Aldo Grasso, Corriere della Sera 30/1/2009, 30 gennaio 2009
CON LA REPLICA DI PAOLO ROMANI
Un dubbio, un forte dubbio, sta serpeggiando fra gli operatori del settore: a Mediaset qualcuno non ci dorme la notte; in Rai dicono che non è colpa loro, che se non ci fosse stata di mezzo l’imposizione dell’Unione europea…; al ministero rassicurano, non potendo fare altro.
Il dubbio nasce dal fatto che, dopo infiniti rimandi, il digitale terrestre incontra più difficoltà del previsto e che, alla fine, rischia di rivelarsi per quello che è: una tecnologia obsoleta, costosa, limitata. Quello che l’ex ministro Gasparri presentava come il Paradiso terrestre delle comunicazioni pare ogni giorno di più un inferno.
La messa in opera del Dtt è in sofferenza, come testimonia la Sardegna, dopo lo switch off di ottobre, lo spegnimento della tradizionale tv analogica e il passaggio coatto alla nuova tecnologia. In molte zone ci sono seri problemi di ricezione: non si vede ancora il nuovo ma non si vede più neanche il vecchio. Della nuova situazione ha approfittato Sky, aumentando il normale trend dei propri abbonamenti sull’isola.
Che il passaggio da una tecnologia di vecchio tipo a una nuova comportasse una serie di problemi lo si sapeva, succede in tutti i campi. C’è molta confusione sui decoder (quelli comprati a minor prezzo non danno garanzie di affidabilità, alcuni non hanno nemmeno gli standard europei e quindi non riescono a captare le frequenze Vhf, su cui trasmette la Rai), la sintonizzazione dei canali non è impresa facile, molte antenne vanno sostituite o ripuntate e comunque liberate dei vecchi filtri. Nei centri urbani i risultati cominciano a dare i loro frutti e dove prima si vedevano 20 o 25 canali adesso se ne possono vedere 80, con una migliore qualità dell’immagine.
Ma i veri problemi di fondo sono altri, due in particolare. La tecnologia del Dtt è una tecnologia pesante, ha bisogno di molti trasmettitori, più potenti e più capaci dei mille e mille vecchi tralicci con cui, in cinquant’anni di storia, la Rai è riuscita a «illuminare» l’intero Paese. vero, come sostiene qualcuno, che anche altri Paesi europei hanno avuto problemi nel passaggio dall’analogico al digitale ma nessun Paese europeo ha la struttura orografica dell’Italia. C’è tutto un fiorire di aneddoti e di leggende sulla straordinaria bravura dei tecnici Rai nel portare il segnale nelle più sperdute e inaccessibili zone delle valli alpine e della dorsale appenninica. Adesso il problema si ripropone, più grande ancora. Come dimostra appunto il caso dell’esperimento Sardegna. E quando, fra poco, toccherà alla Valle d’Aosta, al Piemonte, al Trentino, alla Campania cosa succederà?
A fronte di questi intoppi, per altro prevedibili, c’è da registrare un’aggiunta importante: per mantenere attivi i trasmettitori ci vuole un enorme impiego di energia in un paese dove l’energia si compra a caro prezzo. Se si spegnessero tutti i trasmettitori si potrebbe tranquillamente alimentare una città, contribuendo a diminuire l’inquinamento elettromagnetico. Senza contare, al contrario, che il segnale via satellite ha bisogno di minore energia.
Il secondo grande problema è questo: il Dtt è la conseguente evoluzione del segnale analogico; si pensava quindi, ragionevolmente, che il passaggio fosse più naturale, meno traumatico, specie in regioni pianeggianti. Con un semplice decoder l’utente trasforma il vecchio televisore in una macchina delle meraviglie. Il che è vero, ma solo in parte. Senza entrare troppo nello specifico, il Dtt è una tecnologia limitata, perché riesce a fornire un numero alto ma pur sempre contenuto di frequenze.
Un esempio: in questo momento va in onda il Grande Fratello, un programma la cui caratteristica principale è che le telecamere nella casa romana sono accese 24 ore su 24. Su Sky c’è un canale apposito (Sky Show, 116) per vivere in diretta questa discussa esperienza. Il Dtt ne propone addirittura due, di canali: Extra1- Premium ed Extra 2-Premium. Il Dtt è più ricco del satellite? No, per niente. Su Sky Show c’è un tasto verde con cui si possono scegliere, senza cambiare canale, ben quattro inquadrature differenti, con i rispettivi sonori. Il Dtt, per fornire due inquadrature differenti, deve impiegare non uno ma due canali.
