Massimo Gaggi, CorriereEconomia 26/1/2009, 26 gennaio 2009
E BOB NARDELLI LAVORA PER CONVINCERE OBAMA
Quando, due anni fa, il misterioso Stephen Feinberg – l’incarnazione di una finanza insofferente delle regole, spietata, contraria a ogni forma di pubblicità e sorda alle richieste di trasparenza – aveva iniziato a negoziare con Daimler l’acquisto della Chrysler, i sindacati americani reagirono con rabbia. Il capo dello United Auto Workers, Ron Gettelfinger, si presentò addirittura a Stoccarda, nel quartier generale della Daimler, scongiurando i tedeschi di non vendere la casa automobilistica di Auburn Hills al finanziere senza cuore che aveva dato alla sua società un nome spaventoso e feroce: Cerberus, il mitologico cane a tre teste posto a guardia delle porte dell’inferno.
Poi tutto cambiò: Feinberg – un uomo che non aveva mai dato interviste e che si era infuriato quando, anni prima, il «Wall Street Journal» pubblicò una sua foto – scelse per la prima volta di esporsi personalmente, raccontando la sua storia di figlio di un commerciante di metalli e mostrando un’umiltà che nessuno si aspettava da un finanziere miliardario. Così riuscì a convincere tutti (o quasi) che per lui Chrysler non era un affare come un altro, ma la scommessa della vita.
La guardia di Cerberus
Se quella era la scommessa della sua vita, Feinberg oggi dovrebbe sentirsi un fallito: comunque si concluda il negoziato con Fiat, è evidente che Cerberus – che ha già cercato senza successo di vendere Chrysler alla General Motors e alla Nissan – si è ormai convinta di aver perso la sua partita nonostante l’impegno di Bob Nardelli, il manager chiamato un anno e mezzo fa a tentare di rimettere in piedi un’azienda scivolata nello scomodo ruolo di produttore più piccolo e meno innovativo.
Il manager italo-americano era arrivato nel quartier generale di Auburn Hills, in Michigan, senza alcuna esperienza specifica nel settore dell’auto, ma con la fama di manager duro, pronto a rivoltare le organizzazioni aziendali da lui giudicate inadeguate. A dargli lustro erano stati, soprattutto, gli ottimi risultati raggiunti negli anni 90 come capo della divisione energia della General Electric.
Nel 2000, sconfitto da Jeffrey Immelt nella corsa alla successione di Jack Welch, Nardelli se ne andò a dirigere Home Depot, la maggiore catena Usa di negozi di materiali per la casa. Un’esperienza a due facce: raddoppiò le vendite e avviò la totale riorganizzazione del gruppo anche con rapporti bruschi con un management che, peraltro, era stato da lui totalmente rinnovato.
All’inizio del 2007, dopo uno scontro con gli azionisti, le dimissioni con poca gloria e tanti soldi: una buonuscita di 212 milioni di dollari.
Di nuovo a Detroit
Dopo qualche mese eccolo riemergere, con Cerberus, come uomo incaricato di tirare fuori dalla tenda a ossigeno la Chrysler. L’insuccesso, che probabilmente provocherà la sua uscita di scena, non è di per sé motivo di condanna: proibitiva fin dal primo momento, quella del salvataggio della Casa americana è diventata una sorta di «mission impossible» con la crisi del credito che ha fatto letteralmente sparire un terzo del mercato americano dell’auto colpendo soprattutto i settori – pick up, minivan, Suv che erano i punti di forza della Chrysler. Appena insediato, Nardelli si è rimboccato le maniche: ha tagliato subito 10 mila dipendenti, ha chiuso vari stabilimenti, ha eliminato quattro modelli che non avevano «sfondato».
Non è bastato.
In passato Chrysler era più volte riuscita a riemergere da situazioni catastrofiche, a cominciare dal caso più celebre, quello del salvataggio condotto da Lee Iacocca, per la sua capacità, oltre che di ristrutturare e tagliare, anche di innovare. In una situazione di mercati che, comunque, tendevano a espandersi. I primi minivan e Suv nacquero negli uffici di progettazione della Chrysler.
Stavolta, invece, anziché su tecnologia e capitali privati, negli ultimi mesi Nardelli non ha fatto altro che puntare sugli aiuti pubblici del governo e del Congresso. Non per investire in ricerca ma semplicemente per pagare stipendi e fornitori: Chrysler «brucia» ogni mese 5 miliardi di dollari e la cassa della società, che ancora ad agosto conteneva 11 miliardi, all’inizio del mese scorso si era ridotta a quota 2,5 miliardi. Sotto la soglia della sopravvivenza. Ora il suo interlocutore sarà Timothy Geithner, segretario al Tesoro dell’amministrazione Obama.
Il baratto
Visto dal Michigan, l’accordo con Fiat è una sorta di «baratto » senza movimenti di capitali (quelli verranno chiesti di nuovo al contribuente Usa) che può consentire al gruppo americano di dotarsi, senza spendere molto, di piattaforme per i veicoli di piccole dimensioni (tipo Bravo o Punto) che, in tempi di «austerity», saranno sempre più richiesti dal consumatore americano. Secondo i critici dell’accordo il gruppo di Auburn Hills è ormai agonizzante: troppo tardi per salvarlo.
Il sospetto è che Cerberus voglia solo disfarsi di un fardello che non è più in grado di gestire. Cominciano a esserci dubbi anche sulla buona fede di Feinberg: si è scoperto che, mentre parlava ai sindacati del suo «patriottismo » industriale, il gran capo scriveva riservatamente agli investitori in Cerberus scusandosi per l’eccesso di visibilità del gruppo di «private equity » dovuto all’affare Chrysler e promettendo che non si sarebbe dissanguato per investire massicciamente nel settore dell’ auto: «Non dobbiamo rivoltare il mercato, non siamo eroi». Avanti un altro.