Fabio Poletti, La Stampa, 29/1/2009, 29 gennaio 2009
L’UCCIARDONE DI PALERMO
Sarà anche il «Grand Hotel dell’Ucciardone» come viene ironicamente chiamato dai detenuti, ma i servizi nella vecchia fortezza borbonica nel cuore di Palermo che funge da carcere dal 1832 non sono certo a cinque stelle.
I posti letto sono 378, i detenuti nel 2008 sono arrivati ad essere anche 718, quasi il doppio. In alcune celle da quattro dormono anche in 12 in grappoli di quattro letti a castello. Per dormire si fanno i turni tra il giorno e la notte. La televisione sempre accesa non concilia certo il sonno. Di privacy non se ne parla.
Le condizioni igieniche sono quelle che sono. I cessi alla turca sono spesso tappati con bottiglioni di vetro per evitare che i topi che escono dalle fognature fatiscenti invadano le celle. I lavandini sono rotti e senza lo scarico. L’acqua piove dai rubinetti sul pavimento o in alcuni bidoni che vengono svuotati dagli stessi detenuti. «Questo non è un carcere. E’ un lager, deve essere chiuso. Anche l’azienda sanitaria locale di Palermo ha detto che mancano i requisiti di agibilità», racconta Lino Buscemi, direttore generale dell’Ufficio del Garante dei detenuti che dipende dalla Regione Sicilia.
A rendere particolarmente complicata la vita dei detenuti spalmati in otto sezioni - la metà dei reclusi è in attesa di giudizio - sono anche le condizioni sanitarie. Ai numerosi tossicodipendenti viene somministrata una terapia metadonica, il reparto è in buone condizioni, al massimo qualche muro scrostato come tutto il carcere, ma soffre per la carenza di personale specializzato. Una cinquantina di detenuti soffre di problemi psichiatrici. E’ difficile trovare gli spazi adeguati per la loro reclusione, spesso vengono rinchiusi in cella con altri detenuti. Quando è possibile i detenuti con problemi psichici vengono trasferiti in osservazione al vicino Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto.
Soltanto un quinto dei detenuti è poi impegnato in lavori di qualche tipo. Nel carcere vengono organizzati corsi per falegnami, fabbri, calzolai e si tengono le lezioni per le scuole elementari e medie. Mancano però spazi adeguati per compiere i lavori. La maggioranza dei detenuti vive la maggior parte della reclusione in cella dove la luce è scarsa o nei cortili per le ore d’aria che hanno pareti crepate e fatiscenti.
Eppure, Ucciardone, il nome gentile del carcere, deriva infatti dal francese «chardon», la pianta di cardo che veniva coltivata intensamente sull’area. Su quel terreno venne poi costruita la fortezza borbonica destinata a diventare carcere duro già durante il fascismo; allora la struttura veniva chiamata Villa Mori, dal nome del prefetto di ferro Cesare Mori.