Giordano Bruno Guerri, il Giornale 23/1/2009, 23 gennaio 2009
ECCO LE ISTRUZIONI PER FARE I FUTURISTI ANCHE A LETTO
Marinetti conobbe Benedetta - che amerà fino al termine dei suoi giorni - nel 1919, a quarantatré anni, e si sposò a quarantasette. Fino a allora la sua vita sentimentale fu un susseguirsi di seduzioni facili e gloriose, come spetta a un creatore fascinoso. L’aspetto gradevole, il suo contegno anticonformista e la fortuna dei suoi averi gli avrebbero permesso di scegliere il meglio. Invece seppe adattarsi, mostrando anche nelle imprese amatorie l’elastica duttilità che il futurismo considerava una delle qualità dinamiche dell’uomo al passo dei tempi.
Lontano dalle fantasie dannunziane, ma anche dai sentimentalismi morbosi alla Fogazzaro, Effetì non delineò mai l’immagine di una donna ideale. Frequentò, per effimeri incontri carnali, borghesi annoiate e aristocratiche di tutta Europa desiderose di arricchire il loro carniere con chi proclamava il «disprezzo della donna»: ma non erano le sue predilette. Non risparmiò fanciulle troppo carine per essere oneste, lavoratrici di case d’appuntamento d’alto bordo e di bordelli infimi, eccentriche con aspirazioni artistiche e popolane senza pretese.
Nel loro elogio dei sensi, per i futuristi l’amore significa soprattutto conquista e amplesso. In Mafarka, Marinetti si fa beffe della morale comune affermando che «Possedere una donna non è strofinarsi contro di essa, ma penetrarla» e che «Non vi è di naturale e di importante che il coito il quale ha per scopo il futurismo della specie». /
esemplare la sua avventura con Isadora Duncan, la celeberrima ballerina americana che Marinetti conobbe a Parigi nel 1909. Quasi coetanea, quell’anno Isadora esordì nella capitale francese e la sua «danza libera» - che finirà per influenzare anche il balletto classico - suscitò reazioni simili allo sconcerto provocato dal Manifesto. L’incontro di reciproca ammirazione fu inevitabile. Colta e affatto conformista anche lei (Isadora era madre senza essere sposata), è rimasto nella storia un loro ultimo dell’anno insieme, forse quello del 1909, forse quello del 1910. «Soli in casa mia: e io ballerò per te tutta la notte» promise invitandolo nell’antico e grandioso studio di Rodin che aveva affittato e «nebbiosamente drappeggiato di altissime tende di velluto perlaceo lilla viola fumo».
Dopo una cena a base di cibi indiani, frutta tropicale e «droghe sospette», passata la mezzanotte arriva come un fantasma meccanizzato un pianista in frac, occhialuto e striminzito, che suona agli ordini, «senza mai aprire bocca né guardarci». Nel caldo torrido che Isadora predilige, «ebbra di champagne cognac whisky», danza seminuda «come un grande oratore parla» o «come un bel fiore nella brezza primaverile». Assillati da mille desideri, «baci carezze amplesso ritorni di fiamma non bastano né a me né a lei». Effetì pretende una danza futurista - che è ancora nella sua testa, il relativo manifesto verrà nel 1917 - e suggerisce il tema: trecento lampade elettriche che abbagliano la luna. Isadora esegue: «Dopo un primo viluppo di passi sospirati e gementi la danzatrice mutatasi in motore moltiplica girando a tutta velocità le allucinanti rotondità di cento lampade elettriche in zuffa fra loro per soverchiarsi». Eccitata dalla sua stessa impresa e dall’uomo che gliel’ha suggerita, Isadora gli propone un matrimonio. Marinetti, «benché innamoratissimo», non ci pensa neppure. Ha sedotto una delle donne più desiderate al mondo e ora vuole andare nei giardini di Versailles, a vedere la prima alba dell’anno nuovo. Le parla delle «infinite libertà spirituali e quindi musicali del Golfo di Napoli».