Bianca Di Giovanni, l’Unità 30/1/2009, 30 gennaio 2009
LE CASE FANTASMA
I numeri non tornano. A mettere insieme immobili e fisco in Italia si scoprono più sfasature che in un orologio rotto. Grazie a un meccanismo (volutamente?) miope, ciascun archivio è andato avanti per conto suo, seguendo oscuri schemi di catalogazione, o generiche definizioni d’uso. Così molte case che tutti vediamo, che risultano accatastate con tanto di foglio, particella e quant’altro, per il fisco non esistono. Oppure esistono, ma non si sa bene che uso ne viene fatto, dato fondamentale per il prelievo fiscale. Sembra impossibile per un settore che vale circa 3.500 miliardi di euro (dato relativo al patrimonio residenziale del 2005) e che sposta circa 140 miliardi di euro (dato 2004) nelle compravendite. Per le famiglie italiane resta l’investimento preferito, il cosiddetto bene rifugio. Eppure è così: spesso il fisco non sa, ha gli occhi bendati. Quanto vale questo ”buco”?
A fronte di oltre 30 miliardi e 553 milioni di rendite catastali, dalle dichiarazioni emergono solo 24 miliardi e 85 milioni. Oltre 5 miliardi di base imponibile che sfugge. Casi marginali? Pochi grandi evasori? Macché: meglio parlare di meccanismi inceppati. Stando a recenti rilevazioni circa 8 milioni di unità immobiliari registrate al catasto non trovano attribuzione fiscale certa. Di questa ”fascia grigia”, circa 5 milioni e 500mila potrebbero essere frutto di evasione, il resto ”solo” di residui del tempo passato, quando ancora non esisteva il codice fiscale. Senza quel numeretto in catasto, impossibile risalire all’effettivo titolare. Siamo ancora a questo punto. Il fatto è che parlare di case e di patrimoni immobiliari significa anche risalire molto indietro nel tempo, in una rete di norme e legislazioni spesso contraddittorie. Le leggi cambiano, il fisco si evolve, le case restano: altra sfasatura. Se solo si pensa che oltre il 35% del patrimonio abitativo in Italia ha oggi più di 50 anni, si comprende la sfida che si para davanti a chi tenti di mettere ordine in questa selva.
I dati Ma i progressi non mancano. L’ultimo è racchiuso in un volume di un centinaio di pagine curato dall’Agenzia del territorio che tenta l’intentato: mettere insieme le banche dati del catasto con quelle dell’agenzia delle Entrate. Un lavoro molto accurato, presentato nei giorni scorsi, che affonda come una lama in una messe di dati di grande importanza. Solo un primo passo, avvertono i curatori. Ma basta davvero poco (si fa per dire), appena una cinquantina di grafici e altrettante tabelle, per togliere il velo su parecchi ”vizi” nazionali. Si scopre così che i ”buchi neri” sullo stato degli immobili partono proprio dalle banche dati d’origine. Come dire: gli elenchi sono incompleti. L’Agenzia del territorio, per esempio, ha ”scovato” circa un milione e mezzo di fabbricati che non risultavano neanche in catasto (figuriamoci al fisco). L’Agenzia le ha scovate grazie all’utilizzo delle foto aeree dell’Agea, l’agenzia che verifica i redditi agricoli. Grazie al loro supporto si sono anche rilevati casi di finti fabbricati agricoli, e si è aggiornato il catasto dei terreni.