Il Grande Fratello può apparire un esempio poco significativo («E chissenefrega di vedere il GF!») ma se noi ragioniamo sul futuro della tv le cose si complicano non poco. La tendenza in tutto il mondo, a partire dagli Stati Uniti, è quella di offrire anche programmi in Alta Definizione. Che è uno strabiliante modo di vedere la tv in grado di cambiare radicalmente le nostre abitudini, non solo per lo sport o per il cinema. Ma se, per ipotesi, si cercasse di portare l’HD sul Dtt i canali si ridurrebbero drasticamente, perché l’Alta Definizione occupa molto spazio. E poi non si era detto che l’etere bisognava riservarlo alla telefonia?
L’Italia non è un paese cablato come gli Stati Uniti, o lo è solo parzialmente. A New York, con circa cento dollari al mese, ci si può collegare al cavo ed avere, contemporaneamente, i servizi televisivi (un’infinità di canali, a secondo del tipo di abbonamento) e quelli telefonici, compreso Internet. L’ideale per l’Italia sarebbe l’introduzione del WiFi, per poter usufruire dei vantaggi della Rete in ogni situazione, per facilitare l’integrazione fra televisore, pc e palmare. O la banda larga via satellite.
C’è infine un problema di investimenti: impiantare il Dtt terrestre costa. Bisogna comprare nuove frequenze, bisogna alimentare i trasmettitori, bisogna programmare nuovi decoder interattivi, bisogna… ma in Rai non c’è una lira. Non a caso lo sviluppo del Dtt è asimmetrico, sia dal punto di vista tecnologico che da quello della programmazione. A parte il piccolo miracolo di Rai4, Mediaset è molto più avanti, è come se, paradossalmente, si dovesse tirare dietro il suo competitor (o presunto tale, visto che nel frattempo il posto è stato occupato da Sky). Mediaset sul Dtt ha tre ottimi canali (Mya, Joy e Steel) ma fatica a dare loro la visibilità che meritano. Quanto tempo ci vorrà ancora perché questi tre canali entrino nelle nostre abitudini visive? Per questo, l’invito a pranzo di Fiorello da parte del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi va letto in maniera meno folcloristica di come è stato fatto. Per questo, Mediaset sta pensando di coinvolgere la Rai in una nuova avventura satellitare, Tivù Sat (48% Mediaset, 48% Rai, 4% La7). Eutelsat ha già pronto un satellite con nuovi trasponder, non bisognerà nemmeno spostare la parabola di Sky. A quel punto che fine farà il «vecchio» e costoso digitale terrestre?
Aldo Grasso
CORRIERE DELLA SERA 31/1/2009
C
aro direttore, ho letto l’articolo sul Focus
del Corriere di ieri «Digitale terrestre, prime sconfitte», rilevando con un certo stupore una contraddizione con il precedente Focus sulla stessa materia di appena due mesi fa, in cui il passaggio dalla tv analogica a quella digitale nel nostro Paese veniva trattato in modo assai diverso.
Nell’articolo di ieri emerge un atteggiamento fortemente critico, direi quasi di ostilità, verso un processo di trasformazione ormai avviato senza ripensamenti in tutti i Paesi europei, compresi quelli in cui altre piattaforme hanno una penetrazione superiore a quella del nostro Paese. Un’esigenza avvertita anche fuori dal nostro continente, dato che è notizia di queste ore che negli Stati Uniti è stata bocciata la richiesta di proroga dello switch off. Una trasformazione necessaria di cui il Ministero vuole essere protagonista, senza esitazioni o incertezze. E anche la nostra classe politica, che dalla questione televisiva ha sempre tratto motivi di scontro, ne ha ormai piena consapevolezza in tutte le sue componenti.
E in questa logica, d’intesa con l’Autorità e con le imprese, ma anche e soprattutto con i Governatori di tutte le Regioni, è stato predisposto il calendario per gli switch off
delle diverse aree all digital del 10 settembre scorso, avviatosi lo scorso ottobre in Sardegna con risultati estremamente positivi (i disagi lamentati sono stati in realtà molto contenuti e circoscritti a porzioni di territorio infinitesimali) e la cui conclusione è prevista nel 2012, ma che già nel 2010 porterà oltre il 70% della popolazione italiana a ricevere il segnale televisivo esclusivamente in digitale. Mi permetto peraltro di fare alcune precisazioni sull’articolo. Innanzitutto laddove è detto che la televisione digitale terrestre «è una tecnologia obsoleta, costosa e limitata» riuscendo «a fornire un numero alto ma pur sempre limitato di frequenze». Premesso che qualsiasi tecnologia ha dei limiti intrinseci, rilevo come il digitale sia in grado comunque di offrire prestazioni di gran lunga superiori alla ormai obsoleta tecnologia analogica, sia in termini di qualità visiva e sonora che in termini di sfruttamento della banda trasmissiva (nella porzione di spettro necessaria a trasmettere un solo programma in analogico vengono trasmessi anche otto programmi in digitale).
