di 30 anni, il massimo previsto dalla legge del Paese sudamericano. A fine novembre il locale Comitato per i Rifugiati (Conare) aveva respinto la richiesta di concessione dello status di rifugiato inoltrata dalla difesa di Battisti. [8] All’inizio dell’anno, intervistato dal settimanale Epoca, l’ex leader dei Pac aveva denunciato: «Se torno in Italia finisco morto». E poi, per giustificare il suo timore di finire vittima di una vendetta: «Nel 2004 ho sofferto un tentativo di sequestro da parte dei servizi segreti paralleli italiani». [9]
Il 14 gennaio il ministro della Giustizia brasiliano Tarso Genro ha concesso a Battisti l’asilo politico «in quanto esiste per lui il fondato timore di persecuzione politica». [10] Subito ha preso a girare la voce che fosse stata decisiva la vista in Brasile del presidente francese Sarkozy e della moglie Carla Bruni, che il 22 dicembre al Copacabana Palace di Rio avrebbero convinto il presidente brasiliano Lula a negare l’estradizione. [11] Il 25 gennaio, ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa, la first lady francese ha smentito questa versione dei fatti: « molto deplacé (fuori luogo, ndr), come si dice in Francia: mai la moglie del presidente potrebbe andare a parlare al presidente brasiliano per una cosa che neanche c’entra con la Francia. Per me è stata una calunnia». [12]
Comunque sia andata, il no all’estradizione è la conclusione di un processo di lobbying martellante ed efficace. Rocco Cotroneo: «Lo coordina Fred Vargas, la scrittrice parigina amica di Battisti: da quando lo hanno arrestato è venuta in Brasile almeno cinque volte. Presenta carte sull’irregolarità dei processi, ma soprattutto cerca di capire dove stia il punto molle di un iter che sta vedendo decisamente in vantaggio le ragioni italiane. Facile, è la politica». Eduardo Suplicy Matarazzo, senatore del PT, il partito dei lavoratori di Lula: «La Vargas è molto amica di Carla Bruni. Mi ha raccontato che dopo il caso Petrella (l’ex terrorista la cui estradizione dalla Francia all’Italia è stata sospesa per ragioni di salute, ndr), ha convinto Sarkozy che anche Battisti andava aiutato». [11]
La Vargas è convinta che Battisti non scappò per non essere giudicato. «Fu giudicato (e condannato a 12 anni di carcere per banda armata) nel 1981, e trasferito nel carcere di Frosinone, non a caso destinato a chi non fosse colpevole di crimini che avessero comportato la morte di persone. Evase dalla pena, non dal giudizio. Il processo successivo si svolse in contumacia. Battisti passò da un incubo all’altro, in una trappola senza uscita, da quella dei Pac e della lotta armata - da cui uscì e si dissociò già nel 1978 – a quella di un processo kafkiano che lo condannò all’ergastolo sulla base di testimonianze di pentiti – i capi dei Pac Pietro Mutti e Arrigo Cavallina (vedi l’intervista di Stefano Lorenzetto a pagina 2) – che addossarono a lui assente ogni colpa ed ebbero una condanna di 15 anni. Messi insieme, tutti gli elementi di dubbio fanno una montagna». [13] La scrittrice parla anche di gravi irregolarità nella nomina degli avvocati difensori, ipotesi che pare però priva di fondamento. [14]
Secondo Genro la condanna di Battisti «era probabilmente appropriata nelle circostanze storiche» ma «oggi qualsiasi giudice» lo «assolverebbe per insufficienza di prove». [15] Giuseppe Zaccaria: «In effetti le sentenze della nostra magistratura si basano essenzialmente, ma non esclusivamente sulle testimonianze di Pietro Mutti, un ”pentito”». [16] Armando Spataro, pubblico ministero che insieme ad altri magistrati diresse le indagini che portarono alle condanne: «Non è vero che Battisti sia stato condannato solo per le accuse del pentito Pietro Mutti, né è vero che costui fosse inattendibile. Affermare ciò significa offendere la serietà della giustizia italiana. Le confessioni di Mutti, infatti, sono state convalidate da molte testimonianze e dalle successive collaborazioni di altri ex terroristi». [3]
