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 2009  gennaio 26 Lunedì calendario

ALESSANDRA FARKAS PER IL CORRIERE DELLA SERA

 un’atea che rispetta la religione. Una classicista col culto per l’arte trash. Una dissidente femminista odiata dalle leader storiche del movimento perché l’ha messo in crisi. Una lesbica che ama gli uomini. E ancora: una obamiana liberal che adora Sarah Palin («tostissima»), Ann Coulter («splendida mente») ma anche le icone democratiche del Congresso Nancy Pelosi e Dianne Feinstein («avrebbe dovuto essere lei la prima donna presidente, altro che Hillary»).
Dopo l’uscita del suo bestseller Sexual personae: arte e decadenza da Nefertiti a Emily Dickinson,
nel 1990, Camille Paglia diventò l’intellettuale- contro («una provocatrice», preferisce definirsi lei) più gettonata degli anni Novanta su entrambe le sponde dell’Atlantico. E se la sinistra continua ad accusarla di essere una «neocon travestita» per avere messo in dubbio, tra l’altro, l’effetto serra e la natura innata dell’omosessualità, la destra l’ha scomunicata per aver difeso droga, prostituzione, feticismo e pornografia.
Negli ultimi anni la Paglia ha mantenuto un basso profilo che le ha consentito di adottare il figlio della sua compagna Alison Maddex, nato nel 2002 e di collaborare con il sito liberal Salon.com, continuando ad insegnare alla University of the Arts di Filadelfia dove dall’84 detiene la cattedra in Humanities & Media Studies. «Quando la tv americana era ancora rilevante c’ero sempre – spiega ”. Oggi nessuno la guarda e anche la Cnn è irrilevante. Mi rifiuto di andare nei salotti dominati dal sound byte».
Chi per questo l’aveva data per finita dovrà ricredersi. La Paglia sta lavorando ad un nuovo libro, in uscita a fine anno, che promette di essere provocatorio quanto i precedenti. « il seguito di Break, Blow, Burn del 2005 dove analizzavo le 43 poesie più belle della storia – spiega ”. Questa volta mi occuperò di arti visive, per spiegare al grande pubblico che non è vero, come vorrebbero dare a bere gli arroganti e furbissimi addetti ai lavori, che l’arte è un’astrusità inavvicinabile ».
Polemica e arguta come al solito, questa volta indosserà i guantoni contro critici, galleristi e mercanti d’arte. «Dalla Pop art in avanti la loro supponenza pseudointellettuale è esplosa. una sorta di tacito complotto per spingere alle stelle il prezzo di lavori mediocri. Hanno completamente alienato il Paese – aggiunge ”, provocando nella cultura popolare, soprattutto tra le potenti talk radio della destra, un disprezzo viscerale per l’arte».
Anche se il trend è iniziato con Ronald Reagan negli anni ’80, raggiungendo l’apice durante l’amministrazione di George W. Bush, la colpa secondo la Paglia è della sinistra che dopo il ’68 «stravolse la definizione di arte». «Bellezza ed estetica vennero accantonate e la storia dell’arte occidentale fu denunciata come una cospirazione sessista, omofobica e razzista. Michelangelo e il maschio europeo bianco furono gettati alle ortiche».
Al loro posto, sostiene la scrittrice, fu alzata la bandiera della politica. «Nell’America post-68 l’unica arte buona era quella con un messaggio». In cima alla sua lista nera è la scrittrice Susan Sontag, l’odiata musa della sinistra Usa, (Harold Bloom, mentore della Paglia a Yale, coniò il termine «sontagismo» come «sinonimo di radical- chic» vacuo) e la filosofa Martha Nussbaum per aver recensito positivamente i libri dei classicisti David M.
Halperin e John J. Winkler sull’omosessualità nella Grecia Antica. Particolarmente detestato è poi il filosofo francese Michael Foucault («il Cagliostro dei nostri tempi, imitatore di mile Durkheim »). Nel nuovo libro l’autrice esplora anche l’assenza di stile nella società americana.
«Uno dei miei pallini fissi – teorizza ”, grazie alle origini italiane di papà, docente in lingue romanze al Le Moyne College e originario di Benevento e di mamma, sarta, nata a Ceccano, provincia di Frosinone». Anche se proletari – uno era barbiere, l’altro operaio in una fabbrica di scarpe – i suoi nonni l’allevarono nel culto per l’estetica. «La parola più usata a casa mia era "bello", in tutte le sue applicazioni: dalla cucitura di un abito ad un cestino fatto a mano. La loro casa era piena di miniature, dalla basilica di San Pietro al Davide di Michelangelo e tutti conoscevano la lirica. Una passione, mi spiegarono, che in Italia accomuna ricchi e poveri». Ma le sue ispirazioni giovanili furono anche altre: Simone de Beauvoir ( «Il secondo sesso, che lessi nel ’63, cambiò la mia vita»), Amelia Earhart e Katherine Hepburn. «Andavo tutti i giorni in biblioteca per cercare materiale su di loro e scoprii che negli anni ’30 c’erano femministe indipendenti molto più libere rispetto alla mia generazione, che non poteva indossare pantaloni e doveva stare a casa e far figli».
