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 2009  gennaio 29 Giovedì calendario

MILANO

L’indiscrezione è partita dalla Gran Bretagna sbattendo contro il «no comment» del gruppo italiano. Ma le trattative del gruppo Marcegaglia per rilevare un pezzo storico del gigante dell’acciaio anglo-olandese, Corus, l’altoforno di Teesside, non solo sarebbero a buon punto. Ma potrebbero essere annunciate prestissimo. Anche oggi.
Per il gruppo controllato dalla famiglia del presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, la conquista insieme ai coreani di DongKuk di uno degli altoforni più grandi d’Europa sarebbe un colpo strategico: l’integrazione con l’acciaieria che con 1.800 dipendenti ha un fatturato da 1,3 miliardi e produce 3,5 milioni di tonnellate all’anno di bramme, cioè di semilavorati, permetterà al gruppo italiano che lavora circa 4,5 milioni di tonnellate di acciaio di mettersi al riparo dagli umori di un mercato che peraltro è in un momento di grande crisi. «La siderurgia italiana è in affanno» ha ricordato solo lunedì scorso la Federacciai che tramite il suo presidente, Giuseppe Pasini, ha anche chiesto un intervento del governo.
D’altra parte è proprio per la crisi internazionale che il gruppo Corus, in realtà posseduto dalla indiana Tata Steel, ha annunciato sempre pochi giorni fa 3.500 tagli nel mondo, di cui la maggior parte, 2.500, in Uk. Il sindacato inglese delle tute blu, la GMB, ha parlato di un «bagno di sangue» per un settore chiave, quello manifatturiero, e ha chiesto l’intervento del primo ministro Gordon Brown.
Il piano di ristrutturazione di Corus comprendeva anche la dismissione dell’industria di Teesside, un vero pezzo storico per l’industria inglese datato 1850 che, nel momento di massimo splendore, aveva 40 mila dipendenti.
Era da anni che la voce di una possibile dismissione da parte di Corus era in giro. Tanto che già nel 2004 proprio il gruppo Marcegaglia, con gli svizzeri di Duferco, i messicani di Immsa e Dongkuk, aveva sottoscritto un accordo di cogestione degli impianti per assicurarsi, a un prezzo inferiore a quello di mercato, un milione di tonnellate di acciaio l’anno. Ma ora, in virtù del passaggio di proprietà, le carte dovrebbero essere rimescolate e quell’accordo, siglato per dieci anni, dovrebbe decadere per garantire il maggior apporto possibile di bramme direttamente alle fabbriche di lavorazione del gruppo italian o con l’esclusione degli altri ex soci. Secondo gli accordi la maggioranza dell’altoforno dovrebbe passare agli italiani che grazie all’acquisizione dovrebbero registrare un salto dimensionale rispetto ai 6 mila dipendenti attuali.
Massimo Sideri