Nel concedere l’asilo politico, il ministero della Giustizia brasiliano ha citato una lettera in cui Cossiga «attesta che i ”sovversivi di sinistra” venivano considerati, nell’Italia degli ”anni di piombo”, come ”semplici terroristi e talvolta come criminali comuni”. L’autore della lettera sostiene, tuttavia, l’improprietà di questa classificazione attribuita al ricorrente». L’ex presidente della Repubblica: «Io non ho detto e non dico che Battisti è un perseguitato politico, ma che i suoi delitti sono politici». [17] Secondo Genro la vicenda di Battisti ricorda quella del deputato brasiliano Fernando Gabeira. «Erano guerriglieri ed entrambi hanno partecipato a sequestri in un periodo di dittatura nei rispettivi Paesi». [18]
La tesi ”politica” ha sostenitori anche in Italia. Lo scrittore Erri De Luca: «Negli anni 70-80 in Italia c’è stata una vera e propria guerra civile. La temperatura dell’odio politico che si respirava nel Paese era esattamente di quel tipo: pensi alle 5000 persone incriminate per banda armata, un numero enorme per il reato più grave contemplato dal codice. Finita quella guerra, lo Stato aveva il dovere di promulgare un’amnistia per sanare tutte le ferite. Non l’ha fatto e ne paghiamo le conseguenze. Ora sono i Paesi stranieri, caso per caso, a insegnarci come ci si comporta». [19] Il giurista Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale: «Se la cosiddetta ”motivazione politica” consentisse l’aggressione di cittadini inermi o qualsiasi atto che abbia una pur remota intenzione politica allora qualunque azione delittuosa potrebbe essere coperta da tali motivazioni». [20]
Nonostante la maggioranza dei brasiliani non condivida la decisione di concedere l’asilo politico (l’85% dei lettori della Folha di San Paolo, il 70% di quelli dell’Estado ecc.) [21], sarà difficile sconfiggere la potente lobby franco-brasiliana che difende Battisti: il senatore Matarazzo Suplicy, tra i più accesi sostenitori dell’innocenza dell’ex leader dei Pac, è il compagno della giornalista Monica Dallari, figlia del giurista Dalmo, amico di Genro che a Parigi possiede un appartamento accanto a quello della Vargas. La rivista Istoé appartiene al banchiere Daniel Dantas, sospettato di avere finanziato il sistema di tangenti (mensalao) che avrebbe beneficiato parlamentari alleati del PT. [22] Dantas e Battisti hanno lo stesso avvocato: il potente Luiz Eduardo Greenhalgh, ex deputato del Pt, amico di Genro e Lula. [5]
In caso di sconfitta in tribunale, si dice che dovremmo vendicarci boicottando l’amichevole Italia-Brasile in programma all’Emirates stadium di Londra il prossimo 10 febbraio (la chiamano ”la partita delle nove coppe del Mondo”, essendo le due nazionali in questione le più vittoriose nella storia del calcio). L’idea, partita da Carlo Fidanza, capogruppo in consiglio comunale a Milano, è stata rilanciata prima dal sottosegretario agli esteri Alfredo Mantica e poi dal ministro della Difesa Ignazio La Russa (tutti uomini di An). [23] Paolo Cento, ex deputato Verde: «Meglio smetterla subito questa guerra sportiva al Brasile. O Berlusconi rinunci a Pato e Kaká». Riccardo Villari: «Sarebbe un segnale forte. Ma il governo trovi una sua coerenza: non saremmo dovuti andare nemmeno a Pechino». [24] Giovanni Bachelet, deputato Pd e figlio di Vittorio (ucciso dalle Br nell’80): «L’era della diplomazia sportiva si aprì con il ping-pong con la Cina e si chiuderebbe con il calcio brasiliano». [25]