Antonio Carlucci, L’Espresso, 29 gennaio 2009, 29 gennaio 2009
ANTONIO CARLUCCI PER L’ESPRESSO 29 GENNAIO 2009
Hillary regina del mondo Più soldi per la diplomazia. Carta bianca sui collaboratori. Libero accesso allo Studio Ovale. Un ruolo primario in Medio Oriente, Iraq, Afghanistan. La Clinton è già protagonista del gruppo Obama da New York
I principi e il pragmatismo al posto della rigidità ideologica. I fatti e le prove invece delle emozioni e dei pregiudizi. Ecco come Hillary Clinton vuole fare il segretario di Stato e interpretare la politica estera degli Stati Uniti nei prossimi quattro anni con Barack Obama alla Casa Bianca. L’ex First Lady, ex candidata alla nomination del Partito democratico, ex senatrice dello Stato di New York, ha cominciato una nuova vita. A 61 anni, da ministro degli Esteri del 44esimo presidente, ancora una volta all’insegna del potere. stata accolta con così grande favore che il ’New York Times’ ha scritto: "Dopo otto anni, è come bere un bicchiere di acqua fresca nel deserto". E ’Foreign Policy’ ha inaugurato un blog collettivo dal titolo ’Madame Secretary’.
Sarà Hillary a volare in Medio Oriente per fare la spola tra il governo di Israele e l’Autorità palestinese e per rimettere in piedi quella che nell’audizione per la conferma della nomina da parte del Senato Usa ha ricordato essere la visione di Washington: due Stati che vivono fianco a fianco in pace e in sicurezza. Sarà Hillary ad andare a Baghdad e a Kabul per ridisegnare l’intervento americano nei due paesi: sganciamento dall’Iraq e un più importante impegno in Afghanistan. Sarà Hillary a dover ricreare un nuovo rapporto con la Russia, a ridurre o incrementare relazioni e contenziosi con l’Unione europea, a gestire la convivenza con le potenze emergenti di Cina, India e Brasile nel peggiore periodo di crisi economica che il mondo abbia conosciuto dopo la Seconda guerra mondiale. Sarà infine Hillary a gestire una delle imprese più complicate: provare a riaprire un confronto politico e diplomatico con l’Iran.
Ma non sarà Hillary a decidere da sola come l’America, per dirlo con le sue parole, deve "usare il cosiddetto potere intelligente, con l’intera scala dei mezzi a nostra disposizione - diplomatici, economici, militari, politici, legali, culturali - scegliendo lo strumento giusto o una combinazione di essi per ciascuna situazione". E ancora: "La diplomazia non è un’impresa facile: ma se si lavora duramente, può funzionare e non solo per disinnescare le tensioni, ma per raggiungere risultati per la nostra sicurezza e per i nostri interessi e valori". Il nuovo segretario di Stato ha ricordato ai suoi colleghi senatori dove si prendono le decisioni, ovvero alla Casa Bianca, di cui Foggy Bottom, il nomignolo con il quale la Washington della politica indica la sede del ministero degli Esteri, è il braccio esecutivo: "Il presidente ha detto con chiarezza che non ci saranno mai dubbi sul fatto che la diplomazia ha il ruolo guida nella politica estera".
Saranno sempre rose e fiori tra Obama e la Clinton? Difficile scommettere senza correre il rischio di essere smentiti. I due hanno caratteri forti e decisi. Sono entrambi leader. Hillary Clinton è stata così descritta da Carl Bernstein, uno dei giornalisti del Watergate, nel libro ’La sua strada: le speranze e le ambizioni di Hillary Rodham Clinton’: "Ha la predisposizione a vedere chiunque critica i suoi piani, anche se lo fa in modo costruttivo, come un nemico". E poi, guardando alla loro storia nel Senato e alla battaglia per la nomination, presidente e segretario di Stato non sono sempre stati dalla stessa parte pur appartenendo allo stesso partito. Obama votò contro la guerra in Iraq mentre la Clinton disse sì a George W. Bush. Hillary fu anche contro la risoluzione democratica che attraverso il blocco di un finanziamento da 87 miliardi di dollari avrebbe congelato il progetto di Bush dello scudo antimissile, le cosiddette guerre stellari: Obama no.
E quando in campagna elettorale Obama disse che riteneva si dovesse parlare con tutti, anche con il presidente dell’Iran Mahmud Ahmadinejad, la Clinton caricò a testa bassa. Ora, almeno sulla questione iraniana, è Hillary che sembra aver modificato la sua posizione, visto che in Senato non ha escluso che un giorno il presidente Usa possa incontrare la leadership di Teheran: "Si parlerà con loro, ma non per il solo desiderio di parlarci. Si farà esclusivamente con gli appropriati interlocutori, nei tempi e nei luoghi che sceglieremo e soltanto se tutto ciò sarà nell’interesse degli Stati Uniti".
