Francesco Moscatelli, La stampa 26/1/2009, 26 gennaio 2009
DA CLANDESTINI A COMUNISTI
L’unica cosa che non sopportano sono le etichette: «clandestino», «straniero», «extracomunitario», «immigrato». Perché dovrebbero? Mangiano come i loro coetanei, si vestono come i loro coetanei, ascoltano la stessa musica e spesso parlano persino con la stessa inflessione, bergamasca o romanesca. Sono i ragazzi della «cross generation», gli immigrati di seconda generazione. «I nuovi italiani» come loro stessi amano definirsi.
Sono un esercito di 767 mila persone, fra gli 0 e i 18 anni, che cresce al ritmo del 20% ogni dodici mesi. Un problema? Un’opportunità? Una risorsa? Per la politica italiana sono semplicemente un soggetto misterioso, vuoi perché non hanno a che fare con i corteggiamenti elettorali, vuoi perché nel nostro Paese non è ancora esplosa alcuna «banlieue». Gli unici che se ne occupano, con alterne fortune, sono gli amministratori locali, gli insegnanti e qualche associazione del terzo settore. Ma anche, o soprattutto, gli esperti di marketing e le aziende, a cui fa gola un mercato che già oggi vale 30 miliardi di euro. E che è destinato a svilupparsi in modo esponenziale.
Già, ad avere in mano le chiavi dell’integrazione sono i guru dei target e dei messaggi pubblicitari mirati. Ed è grazie alle loro ricerche che è emerso un dato interessante: inventarsi jeans «musulmani» o bevande «latinoamericane» non serve a nulla. Spesso, anzi, è controproducente. Guardandola da un altro punto di vista: l’assimilazione c’è, ma passa dall’unica grande cultura contemporanea, il mercato. Un dato su tutti: il 70% dei giovani immigrati dichiara di consumare tutti i giorni prodotti alimentari italiani, mentre sono appena il 43% quelli che consumano quotidianamente le pietanze legate alle tradizioni del Paese d’origine. E ancora: il 76% veste regolarmente all’italiana, mentre solo il 17% indossa abiti «etnici». Dal punto di vista culturale i numeri sono ancora più significativi: il 72% ammette di non leggere mai libri scritti nella propria lingua madre.
«Sotto il profilo dei consumi il grado d’integrazione è fortissimo, tanto che spesso viene ribaltato il ruolo educativo genitori-figli: le seconde generazioni influenzano il comportamento delle loro famiglie - spiega Luca Visconti, docente della Bocconi di Milano e autore con Enzo Napolitano del volume "Cross generation marketing" -. Il modello di riferimento è quello globale: fast food, abbigliamento "street", musica inglese, i-Pod e siti web internazionali in lingua inglese. Naturalmente ogni gruppo ha delle difficoltà specifiche: fra i ragazzi islamici, soprattutto fra le ragazze, i precetti religiosi sono avvertiti con maggiore intensità, mentre nei minori di etnia rom ha una fondamentale importanza la componente del desiderio. Fra i cinesi e i coreani alla moda, invece, i parametri estetici sono spesso più simili a quelli dei loro coetanei nei Paesi d’origine».
Sentirsi «cittadini del mondo», in definitiva, permette di muoversi in un territorio franco, in cui è più facile superare i conflitti fra l’identità originaria e quella italiana. «Il vero problema riguarda le disponibilità economiche - continua Visconti -. Spesso questi ragazzi entrano in contatto con il modello di consumo occidentale già nel loro Paese d’origine, grazie alle rimesse di genitori e fratelli più grandi, e hanno un livello di benessere maggiore a quello dei loro coetanei. Quando arrivano in Italia, però, la situazione si ribalta». Il mercato, che per le prime generazioni ha già creato una lunga serie di prodotti ad hoc, soprattutto nel campo della telefonia mobile e dei servizi finanziari, ha capito che, con i «percettori di reddito» di domani, dovrà percorrere altre strade: ibridazione, contaminazione, inserimento dei giovani immigrati nei propri «think tank».
Ma c’è chi mette comunque le mani avanti. «Il mercato accoglie tutti a braccia aperte, non fa discriminazioni - spiega Mohamed Tailmoun, portavoce della rete G2-Seconde generazioni, un coordinamento nazionale attivo sul web, in prima linea sul fronte dell’integrazione -. La vera questione, però, rimane quella dei diritti. Purtroppo in Italia continuano ad esistere cittadini di serie A e cittadini di serie B. Senza cittadinanza, senza diritto di voto, siamo come mutilati. Come possiamo partecipare al dibattito politico e culturale di questo Paese?».