Mario Taliani a Sergio Romano, Corriere della Sera, 26/01/2009, 26 gennaio 2009
LETTERA DI MARIO TALIANI A SERGIO ROMANO
Barack Obama si è insediato quale primo presidente degli Stati Uniti d’America non «completamente» bianco. E personalmente, pur apprezzando molto la figura del suo ex-antagonista John McCain, sono contento che ciò sia avvenuto. Mi piacerebbe però chiederle un’opinione sulla possibilità o meno che si possa realizzare una collaborazione tra i due ormai ex candidati alla Casa Bianca. Con una tipicità del tutto americana, durante la campagna elettorale, abbiamo assistito a come diversi autorevoli membri del partito repubblicano, Colin Powell in testa, abbiano chiaramente appoggiato la candidatura del democratico, cosa per certi versi impensabile nella nostra vecchia Europa. Ma visto il momento storico, espressi anche certi riferimenti a possibili condivisioni, sarebbe veramente possibile vedere McCain al fianco di Obama? La politica americana ha mai avuto dei precedenti del genere in cui importanti figure di un partito sconfitto alle elezioni abbiano poi collaborato con il candidato vincitore?
Mario Taliani
mtali@tin.it
Caro Taliani,
Non mi sembra che nella storia politica americana del secolo scorso vi siano casi di candidati alla Casa Bianca che hanno istituzionalmente collaborato con il vincitore dopo la sconfitta del loro partito. Ma potrei sbagliarmi e sarò grato al lettore che volesse eventualmente ricordarci l’esistenza di qualche precedente. Sono abbastanza numerosi, invece, i casi degli esponenti di un partito che passano nell’altro campo, soprattutto quando la loro competenza è utile al governo del Paese. Penso a Douglas Dillon, noto banchiere che collaborò con il generale Eisenhower (candidato repubblicano alla presidenza nel 1952) e divenne segretario al Tesoro nella amministrazione democratica di John F. Kennedy. Penso a William Cohen, membro repubblicano della Camera dei rappresentanti e del Senato negli anni Ottanta e Novanta, ma Segretario della Difesa dal 1997 al 2001 nella seconda amministrazione del presidente democratico Bill Clinton. E penso infine a Robert Gates, direttore della Cia durante la presidenza repubblicana di Bush sr e segretario della Difesa negli ultimi due anni della presidenza di Bush jr, ma confermato nello stesso incarico da Barack Obama.
Questi passaggi da un partito all’altro non appartengono esclusivamente allo stile politico degli Stati Uniti. Più recentemente, in Francia, Nicolas Sarkozy è stato pubblicamente sostenuto da parecchi esponenti del partito socialista e ha offerto ad alcuni di essi un posto nella sua squadra. Il caso più interessante e più discusso è stato quello di Jacques Attali, consigliere per molti anni del presidente François Mitterrand, a cui Sarkozy ha conferito la presidenza di una commissione per le riforme di cui hanno fatto parte anche due italiani (Mario Monti e Franco Bassanini).
Vi sono in Italia esempi del genere? Sono così numerosi, caro Taliani, che correrei il rischio di trasformare questa risposta in un elenco di nomi. Ma le stesse persone che guardano con ammirazione agli esempi americano e francese, preferiscono definire i nostri transfughi trasformisti, banderuole o «voltagabbana». Ciò che appare a molti italiani, se accade altrove, una evidente manifestazione di patriottismo e spirito unitario, diventa, quando è fatto da noi, meschino, e riprovevole. Se questo argomento la appassiona le consiglio la lettura di un saggio che Pialuisa Bianco ha pubblicato nel 2001 presso l’editore Marsilio. S’intitola, per l’appunto, «Elogio del voltagabbana ». Tutto dipende, in ultima analisi, dalle motivazioni. Vi sono molti casi in cui il transfuga ha maturato una diversa visione della situazione politica o economica. Ve ne sono altri in cui ritiene che il suo partito abbia tradito i propri ideali e non meriti più la sua adesione. E vi sono i casi molto interessanti di persone che credono fortemente in alcune riforme e si accorgono di poterle realizzare soltanto collaborando con il partito al potere. questa la ragione per cui il socialista Alberto Beneduce, di cui ho parlato in una risposta recente, dette la sua collaborazione al governo Mussolini quando fu necessario salvare il sistema bancario e industriale dalle conseguenze europee della crisi americana del 1929. Credo che Pialuisa Bianco abbia ragione quando conclude che i cambiamenti di opinione sono il sale della democrazia.
I sospetti diventano leciti, tuttavia, quando il fenomeno assume dimensioni quantitativamente rilevanti. Penso tra l’altro a quella piccola folla di intellettuali italiani che passarono dal fascismo al comunismo nel 1942, vale a dire, guarda caso, nell’anno in cui fu evidente che l’Italia avrebbe perduto la guerra.