Roberto Mania, la Repubblica 30/1/2009, 30 gennaio 2009
ROBERTO MANIA
ROMA - «Sui coefficienti per il calcolo delle pensioni andremo dritti, senza la solita melina sindacale». questa la linea del governo, come spiegano tutti i ministri interessati. Avanti, senza negoziati estenuanti, per far scattare automaticamente dal primo gennaio del 2010 i nuovi parametri per definire la pensione in base alle aspettative di vita: prima lasci il lavoro, meno prendi. Il taglio dell´assegno pensionistico, a seconda dei casi, varierà dal 6 all´8 per cento. Una riduzione che si potrà contenere solo lavorando più a lungo. Tutto già definito dalla riforma Dini del �95 e poi dalla Damiano (quella che ha trasformato il famigerato "scalone" di Maroni in un po´ di scalini insieme alle quote dell´età anagrafica) e che, tuttavia, non escludevano un confronto con i sindacati. Anzi.
Nel 2009 non è previsto che si apra, in senso stretto, il cantiere previdenza, a parte la questione relativa all´innalzamento graduale e volontario dell´età delle donne, come impone una sentenza della Corte di Giustizia europea. In ogni caso, il ministro dell´Economia, Giulio Tremonti, dalle nevi di Davos ha gettato il sasso nello stagno, pronunciano la parola proibita: pensioni. «Anche se - dicevano ieri gli uomini del governo - le pensioni sono un tema immanente». Insomma ci sono sempre, anche quando non se ne parla, perché la voce previdenza assorbe quasi i due terzi della nostra spesa sociale, il 14-15 per cento di tutto il Pil e non è certo che sia del tutto stabilizzata la dinamica della spesa dato il processo di invecchiamento della popolazione. Comunque sono tante risorse che lasciano quasi a secco gli altri capitoli dello stato sociale, dagli ammortizzatori sociali all´assistenza. D´altra parte la strategia del governo è stata già delineata nel Libro Verde del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ma, quando è stata scritta, guardava a uno scenario non recessivo e lungo almeno quanto l´intera legislatura: cambiare il welfare state ispirandosi alla cosiddetta "flexsecurity", tutelando il lavoratore e non il posto di lavoro, spostando le risorse dalle pensioni alle altre voci dello stato sociale. Operazione complessa e strutturale - come, appunto, ha detto Tremonti - ma che difficilmente potrà realizzarsi in piena recessione globale. Non perché proprio la crisi non possa rappresentare una spinta a realizzare le riforme, piuttosto perché un intervento sulle pensioni (a parte quello sui coefficienti) potrebbe trasformarsi in un boomerang. E il governo potrebbe ritrovarsi con un´arma in meno per fronteggiare la crisi che sta travolgendo il sistema industriale e che presto potrebbe far esplodere il numero dei lavoratori in esubero. Quelli da licenziare o, appunto, da pensionare quando si può. Eppure al ministero del Lavoro e a quello dell´Economia, i tecnici, durante la preparazione dei primi e parziali provvedimenti anti-crisi, hanno aperto anche il dossier previdenza. Seguendo un percorso già "battuto"(si è cominciato con la riforma Amato del ´92) e anche l´unico che può dare, in caso di emergenza finanziaria, risparmi consistenti: quello della chiusura delle cosiddette "finestre" che permettono, quattro volte l´anno, di andare in pensione di anzianità, cioè prima di avere maturato i requisiti per l´accesso alla quiescenza per vecchiaia. Dietro le quinte, gli sherpa hanno ripreso a fare i conti, stimando che da un dimezzamento delle "finestre" (da quattro a due) si potrebbero ricavare intorno ai due miliardi l´anno. Cento, centodiecimila lavoratori ogni anno verrebbero trattenuti al lavoro ancora per sei mesi. Un meccanismo per innalzare di fatto l´età di uscita, ma non la riforma strutturale che invece aveva proposto il presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, con uno scambio sempre all´interno del sistema di welfare: alzare l´età per aumentare le risorse a favore degli ammortizzatori sociali.
L´intervento sulle pensioni di anzianità è rimasto per ora solo un esercizio tecnico. Il governo l´ha rimesso nel cassetto, ma non si sa mai. Per ora non ci sarà nemmeno la riforma degli ammortizzatori sociali. Gli otto miliardi per il biennio 2009-2010 (se si troverà l´accordo con le Regioni) finanzieranno l´estensione della cassa integrazione in deroga, cioè a favore di chi (a cominciare dai lavoratori precari) non ha diritto ad alcun sostegno al reddito una volta perso il lavoro. Un intervento decisamente congiunturale, legato alla crisi e quindi alla possibilità di utilizzare i fondi europei per fini diversi da quelli previsti dalla stessa normativa dell´unione.