Sergio Romano, Corriere della Sera 29/1/2009 - Lettere, 29 gennaio 2009
Se Obama fosse veramente nero sarebbe stato eletto, comunque, presidente degli Stati Uniti? Obama, in realtà, è mulatto
Se Obama fosse veramente nero sarebbe stato eletto, comunque, presidente degli Stati Uniti? Obama, in realtà, è mulatto. La parola nero, per identificarlo come razza, non coincide con la «percezione» che la sua figura proietta. Parla come un bianco, si veste, gesticola, si comporta in modo non dissimile da quello dei politici bianchi. La battuta di Berlusconi può considerarsi una felice intuizione. Chiamare Obama «nero» non significa necessariamente percepirlo come tale. Forse, più che considerare la sua elezione un definitivo riscatto della razza nera, come affermato da molti giornalisti, si potrebbe considerare come una tappa d’avvicinamento a tale traguardo. Vito Pallotti pallotti.vito@yahoo.it Caro Pallotti, O bama non può essere definito mulatto per almeno due ragioni. In primo luogo la parola ha indicato tradizionalmente la persona di «sangue misto» che occupava nella scala sociale, grazie a questa caratteristica, un posto leggermente superiore a quello dei suoi cugini neri. Se i neri sono soldati, il mu-latto è un caporale. Se i neri sono operai o contadini, il mulatto è un capo-squadra. Poche espressioni, quindi, sono così implicitamente razziste. In secondo luogo quasi tutti i neri americani, quando non siano immigrati dall’Africa in tempi recenti, sono, in qualche misura, mulatti. Negli anni della schiavitù le ragazze finivano spesso nel letto del padrone e qualche ragazzo probabilmente in quello della padrona. Qualche anno fa gli storici ricostruirono il ramo nero dell’albero genealogico di Thomas Jefferson, autore della Dichiarazione d’Indipendenza, ministro a Parigi, segretario di Stato, terzo presidente degli Stati Uniti. Sono i discendenti di Sally Hemings, la giovane amante che gli dette almeno un figlio. Al di là di queste precisazioni credo tuttavia che lei abbia ragione. Obama appartiene effettivamente a una categoria diversa da quella della grande maggioranza dei neri americani. Non è discendente di schiavi. nato dal matrimonio di un notabile keniota con una donna bianca. Ha vissuto una parte della sua vita in due Paesi – le Hawaii e l’Indonesia – dove la frontiera del colore è assai meno percepibile e importante di quanto sia in Europa e nel territorio continentale degli Stati Uniti. stato allevato dai nonni materni. Ha fatto una brillante carriera accademica. I suoi biografi raccontano che ebbe una storia d’amore con una ragazza bianca e che avrebbe potuto sposarla se non avesse avuto la sensazione di essere guardato con diffidenza nella sua famiglia. La «négritude», secondo una espressione coniata dal poeta senegalese Léopold Senghor, fu quindi una scelta. Decise di essere nero e ne dette la prova, tra l’altro, frequentando assiduamente la chiesa nera di un pastore protestante, Jeremiah Wright, che benedì il suo matrimonio e battezzò le sue figlie. E quando Wright, durante la campagna per le elezioni presidenziali, lanciò infuocate dichiarazioni contro il razzismo bianco degli Stati Uniti, Obama ne prese le distanze con un abile discorso pronunciato a Filadelfia nel marzo dell’anno scorso. Condannò le parole del suo padre spirituale e sottolineò la particolarità della propria storia personale, ma parlò da «nero ». Disse che l’eguaglianza era iscritta nella costituzione americana, ma fece un lungo elenco delle discriminazioni e delle ingiustizie che ancora colpivano i neri d’America. Sostenne tuttavia che molti bianchi erano vittime delle stesse ingiustizie e che il «sogno americano» doveva coinvolgere l’intera nazione, senza distinzioni di razza o credo religioso. «Ho deciso di candidarmi – disse – perché credo profondamente che potremo affrontare le sfide del nostro tempo soltanto se le affronteremo insieme, soltanto se perfezioneremo la nostra unione comprendendo che abbiamo, pur con storie diverse, speranze comuni, che possiamo apparire diversi e avere diverse origini, ma dobbiamo muoverci tutti nella stessa direzione». Come in altri discorsi di Obama vi è in queste parole una forte dose di retorica. Ma è certamente il discorso di un nero che chiede all’America di accettare, come una ricchezza, le differenze del suo popolo.