Quando il manifesto femminista La mistica della femminilità fu pubblicato, nel ’63, la Paglia restò fredda. «Capii di non dovere nulla a Betty Friedan perché il femminismo che aveva ispirato me, quello degli anni ’30, era meno vittimistico e più propositivo. Hepburn e Earhart non facevano la lagna né imputavano agli uomini tutte le colpe della terra».
Tra le femministe «storiche» ama solo Germaine Greer: «L’ho ammirata fin dall’inizio perché è una guerriera bastiancontrario come me, snobbata dall’establishment femminista al potere nei college Usa. Dove i suoi libri, come i miei, continuano ad essere banditi». La Paglia accusa l’affirmative action di aver rovinato le università Ivy League, favorendo «orde di mediocri donne, quasi sempre bianche e middle class, al posto di maschi bianchi molto più qualificati, che non riescono più a trovare lavoro».
Pareri forti che le sono costati la scomunica da parte delle femministe ufficiali. La Friedan l’ha definita «una esibizionista da non prendere sul serio»; Naomi Wolf «una patriarcale retrograda travestita da femminista punk»; Gloria Steinem ha addirittura paragonato Sexual Personae
al Mein Kampf e la Paglia ad Adolf Hitler. «Gloria è una bulla – ribatte lei – che odia gli uomini a causa del padre obeso e negligente che abbandonò lei e la madre malata mentale, costringendole a vivere in un appartamento infestato dai topi». A detta della Paglia, sarebbe stata la Friedan ad avviare al femminismo «quella ragazzotta sbandata e un po’ nomade», per poi pentirsene amaramente «perché da quel giorno i media scaricarono Betty e considerarono Gloria, alta, bella, bionda e fotogenica come la leader del movimento». Una leader che «predicava alle donne americane di eliminare uomini e figli, mentre di nascosto andava a letto con tutti i maschi ricchi, potenti e famosi di Manhattan». Fra di loro fu subito guerra: «Ero la prima a toglierle i riflettori dei media e mi odiò per questo. Avevo 43 anni e attiravo folle urlanti di fan con il mio senso dell’humour. Gloria non sopportò di aver perso le redini del dibattito femminista ». Per la prima volta il movimento doveva fare i conti con un nemico al proprio interno: più l’attaccavano e più lei diventava popolare.
Più tardi si è scontrata anche con la «seconda generazione» di femministe: Susan Faludi e Naomi Wolf. «Quando mi accusarono di non essere una vera femminista, chiesi loro chi le aveva nominate papesse. Oggi sono entrambe marginalizzate. La Wolf è considerata una matta eccentrica mentre la Faludi ha paura della propria ombra e si è auto-esiliata nella West Coast». E la terza generazione? «Non è mai decollata. Se menzionassi i loro nomi, nessuno li riconoscerebbe. Non ha prodotto una leader o pensatrice vera». Anche la lobby lesbica di cui parlano tanto i giornali sarebbe un mito. «Susan Sontag e Annie Leibovitz non hanno mai dichiarato pubblicamente di essere lesbiche e ciò è irresponsabile. Annie è un’opportunista venale, senza cause o ideali».
Dopo aver versato fiumi di inchiostro nell’analizzare miti contemporanei quali Liz Taylor (in un saggio ha confessato di aver collezionato 599 foto della star), la Paglia è pronta a gettare la spugna. «Purtroppo viviamo in un’era senza star. Madonna è in declino. Jennifer Aniston, Sarah Jessica Parker e persino Angelina Jolie sono prive di dimensione mitologica e poesia. L’ultima vera star è stata Sharon Stone». La situazione tra gli attori non è migliore: «Tom Cruise, Leonardo DiCaprio e Brad Pitt sono ragazzi, non certo uomini del calibro di Clark Gable e Cary Grant. La mascolinità sullo schermo tende ormai al caricaturale, alla Schwarzenegger, per intenderci». George Clooney? «Noioso ». Il vero carisma oggi si chiama Obama. «Il suo unico neo è stato scegliere Hillary come Segretario di Stato – precisa ”, una donna senza credenziali che ha costruito la sua intera carriera a ricasco del marito. Ma forse – riprende – è stata una brillante manovra machiavellica per rimuoverla dal Senato ».