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 2009  gennaio 26 Lunedì calendario

DETROIT, OCCHIO ALLA FORD. STA RISALENDO


Fiat sbarca in una Detroit più fredda del solito, sia per le temperature artiche sia per il gelo sceso sui conti delle tre case automobilistiche, ridotte a un pallido fantasma delle Big Three di una volta. Il 2008 per General Motors, Ford e Chrysler è stato l’anno peggiore dal 1992 a oggi, secondo le ultime statistiche appena pubblicate da Autodata: per la prima volta nella storia americana la loro quota complessiva di mercato è scesa sotto il 50% assestandosi al 47,6% (era 51,1% nel 2007), con i marchi asiatici saliti al 44,6% (dal 41,7%) e quelli europei al 7,8% (dal 7,2%); mentre l’intero mercato è crollato in assoluto del 18% dai 15,5 milioni di vetture vendute nel 2007 a 13,2 milioni. Un altro record è significativo: per la prima volta le vendite delle automobili «per passeggeri» sono state più numerose – 51,2% del totale – rispetto a quelle delle Suv (sport utility vehicle o fuoristrada), dei furgoncini e minivan, cioè dei modelli più squisitamente americani e meno efficienti per il consumo di benzina.
Solo nel 2004 il mercato Usa sfiorava i 17 milioni di automobili e per il 60% era dominato dai marchi di Motown. Ma la combinazione del caropetrolio, della crisi finanziaria e della recessione ha dato un colpo ferale al business dell’auto. Soffre anche Toyota, la casa giapponese che nel 2008 è diventata sì la numero uno al mondo, sorpassando GM, ma nello stesso tempo ha visto calare le sue vendite negli Stati Uniti: -37% a dicembre e -16% per l’intero anno; un risultato che spiega come mai Toyota prevede di chiudere a fine marzo il suo bilancio per la prima volta in rosso dopo 70 anni di attività e ha cambiato i vertici per fronteggiare la crisi.
Ma soffrono soprattutto le tre case di Detroit, appesantite da un costo del lavoro superiore a quello dei produttori esteri negli Usa per i benefit pensionistici e sanitari garantiti ai vecchi e nuovi dipendenti e per i contratti sindacali concordati con la potente Uaw (United Automobile Workers, la Flm americana); in ritardo nel produrre modelli al passo con le nuove regole «verdi» e con i nuovi gusti dei clienti; e strozzate dalla stretta creditizia.
Negli Usa oltre il 90% delle nuove macchine sono comprate con qualche forma di finanziamento. Il credito facile dal 2000 all’anno scorso aveva gonfiato anche le vendite delle auto, ma il congelamento dei prestiti da una parte e la decisione dei consumatori di ridurre il proprio indebitamento hanno fatto scoppiare anche questa bolla. Ora le famiglie americane prima di comprare l’ultimo modello di Suv ci pensano su più di due volte e magari ricorrono all’usato.
Per questo dopo l’annus horribilis 2008 il 2009 non si presenta affatto migliore, anzi, saranno altri 12 mesi di travaglio: la previsione è che le vendite rimangano attorno ai 10,5 milioni di vetture. «Il problema fondamentale è che di fronte a questa domanda c’è troppa capacità produttiva di automobili – spiega al CorrierEconomia Paul Ingrassia, giornalista di Detroit che ha vinto il Pulitzer per i suoi articoli sul settore e che sta scrivendo un libro sulla cultura americana dell’auto ”. Non tutti i marchi, non tutte le fabbriche possono sopravvivere».
GM e Chrysler sono di fatto fallite senza i prestiti del governo americano e la seconda, promessa sposa della Fiat, è la casa fino a ieri considerata più a rischio d’estinzione dagli esperti.
«I clienti la stanno abbandonando in massa (-53% le vendite in dicembre, -30% su tutto il 2008) – ha scritto una settimana fa l’Economist ”. La qualità dei suoi prodotti, secondo l’ultima ricerca di Consumer Reports (la bibbia per chi compra un’auto negli Usa), è così inferiore ai concorrenti che la rivista non ha potuto raccomandare alcun suo modello. La sua linea di nuovi prodotti è pressoché inesistente. Dipende quasi del tutto dal brutale mercato americano. E il suo azionista di maggioranza, il fondo di private equity Cerberus, non vede l’ora di disfarsene».
All’opposto la Ford ha saputo migliorare la qualità dei suoi prodotti, considerati ora superiori a quelli di Toyota da Consumer Reports, sia per le loro caratteristiche quando sono nuovi di zecca sia per la loro affidabilità nel tempo. E questo grazie alla strategia del suo ceo Alan Mulally di concentrarsi sul far bene poche cose per volta, osserva Ingrassia, uscito dall’ultimo salone dell’auto di Detroit con l’impressione che Ford forse riuscirà a essere l’unica casa americana a superare bene il 2009 senza bisogno dei sussidi pubblici. Finora infatti non li ha chiesti.
In un mercato così difficile e competitivo, uno dei grossi interrogativi è proprio come i consumatori accoglieranno i nuovi prodotti frutto dell’alleanza Fiat-Chrysler: non basta che siano «verdi», piccoli e risparmiosi, devono anche piacere ai gusti locali.