La scelta della Clinton per il posto di segretario di Stato è stata una delle prime fatte dal presidente Obama dopo la vittoria del 4 novembre. La chiamata al governo della rivale che non aveva risparmiato nessun colpo all’avversario, fu giudicata così: Obama ha deciso di fare come l’ex presidente Abraham Lincoln che, formando il governo, scelse tutti gli avversari per metterli fuori gioco. Hillary, dunque, è il numero uno del Team of Rivals di Obama, per evitare di lasciare loro libertà totale di criticare il presidente. Per dire sì all’offerta Hillary ha chiesto molte garanzie: accesso libero all’Ufficio Ovale, scelta dei propri collaboratori, rivalutazione del ruolo del Dipartimento di Stato sia in termini politici che economici (molte prerogative della diplomazia Usa erano state trasferite al Dipartimento della Difesa e al Tesoro con le guerre in Iraq e Afghanistan). Obama le ha detto sì, ma ha preteso qualcosa in cambio: Bill Clinton ha dovuto rendere noti i nomi dei donatori della sua Fondazione, a cominciare dai governi stranieri; poi ha accettato di cambiare lo statuto della sua società Global Business staccandola dalla Fondazione e svelare ogni anno i nomi dei donatori stranieri. E, per finire, si è impegnato a sottomettere alla Casa Bianca i discorsi che farà in giro per il mondo: come a dire, non c’è solo un presidente alla volta, c’è anche un solo segretario di Stato.
Chiuso l’accordo, Hillary, prima ancora di andare in Senato per le audizioni di conferma dell’incarico, ha fatto le prime scelte per Foggy Bottom. La novità più importante è il raddoppio dei vice, mossa che ha fatto chiaramente intendere la direzione che la Clinton vuole prendere. Con Jacob Lew, ex responsabile del budget con Bill Clinton alla Casa Bianca e con James Steinberg, ex vice consigliere per la sicurezza nazionale, Hillary vuole accrescere il potere del Dipartimento di Stato nell’equilibrio interno al governo, sapendo che i suoi aiutanti devono occuparsi di accrescere le disponibilità finanziarie della diplomazia e seguire ogni avvenimento sotto il profilo della sicurezza nazionale.
La seconda scelta della Clinton rimette in vita figure che George Bush aveva cancellato: quella degli inviati speciali, ovvero rappresentanti del Dipartimento di Stato che per la complessità dei problemi vengono incaricati di seguire aree particolari. L’attenzione si è subito concentrata su alcuni nomi di spicco della diplomazia americana: Richard Holbrook, l’artefice dell’accordo di Dayton per la crisi balcanica, è indicato come il candidato numero uno all’incarico di inviato speciale per Pachistan e India; Dennis Ross, che fu inviato speciale per il Medio Oriente con Bill Clinton, ha tutte le carte per aspirare alla nomina di inviato speciale per l’Iran.
La crisi di Gaza ha suscitato attenzione per la decisione su chi nominare come inviato per i rapporti tra Israele e i palestinesi. Il prescelto è George Mitchell, ex senatore e responsabile della Middle East Peace Commission che Clinton varò alla fine del suo secondo mandato. Mitchell, padre irlandese, madre libanese, è visto come un fedele interprete dello sforzo della Casa Bianca di arrivare alla pace senza mettere in campo un inviato-mediatore che ha una relazione particolare e prioritaria con Israele. Altri due diplomatici di carriera che godono di largo consenso - William Burns e Kurt Campbell - sono destinati a occupare due posti al vertice del Dipartimento di Stato seguendo rispettivamente gli affari politici e le questioni del Sud-est asiatico, a cominciare dal problema della Corea del Nord.
Le incognite del futuro non riguardano solo il tipo di rapporto che riusciranno a costruire il presidente e il segretario di Stato: Hillary sa che una qualsiasi aperta manifestazione di dissenso con le scelte della Casa Bianca farebbe diventare irrilevante la sua figura agli occhi dei leader degli altri paesi e Obama è consapevole che licenziare la Clinton per manifesta diversità di vedute gli porterebbe solo problemi. Ma se i due dovessero riuscire a convivere senza problemi, c’è la terza incognita: Joe Biden, il vice presidente. Da subito, ha detto che lui non è una comparsa, tanto più che ha ottenuto la possibilità di formulare note scritte per il presidente su qualsiasi problema. "Io non voglio essere quello che si occupa solo dei rapporti Usa-Russia o di reinventare il governo", ha detto Biden alludendo al ruolo che Bill Clinton aveva assegnato al suo vice Al Gore: "Voglio essere l’ultima persona nella stanza a essere interpellato e dire la mia prima su ogni decisione importante". Obama sembra essere d’accordo, tanto è vero che è stato Biden a volare in Pachistan, Afghanistan e Iraq qualche giorno prima del giuramento.
Insomma, Hillary Clinton, che a 61 anni e con questo incarico dovrebbe avere messo da parte l’idea di correre ancora per la Casa Bianca, ha trovato un nuovo rapporto con Obama dopo lo scontro per la nomination. Lei lo sa e ha manifestato questa sua consapevolezza: "Ora nella mia vita ci sono non uno, ma due uomini a cui rispondere sempre al telefono". Ma il percorso è tutto in salita e Hillary Clinton sa anche che, se ci saranno giorni difficili, la sua ultima trincea è la global family cui appartiene, Bill, lei e Chelsea, un nucleo sempre pronto ad affrontare avventure politiche e disavventure familiari, capaci di suscitare intense passioni e odi profondi.