Fabio Martini, La Stampa 30/1/2009, 30 gennaio 2009
Per qualche ora è restato col fiato sospeso, nemmeno Tonino dal fiuto fino riusciva a capire come sarebbe andata a finire
Per qualche ora è restato col fiato sospeso, nemmeno Tonino dal fiuto fino riusciva a capire come sarebbe andata a finire. Sono le sei della sera di mercoledì 28 gennaio, la «sparata» di Antonio Di Pietro contro Giorgio Napolitano risale a sei ore prima e nel suo ufficio Tonino è ansioso di capire: come reagirà la gente a quell’affondo così hard? Il «Peron di Montenero» è rinchiuso nel bunker al quinto piano di Montecitorio e finalmente i suoi gli comunicano la sentenza: «E’ un trionfo: il nostro centralino è in tilt, il sito dell’Unità è pieno di improperi contro Veltroni e di incitamenti per te, per non parlare di quello de La Repubblica, un diluvio di messaggi, ne arrivano a decine ogni minuto...». L’adrenalina di Tonino si impenna: «Allora fate una cosa: mi stampate tutto e me li fate leggere». Per ore e Di Pietro si è guardato tutti i messaggi. Sbalorditivi. Dall’”Unità”: «Purtroppo alle elezioni ho votato Veltroni, ma non succederà più, Forza Tonino!»; «da ieri sono un ex elettore del Pd»; «caro pd, perderai altre centinaia di migliaia di voti dopo questo ennesimo allineamento alla politica dell’ipocrisia. Un ormai ex sostenitore del Pd»; «bello spettacolo vedere tutti all’unisono attaccare Di Pietro: ipocriti e in malafede»; «da vecchio comunista, sapete cosa vi dico? Sono con Di Pietro». Quasi tutti così i messaggi. Certo, accanto ai delusi del Pd, compaiono anche solidarietà per Napolitano e a Veltroni, ma la maggioranza dei (numerosissimi) navigatori dell’Unità e della «Repubblica» sta appassionatamente con Tonino. E così, quando alle 10 della sera lascia Montecitorio, Di Pietro capisce di avere fatto centro. Altre volte non era andata così. Dopo la prima piazza Navona e le invettive contro tutto e tutti, compreso il Papa, su siti e centralini non fu festa. E neppure dopo le intercettazioni del figlio Cristiano. Stavolta è diverso: tornando verso la sua casa romana in via Merulana - quella del «Pasticciaccio brutto» e del commissario Ingravallo - Tonino capisce che a fare la sua fortuna è stata un mix: la sparata contro Napolitano e la successiva solidarietà al Capo dello Stato espressa da parte di Veltroni, una dichiarazione che nei Tg è finita assieme a quella dei notabili del centrodestra. Mercoledì notte Di Pietro ha capito che può proseguire quella vendemmiata ai danni del Pd, che - sinora e in tutti i sondaggi - ha fatto impennare l’Italia dei Valori al 10 per cento e ha fatto rinculare il Pd al 25-26 per cento. Ha capito che - ben oltre il recinto dei suoi tradizionali elettori giustizialisti - c’è una fascia di elettorato indignato, quella che nei messaggi di queste ore idealmente si appella «a Pertini», «a Scalfaro». Elettori non necessariamente forcaioli che si stanno staccando dal Pd, dalla Sinistra radicale e possono votare per Tonino, perché per dirla con il navigatore «Ki Ka Tsè», «a me non me ne frega niente se Di Pietro ha la Mercedes, lui è l’unico che fa il suo lavoro: l’opposizione». E così, ieri mattina - a dispetto della valanga di critiche da parte di tutti - Di Pietro ha tenuto il punto: «Rivendico ciò che ho detto e forse il presidente Napolitano avrebbe fatto bene a stare lì ed ascoltare una piazza dove non c’erano eversori né terroristi». Una tenuta che preannuncia una piccola rivoluzione nel «mondo di Tonino»: la fine dei piccoli notabili del territorio e la scommessa sull’universo dei «senza partito». Nella storia di Di Pietro c’è un trauma che lui stesso non ha voluto mai voluto ammettere. Nel 2001, nelle prime elezioni affrontate, la Lista Di Pietro conquista tanti voti (1.443.379) ma si ferma al 3,89 per cento, un filino sotto il quorum del 4 per cento necessario ai partiti solitari per entrare in Parlamento. Per cinque anni Tonino resta un extraparlamentare, ma nel 2006 il ricordo di quella beffa lo porta ad imbarcare personaggi che gli promettono di «portare pacchetti di voti sul territorio». E’ il caso, tra i tanti, di Sergio De Gregorio o della capa della Federcasalinghe, la mobilissima Federica Gasparini. E nel 2008, al momento di fare le liste, vengono imbarcati personaggi incoerenti con i sacri principii del capo, con una particolare indulgenza per alcuni ex-Udeur, oltretutto ”caricati” all’ultimo minuto. Ora la mission è cambiata e per dirla con Renato Cambursano, uno dei fondatori dell’Idv, «si potrebbe dire che, davanti al vuoto lasciato dal Pd, ci troviamo nelle condizioni di lanciare... un’Opa su una fetta di elettori delusi, una parte del popolo delle Primarie, ma anche verso gli astensionisti e, davanti ad una crisi economica davvero grave, anche verso una parte dell’elettorato di una Sinistra radicale, che è sempre più in difficoltà». Tanto è vero che Tonino non ha preso sottogamba la proposta di un’alleanza tra Di Pietro e i «senza partito», appello lanciato da una personaggio come lo scrittore Andrea Camilleri, da sempre molto affettuoso con Veltroni. Certo, il vero regista dell’operazione, il direttore di Micromega Paolo Flores d’Arcais, pensa ad una «bicicletta», un simbolo a due facce, ipotesi che non ha mai convinto Di Pietro, che infatti sostiene: «Sono pronto ad aprire le liste al 70-75% di società civile». Pur di fare il pieno in tutta la galassia dei senza partito, Di Pietro rinuncerà al suo simbolo? Per ora non lo sa neppure lui, anche se per il momento continua a condurre la sua Idv con piglio autoritario. Ieri, durante le votazioni sul ddl contro lo stalking, Di Pietro ha chiesto alla presidenza che fosse ripetuta una votazione, «in quanto non ho potuto dire al mio gruppo come intendiamo votare». Con buona pace della libertà di mandato di ciascun parlamentare. Stampa Articolo