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 2009  gennaio 26 Lunedì calendario

IL TESSILE ITALIANO USA GIA’ IL MINI ORARIO


Non è una soluzione adatta soltanto ad aziende alla canna del gas». Valeria Fedeli è il segretario generale della Filtea, il sindacato di categoria dei tessili della Cgil. Una categoria che ne sa qualcosa di settimane lavorative corte, o a volte cortissime: nel corso del 2008 sono state ben 36 le aziende che hanno deciso di utilizzare lo strumento della riduzione dell’orario per salvaguardare i posti di lavoro. Sono i contratti di solidarietà, una norma non molto conosciuta, ma che permette al datore di lavoro di risparmiare in termini di stipendi e di taglio della produzione tenendo a casa (o dove meglio preferisce...) il personale per una parte della settimana lavorativa, ma al lavoratore di mantenere praticamente tutto lo stipendio «normale», grazie al contributo erogato in base alla legge dall’Inps per integrare le buste paga. Allo Stato conviene rimpolpare lo stipendio in questo modo piuttosto che pagare una molto più costosa indennità di cassa integrazione o di mobilità.
Nella lista delle 36 aziende ci sono anche nomi (marchi) che hanno una certa storia, una certa tradizione: Cucirini Coats, Linificio Canapificio Nazionale, Tessitura Monti, Crespi 1797. Qualcuna ha dimensioni maggiori, come per l’appunto il Linificio Canapificio Nazionale nei pressi di Venezia (274 dipendenti), o la C.R.C. o la Nuova Adelchi in provincia di Lecce (rispettivamente 339 e 158). In qualche caso c’era da affrontare una situazione in cui era necessario rinnovare il processo produttivo, in altri si trattava di tentare un salvataggio in extremis di una ditta travolta da una gravissima e perdurante crisi di mercato e alla ricerca di acquirenti. capitato alla manifattura della Valle Brembana, in provincia di Bergamo, che nonostante il contratto di solidarietà ha chiuso proprio nei primissimi giorni di gennaio, lasciando per strada i suoi 410 dipendenti.
Di norma a ricorrere alla riduzione d’orario sotto forma di contratti di solidarietà ci pensano soprattutto aziende medie (devono comunque avere più di 15 dipendenti), senza griffe, che attraversano una fase di forte calo di volumi produttivi. In tutto, sono stati chiamati in causa 1.682 lavoratori, o meglio, lavoratrici: da sempre l’industria della moda, del tessile, dell’abbigliamento prospera utilizzando il lavoro delle donne. E oggi ben il 73% del milione di dipendenti complessivi del sistema moda è costituito da donne.
Un sistema che si regge sulla flessibilità dell’organizzazione del lavoro, con fasi in cui è necessario il lavoro notturno e nei weekend, e periodi di orario ridotto o azzerato. Per questo, spiega Fedeli, la scelta del contratto di solidarietà «da un lato è una scelta di responsabilità sociale nei confronti dei lavoratori; dall’altro è una scelta di convenienza reciproca, un guardare al di là della crisi per cogliere al momento giusto le opportunità di ripresa». E così, nella lista delle 36 imprese ci sono aziende che «usano» il tempo della crisi per ristrutturarsi, per cercare nuovi sbocchi di mercato all’estero. Risparmiando i costi della mancata produzione, dei salari, ma senza perdere professionalità e competenze spesso difficili da costruire, reperire e conservare. «La peculiarità di questa crisi - è la conclusione della sindacalista - è che ora colpisce anche imprese competitive. Per questo molti imprenditori del sistema moda stanno accogliendo positivamente questo tipo di soluzione».