Riguardo ai costi, poi, va detto che oggi gli investimenti necessari a realizzare una rete televisiva in digitale terrestre sono sostanzialmente equivalenti a quelli di una rete analogica, consentendo peraltro un risparmio su quelli di gestione dovuto principalmente al minor consumo di energia elettrica.
Considerando che una rete digitale può diffondere fino ad otto programmi televisivi, risulta che la trasmissione di un suo programma costa circa il 12% in meno del suo costo in analogico.
E’ inoltre inesatto sostenere che la televisione digitale «ha bisogno di molti trasmettitori più potenti e più capaci di quelli analogici ». La copertura avviene inizialmente con lo stesso numero di impianti ed è presumibile che a regime sia possibile garantire l’attuale copertura con un numero di impianti inferiore. Al contrario di quanto affermato, il trasmettitore digitale, grazie alla maggiore efficienza della tecnologia impiegata, consente di ridurre a un quarto la potenza di trasmissione, che si traduce in una riduzione dell’impatto elettromagnetico di oltre il 50%.
Analogamente non condivisibile è la frase in cui si dice che «per mantenere attivi i trasmettitori ci vuole una enorme quantità di energia». A parità di copertura, un trasmettitore in digitale consuma infatti circa il 30% in meno rispetto a un trasmettitore analogico. Considerando il consumo di energia elettrica necessario al funzionamento di una buona rete a copertura nazionale e dividendolo per il numero di impianti (circa 1700) risulta che il consumo medio annuo di un singolo trasmettitore è paragonabile al consumo medio annuo di una famiglia italiana. Quindi del tutto trascurabile.
Ci tengo peraltro a ribadire come l’atteggiamento del Governo sia consapevole e rispettoso del principio della neutralità tecnologica tra le diverse piattaforme. Ciò non toglie però che il compito di un’Amministrazione sia quello di adeguarsi ai processi di evoluzione di ogni forma di diffusione televisiva; e quella terrestre è quella utilizzata da oltre 50 anni dalla quasi totalità dei cittadini. Mi vedo quindi costretto, ancora una volta, a sottolineare l’importanza di un’innovazione che cambierà e integrerà profondamente l’offerta televisiva. La via italiana al digitale terrestre è caratterizzata dalla moltiplicazione delle offerte e dei canali (per quattro o cinque o addirittura otto, come abbiamo visto) ma anche da nuovi contenuti (l’accesso a contenuti di pregio), da una nuova qualità di visione (l’alta definizione gratuita per tutti), da nuove modalità di fruizione (la televisione in mobilità), da nuovi servizi e opportunità (la navigazione in televisione) per la generalità dei cittadini che renderà davvero la tv un media diverso da quello che siamo abituati a conoscere, in linea con l’evoluzione dei consumi culturali in atto soprattutto delle fasce più giovani. Una grande apertura verso il pluralismo (si pensi alle possibilità per l’ingresso di nuovi editori) e l’innovazione, con ricadute positive anche sull’occupazione in un momento difficile.
Il nostro Paese è spesso afflitto dalla caratteristica della propria sottovalutazione. Così quando guardiamo a settori ad alto contenuto di sviluppo tecnologico spesso gli altri sono più avanti e non rimane che rincorrere. E’ questo invece uno dei casi in cui dovremmo essere orgogliosi delle scelte operate e collaborare tutti insieme per sostenerle.
*Sottosegretario di Stato alle Comunicazioni.
Prendiamo atto delle osservazioni del Sottosegretario Paolo Romani, precisando però che nessuno aveva intenzione di difendere una tecnologia «preistorica» come il segnale analogico. Le considerazioni del Focus, tutte ampiamente documentate, nascevano da un’altra considerazione: considerata l’orografia dell’Italia, non era più conveniente servirsi di un’altra tecnologia digitale? Non a caso, Rai, Mediaset e La7 pensano ora di creare una loro piattaforma satellitare a integrazione del Dtt (ag).