Filippo Ceccarelli, 29 gennaio 2009
TRENT’ANNI DI FURBIZIA DA "PIANISTI" ORA LE IMPRONTE PER MEMORIZZARE IL VOTO
Se ci riescono, è un fatto storico. Se davvero si riuscirà a estirpare da Montecitorio la mala pianta dei pianisti, per la prima volta da un tempo immemorabile il Parlamento italiana potrebbe rallentare, se non invertire la sua deriva verso il discredito e l´irrilevanza. Se, se e se.
Il periodo ipotetico e rinforzato è d´obbligo. Il nuovo sistema di voto che prevede il riconoscimento delle impronte digitali degli onorevoli dovrebbe scattare il prossimo 9 marzo e comunque sarà operativo su base volontaria. Le nuove tessere arriveranno tra un mese. Sono attese diverse verifiche tecniche. La prova generale, secondo un desiderio del presidente Fini, coinvolgerà probabilmente i giornalisti parlamentari. In quell´occasione si potrebbe anche conoscere il costo dell´operazione, che a ottobre veniva ufficiosamente stimato intorno ai 400 mila euro, che però già a dicembre erano lievitati a 550 mila.
In ogni caso si tratta di cifre che gli scettici accettano con qualche rassegnato sconcerto. Si può dire che i pianisti esistono da quando in aula è entrata l´elettricità. In un primo momento questi seguaci del voto plurimo, a più mani e per delega telepatica, furono detti «tastieristi» o «pulsantisti». L´immagine insieme poetica, digitale, prestidigitatoria e musicale del pianoforte si deve probabilmente, nella seconda metà degli anni settanta, alla irresistibile fantasia di Marco Pannella, non a caso figlio di una insegnante-concertista; e con significativa rapidità il «pianismo» all´italiana ha fatto il giro del mondo, tanto che quattro anni orsono il sovrano malese Iang di Pertuon Agong, in visita alla Camera, chiese all´allora presidente Casini chiarimenti e approfondimenti, pure richiedendogli una dimostrazione pratica.
Lungi dall´ingentilire la pratica, il timbro sinfonico accordato al nome di questo mini broglio d´aula ha senza dubbio contribuito alla sua sintomatica rinomanza. Nel 2002, ai tempi della Cirami, i girotondi organizzarono un vero e proprio concerto di pianisti (jazz) a piazza Navona, opportunamente sistemati su un palco dietro cui scorrevano le immagini di senatori votanti per conto di colleghi. Così come nel 2005, alla presentazione dell´ormai tradizionale concerto di Capodanno, con le medesime intenzioni polemiche il senatore verde Turroni ha distribuito ai presenti (tra cui Riccardo Muti) un finto spartito musicale, con tanto di «esecutori d´orchestra e coro della CdL, diretti dal maestro Pera» - che non la prese affatto bene.
Vero è che almeno due generazioni di presidenti convivono turbinosamente con i pianisti. Questi hanno in genere motivazioni politiche, ma a volte votano per non far perdere la diaria agli amici e ai compari assenti. I primi e del tutto vani giri di vite risalgono all´autunno-inverno del 1990, quando la Iotti organizzò uno speciale nucleo anti-brogli formato da commessi e funzionari che avrebbero dovuto ritirare le tesserine ai votanti telepatici per conto altrui. Da allora si sono inutilmente rincorsi i più vari metodi: cambi di sistemi elettronici, differenti tesserine, posti fissi, ronde di segretari. Procedimenti pure intervallati da grottesche tecno-pensate tipo maggiori lucette, controlli dell´iride, sensori sotto il banco. La scelta dell´imminente sistema a impronte digitali risulta ispirata dall´osservazione di un congegno in vigore - ma sul serio - nel parlamento messicano.
Nel corso degli anni e delle frequenti sceneggiate si segnalano anche illustre figure di avvistatori di pianistiche irregolarità, detti «vedette lombarde», tra cui gli occhiutissimi Bassanini e Buontempo. Ma pure finti assenti come l´indimenticabile Zamberletti che nella confusione dello scrutinio spariva sotto lo scranno per poi riemergere a sorpresa, una volta chiamato in causa, facendo «cu-cu!».
Inutile rimarcare quanto poco ha funzionato il complesso e ridondante complesso di sanzioni, richiami, richiami formali, deplorazioni, multe ed espulsioni. In pratica sono stati cacciati e sospesi pochissimi parlamentari, ma di tutti i partiti: l´ottantenne leghista Rossi, il ds Olivieri, il popolar tirolese Widmann, il berlusconiano Verdini. Ognuno di loro, in linea di massima, è stato poi discolpato se non apertamente difeso dal suo gruppo. Il «principe dei pianisti», senatore Lauro, di Fi, si è anche sdegnato presentando le dimissioni al suo capogruppo, senatore Schifani, che le ha respinte con solenne ed encomiastica formula.
Da Berlusconi a Bertinotti, passando per gli ex dc Marini e Giovanardi che essendo cattolici hanno parlato l´uno di «peccato generalizzato» e l´altro di «peccato veniale», molti potenti della Repubblica hanno ridimensionato il problema. Fini, c´è da dire, fa eccezione. Anche Casini, ma meno.
La vera pressione contro i pianisti viene piuttosto dall´opinione pubblica. Lo sviluppo della tecnologia delle immagini - telecannoni, moviole, telefonini - ha restituito al malcostume la sua macroscopica dimensione che a livello simbolico e pre-razionale concide con l´impressione, il sospetto o la certezza che «lì dentro», cioè in Parlamento, regnano l´inganno, l´imbroglio e la frode. E questo in fondo già basterebbe. Ma ancora una volta tocca dire: si vedrà.