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 2009  gennaio 28 Mercoledì calendario

RESUCITEREMO I MAMMUTH"


Un mammuth dell’Era Glaciale? Possono bastare 10 milioni di dollari e presto l’avrete vivo e vegeto, pronto a correre in un pianeta che è diventato piuttosto bollente.
La fantascienza diventa un affare della paleogenetica. Ne sono convinti Webb Miller e Stephen Schuster, professori americani alla Pennsylvania University di genetica comparata e bioinformatica: vogliono riprodurre in vitro uno dei più celebri animali del passato remoto. Hanno cominciato nel 2005, quando riuscirono a codificare 5 mila «lettere» di Dna, e adesso sulla rivista «Nature» hanno annunciato di aver recuperato una vasta parte del Genoma del mammuth lanoso. Sono già arrivati all’80% e sostengono di non essere lontani dal 100%. Un record mai raggiunto con una specie che non esiste più.
Intanto hanno chiarito al di là di ogni dubbio che il gigantesco animale - vissuto in Africa, Europa, Asia e America del Nord tra 1,6 milioni e 10 mila anni fa - era un parente stretto dell’elefante. L’hanno capito ricostruendo 3 miliardi di basi del Dna del «Mammuthus primigenius» a partire dai peli della pelliccia di due esemplari, che sono stati ritrovati nel permafrost siberiano e vissuti 20 e 60 mila anni fa. E così hanno elaborato alcune ipotesi: non soltanto sull’evoluzione delle specie di elefanti più conosciute, come l’indiana e l’africana, ma anche sull’estinzione del grande «genitore». E’ probabile che sia scomparso - sostengono - per una serie di bruschi cambiamenti climatici.
Ma a Miller e Schuster, adesso, interessano soprattutto il presente e il prossimo futuro. «Una volta ottenuto il Genoma completo - ipotizzano - sarebbe teoricamente possibile riportare in vita il mammuth». E a consentire questa rinascita è proprio la vicinanza genetica con l’elefante moderno. Il «vecchio», infatti, differisce dall’«attuale» soltanto per 400 mila basi nucleari. Basterebbe quindi modificare quel numero limitato di «parti» in una cellula di elefante per poi convertirla in embrione e impiantarla in una elefantessa, protagonista di una normale, per quanto inedita, gravidanza.
In realtà, quando si toccano i geni, le difficoltà sono sempre in agguato e si possono moltiplicare rapidamente. Un problema è la natura stessa del Dna antico, che tende a frammentarsi e, spesso, diventa di difficile «lettura». E non tutti gli studiosi sono convinti che Miller e Schuster l’abbiano risolto con le loro macchine super-veloci per la decifrazione.
Un altro ostacolo è la contaminazione del Dna: in genere quello che si ricava dalle ossa è «sporcato» dal Dna batterico e non è ancora del tutto chiaro quanto quello ricavato dai peli del mammuth sia «puro». C’è poi un terzo problema. Il Dna delle cellule viventi può essere manipolato solo a prezzo di un lungo lavoro. Adesso il duo della Penn University vuole utilizzare un metodo nuovissimo e iper-veloce, appena ideato da George Church della Harvard Medical School, in grado di modificare fino a 50 mila parti alla volta.
La tecnica aspetta ancora di essere testata e non pochi genetisti - per esempio Rudolph Jaenisch di Cambridge - si dicono scettici, sebbene la riprogrammazione cellulare stia diventando uno dei nuovi campi della ricerca biologica, come hanno dimostrato i clamorosi esperimenti di Shinya Yamanaka.
Ma Miller e Schuster vanno avanti e vogliono diventare i protagonisti assoluti del primo caso di «Jurassic Park» della storia. Il loro mammuth verrà alla luce in un pianeta Terra a lui completamente sconosciuto, in cui dovrà riadattarsi per non scomparire nuovamente. E l’evento - dicono - sarebbe soltanto l’inizio. I musei di storia naturale rappresentano per loro una vera miniera d’oro per recuperare il materiale genetico di animali e creature di tutti i tipi. Fino alla frontiera estrema, già ipotizzata da alcuni antropologi: completare il sequenziamento del Dna di un uomo di Neanderthal e poi riportarlo tra noi.