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 2009  gennaio 28 Mercoledì calendario

LE MOSSE DELL’ING. NEL RISIKO FINANZIARIO


Il pessimismo sulla crisi, le divergenze di vedute con suo figlio Rodolfo, e un progressivo disinteresse per gli intrecci nel sistema economico e finanziario. Oggi il presidente uscente del gruppo l’Espresso, riorganizza i suoi rapporti nel mondo editoriale e tiene sullo sfondo le amicizie con Mussari, Bazoli, Profumo e Bassanini.
Alcuni tra coloro i quali conoscono bene Carlo De Benedetti, ritengono che questo pessimismo sia stata come una precondizione psicologica alla sua decisione di fare un passo indietro, su cui si sono poi innestate altre considerazioni anche di carattere famigliare come lui stesso ha spiegato ieri in una intervista al vicedirettore di Repubblica, Massimo Giannini («Tutto il mondo sapeva che tra me e mio figlio Rodolfo esistevano differenze di opinione su alcuni aspetti. Ma questo tutt’al più avere affrettato una decisione che avrei preso comunque», ha detto). Negli ultimi tempi anche nel direttivo di Confindustria è intervenuto esprimendo un pessimismo galattico, accentuando una specie di atteggiamento separatista che negli ultimi tempi è stato notato anche nelle vicende del risiko economico finanziario. A partire dal 2005, la posizione di De Benedetti è progressivamente mutata. In quel periodo CDB aveva seguito con interesse, ma senza intervenire direttamente, la battaglia per Antonveneta e per Bnl e quella intorno al Corriere della Sera, culminate con la resa dei new comers – Stefano Ricucci in testa - e le dimissioni del governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. A margine dello scontro aveva cercato di mettere in piedi un gruppo di persone – tra cui Diego Della Valle, Luca di Montezemolo e lo stesso Silvio Berlusconi (questi due ultimi poi sganciatisi) – raccolti in M&C: un episodio che l’altro giorno ha definito irrilevante, ma che tre anni fa aveva suscitato la curiosità di molti osservatori finanziari perché replicava lo schema della Bim, la banca Intermobiliare delle famiglie torinesi Segre, D’Aguì e Scanferlin, di cui è azionista e che è stata un mezzo nella sua azione di raider finanziario.

Esauritosi lo slancio di questo piccolo ma interessante strumento sistemico che avrebbe potuto rappresentare un punto di contatto per le forze attive del nostro capitalismo non bancario, De Benedetti ha scelto un’altra strada. Il ruolo di editore ha preso il sopravvento anche nella modalità dei rapporti con il resto del sistema di potere economico e finanziario. Il primo scontro è stato quello con Marco Tronchetti Provera e con la Telecom. Il caso Tavaroli dette origine a una tale battaglia editoriale che quando il giudice Fabio Napoleone archiviò la denuncia di Tronchetti contro il senatore Luigi Grillo, che aveva impropriamente accusato Telecom di fare intercettazioni, parlò nelle motivazioni di «suggestione collettiva», osservando in sostanza che la campagna di stampa era stata così ampia e persuasiva dell’opinione pubblica da giustificare l’errore di Grillo. Chiusa la vicenda Telecom, che inasprì le tensioni tra Romano Prodi e Tronchetti, con le dimissioni prima di Angelo Rovati (braccio destro di Prodi) e poi dello stesso Tronchetti dalla presidenza di Telecom, il gruppo l’Espresso non è più stato impegnato in uno scontro così diretto. Però gli osservatori (o altri giornali) hanno notato altre sortite: il 17 novembre scorso Nicola Porro sul Giornale descrisse una scaramuccia imprenditorial-editoriale tra De Benedetti e Caltagirone con Repubblica che attaccava un’operazione immobiliare nell’agro romano e il Messaggero un’operazione di Sorgenia (società energetica dei De Benedetti) ad Aprilia. Sempre in quell’articolo il vicedirettore del Giornale ricostruiva un attacco di Repubblica alla famiglia Marcegaglia. Gli osservatori hanno notato altre due frecciate. Una a Corrado Passera - che ha cominciato la sua carriera di manager con l’ingegnere, ma con il quale i rapporti sono soggetti ad alti e bassi: «Dieci spine per Intesa Sanpaolo», un articolo del 15 ottobre, molto ricco, in cui l’autore Andrea Greco ipotizzava un piano di dismissioni che il capo esecutivo della banca avrebbe potuto varare per far fronte al peso eccessivo dell’esposizione con aziende e società finanziarie in difficoltà, da Zalesky a Telco. L’altra ebbe come obiettivo Cesare Geronzi sulla questione del cosidetto emendamento salvamanager, raccontata come anticipazione di una puntata della trasmissione televisiva Report. Secondo un’interpretazione, in quella fase una certa ostilità nei confronti del presidente di Mediobanca si era manifestata anche per il rapporto preferenziale sviluppatosi in questi anni tra De Benedetti e Alessandro Profumo (a questo rapporto probabilmente vanno collegate le voci circolate in questi giorni – e non confermate – di una esposizione di CDB nella vicenda Madoff su cui anche Unicredit aveva investito liquidità). Nella fase in cui il vertice di Unicredit e il vertice di Mediobanca si confrontarono sulla governance della banca d’affari, De Benedetti era una delle persone del cui avviso il capo di Unicredit ha tenuto conto. Successivamente tra Geronzi e CDB si è ristabilità la cordialità.

Chi conosce l’ingegnere spiega che oggi le sue relazioni sono imperniate soprattutto sulla sua vita di editore. Riguardo ai rapporti nel sistema politico, a partire da Renato Soru, vedere l’articolo qui accanto. Quanto al sistema economico finanziario, c’è curiosità rispetto ai nomi che saranno scelti per i nuovi vertici delle società; sullo sfondo c’è sempre l’amicizia con il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli, con il presidente di Mps Giuseppe Mussari (Siena ha una quota in Sorgenia), con Franco Bassanini, neo presidente della Cassa Depositi e Prestiti, ma rappresentano più un insieme di buoni rapporti personali che un network di poteri.