Riccardo Staglianò, la Repubblica 28/1/2009, 28 gennaio 2009
STARBUCKS QUEL RITO AMERICANO HA RADICI ITALIANE
L’America è un motore che va a petrolio e caffè. Il primo alimenta le macchine, il secondo gli uomini. qui che va a finire un terzo dei chicchi mondiali e vengono scolate undici miliardi di tazze all´anno. Nazione fondata sulla prestazione - dai traslocatori del Bronx ai banchieri di Wall Street - ne ha fatto da sempre la sua bevanda di elezione, la droga legale, il doping presentabile. Per secoli è stata considerata solo la sua funzione: benzina che dava la carica a un popolo di workaholic. Poi, alla fine degli anni ”80, è arrivato Starbucks e ne ha svelato i simboli. Ci ha costruito intorno una religione e ne ha officiato la liturgia, come racconta Taylor Clark nel suo libro appena uscito. Se credete che sia una ricostruzione sovreccitata, magari figlia di qualche moka di troppo, considerate il primo miracolo. All´epoca una tazza di caffè nero filtrato costava 50 centesimi da Anchorage, Alaska, a Zenda, Wisconsin. Nella neonata catena riuscivano a farsela pagare un dollaro e sessanta. Che è come se per un espresso qualcuno volesse spillarvi, invece di un euro, tre.
L´America è anche una nazione fondata sulla varietà dell´offerta. Al supermercato noi abbiamo tre tipi di latte, loro una dozzina. Al bar qualche variazione su espresso e cappuccino, da Starbucks 55mila. Sì, le hanno contate. C´è una signora a Seattle che ogni mattina, invariabilmente scegliendo l´ora di punta, chiede un «decaffeinato singolo da sedici once con extra vaniglia, bollente e con panna macchiata al caramello».
La catena ha rivoluzionato, oltre al bere, anche la socialità degli statunitensi. Le sue caffetterie hanno riempito un vuoto nell´America degli spazi pubblici espropriati dai centri commerciali. Sono diventati il "terzo posto" per antonomasia, quello altro da casa e lavoro nelle tassonomie degli antropologi, «dove la gente vuole stare da sola ma ha bisogno di compagnia per farlo» com´è stato teorizzato. questo il vero ingrediente speciale, da qui si sprigiona la magia. Che se non giustifica, almeno inizia a spiegare alcuni record. Tipo che in media un cliente ci torna diciotto volte al mese e un negozio realizza più di un milione di dollari di fatturato all´anno. Mischiate il tutto e comincerete a meravigliarvi meno dell´espansione più rapida (e meno cruenta) dai tempi di Gengis Khan. Quella che ha portato il pallottoliere aziendale a 16 mila negozi nel mondo, con un ritmo di crescita rallentato solo di recente sui sei nuovi al giorno.
L´America è un paese ossessionato dalle ossessioni. Quelle imprenditoriali, soprattutto. La figura del fondatore Howard Schultz, nato nelle case popolari di Brooklyn, si inserisce perfettamente nel filone. L´epifania che cambierà la sua esistenza la incontra a Milano nell´83 dove è in visita per lavoro. Ai suoi occhi ciò che rende bella la vita dei milanesi non è tanto la moda o la Scala, sollazzi per pochi, ma gli immancabili caffè, conforto per molti. Millecinquecento, a quel censimento. Su quei banconi, riassume l´autore, «preferirebbero porgere al cliente una vecchia scarpa puzzolente che servirgli il caffè in un bicchiere di carta da asporto». E la bevuta è solo una porzione minima di quell´esperienza. Sono luoghi di incontro. «Se potevamo ricreare in America l´autenticità della caffetteria italiana ciò avrebbe colpito altri americani come aveva fatto con me» scriverà più tardi Schultz.
Il tempismo era perfetto. I primi anni ”90 coincidono con il boom economico. Tra l´80 e il ”99 il reddito medio passa da 15mila a 21mila dollari. Non gratis, però. L´economia tira, la gente lavora sempre più e dorme sempre meno. I broker sono arabica-dipendenti. Racconta David Brooks nel bestseller "Bobos in Paradise": «Il caffè diventa la bevanda del nostro tempo perché stimola l´ingegno mentre i superalcolici sono caduti in disgrazia dal momento che annebbiano le facoltà di giudizio». Tra gli estimatori della miscela Starbucks non figurava però Ernesto Illy, il decano del quality coffee: «Odora come se fosse stato tostato in un incendio poi spento dai pompieri». Una stroncatura che forse dice qualcosa sul fatto che l´Italia abbia per il momento resistito all´invasione.