Mappa e soldi Il volume appena redatto fornisce in primo luogo la mappatura degli immobili. Nella banca dati del catasto risultano 55 milioni di unità immobiliari (aggiungendo quelle appena ”scovate) si arriva a 56 e mezzo). Gli intestatari sono 39 milioni, di cui soltanto meno di due milioni (1,8) società (il dato appare molto squilibrato rispetto alle persone fisiche). Più della metà di questo patrimonio (circa 31 milioni, il 56,94%) è costituito da abitazioni. Gli immobili commerciali sfiorano il 40% (circa 22 milioni). Il resto sono beni strumentali, come aeroporti, stazioni o uffici. Che significa tutto questo per il fisco? Aprendo gli archivi dell’agenzia delle entrate si rintracciano solo 35 milioni di contribuenti (a fronte di 39 milioni di intestatari al catasto). In soldoni, gli immobili hanno reso al fisco nel 2007 36,6 miliardi di euro, in gran parte (31,26%, pari a circa 10 miliardi) garantiti dall’Ici (oggi il dato sarebbe minore per via dell’azzeramento di quella sulla prima casa). Seguono quasi a pari merito (circa il 20%) Iva e Irpef con circa 7 miliardi ciascuna. Poi c’è l’imposta di registro (circa 14%), che vale quasi 5 miliardi, quindi l’imposta ipotecaria e catastale, con circa 3 miliardi e mezzo.
Utilizzo Ma il valore aggregato dice ancora troppo poco. Interessante è scrutare nelle dichiarazioni dei redditi l’utilizzo indicato dai contribuenti. Il 45% del totale (circa 27 milioni) è indicata come abitazione principale sue pertinenze. Dunque, con un trattamento fiscale agevolato. Solo il 9% è dichiaratamente locato (circa 5 milioni) e altrettanti sono gli immobili ”a disposizione” dei proprietari, cioè le seconde case, quelle su cui il prelievo è maggiorato di un terso. Una buona fetta, invece (il 14,4%) viene segnalata nel rigo ”altri utilizzi”. E’ in questa categoria che si nasconde spesso l’evasione. Si tratta di alloggi che vengono concessi a figli o altri parenti in comodato, senza richiedere l’affitto. Su queste abitazioni non c’è la maggiorazione fiscale. Un’altra quota (quasi l’11%, pari a quasi 6 milioni di case) risulta non individuabile perché riconducibile a casi in cui non si prevede obbligo di dichiarazione. In questa sezione si concentrano le società, che inseriscono i fabbricati a bilancio e quindi non hanno l’obbligo di denuncia. In ogni caso resta un’ampia zona grigia, difficile da individuare.
Nord e Sud L’analisi sull’utilizzo rivela anche alcune differenze territoriali. Nelle regioni settentrionali la quota di immobili indicata con ”altri utilizzi” (dunque con un prelievo leggero) indicata dalle persone fisiche si ferma a quota 15,9%. Al centro la stessa quota sale al 16,3 e al sud ancora al 16,7%. Ma con profonde differenze. C’è il picco della Sicilia del 18,4% e la buona performance della Sardegna all’11,5%. Una semplice indicazione non è certo segnale automatico di evasione. Ma la conoscenza dettagliata di questi dati fornisce strumenti importanti per le politiche abitative e fiscali, soprattutto in vista del federalismo. I Comuni puntano ad autogestire il prelievo sugli immobili e con esso anche il catasto. Se davvero vorranno mantenere livelli di gettito adeguati, dovranno attivare forme efficaci di contrasto all’evasione. Ma senza la ”bussola” dei numeri sarà difficile orientarsi tra milioni e milioni di contribuenti. Non si possono certo inviare milioni di vigili a censire alloggi e locatari. Sta di fatto che nonostante i «buchi» informativi, gli unici consistenti sgravi fiscali varati finora (da destra e sinistra) hanno riguardato il patrimonio immobiliare.
Scenari evolutivi. Conoscere i dati apre molte prospettive future, con molti ambiti innovativi. Un percorso praticabile può essere rappresentato dalla valorizzazione dei dati dell’Anagrafe Tributaria. Per esempio una integrazione delle elaborazioni con altri elementi desumibili dai contratti di locazione registrati, dalle utenze attivate o dall’osservatorio del mercato immobiliare permette di perfezionare i dati già esistenti.