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 2009  gennaio 26 Lunedì calendario

LA CAMPAGNA D’ITALIA DEL RAGIONIER CONSOLI


Può Montebelluna, fin qui capitale dello scarpone da sci e della calzatura sportiva, diventare anche capitale del-l’Italia del credito? La risposta, negativa per i più, suona sorprendente se a darla è Vincenzo Consoli, amministratore delegato di Veneto banca, che di questo singolare progetto è l’estensore. A patto – sia chiaro – che si eviti il gigantismo aziendale, si mantenga il contatto con il territorio, si stia lontano dalla Borsa e non si perda di vista il cliente. Se i prerequisiti sono fatti salvi, allora la campagna d’Italia può prendere corpo, «ed è quello che stiamo facendo – dice Consoli ”, da Torino a Trieste e da qui fino alla Puglia seguendo la dorsale adriatica... Noi ci siamo ».
Undici acquisizioni aziendali in dieci anni, più un pugno d i sportelli rilevati da Intesa Sanpaolo, sono serviti a portare l’ex Popolare di Asolo e Montebelluna in giro per l’Italia. Da dicembre a oggi, due colpi: la Cassa di risparmio di Fabriano e Cupramontana (Carifac) e Banca Apulia.
Al netto d i questi due accordi, gli sportelli oggi sono 426.
Quando verrà definita Banca Apulia saliranno a 478 e fra tre anni, quando sarà possibile esercitare un diritto di opzione per salire al 51 per cento di Carifac, potrebbero diventare 537, salvo nuove aperture.
«Niente – dice – rispetto ai 6.500 sportelli di Intesa».
Ottimista Il sospetto è lecito: Veneto Banca, una popolare non quotata, ha corso troppo. «Noi – assicura Consoli – siamo sempre stati prudenti. Abbiamo 2,2 miliardi di patrimonio netto, togliendo anche l’utile di periodo che non considero. Seicento milioni più dell’anno precedente. Il nostro patrimonio evidenzia un Core tier 1 al 7,2%, il Core Tier 1 ratio all’8,34% e il total risk al 12,23% (sono i principali indicatori della patrimonializzazione bancaria, nda ). Quindi non direi che abbiamo corso. Inoltre, non abbiamo impegni di scadenze sul fronte internazionale: su 16 miliardi di raccolta, 450 milioni arrivano dai mercati. Ritengo ci sia motivo per essere moderatamente ottimisti».
Diversi La ricetta appare semplice: poca finanza, molte imprese. E attenzione ai soci anche in tempo di crisi («Una banca popolare non può non pagare il dividendo », chiosa guardando alla prossima assemblea). Cosicché, lo sottolineano anche gli osservatori di settore, la stretta del credito è, nel Nordest, meno severa che altrove. E il tessuto connettivo delle pmi resiste meglio di altri modelli industriali. «Chiariamo – dice Consoli ”: che il momento sia difficile è indubbio. Ma che sia così terribile come viene dipinto è solo parzialmente vero. C’è preoccupazione, è chiaro. Basta vedere quello che è successo nel mondo della finanza e ai grandi gruppi industriali. Sono loro che hanno sofferto di più. Ma quando incontro gli imprenditori che mi chiedono "voi cosa fate per le imprese?", dico che ci comportiamo esattamente come nel gennaio 2008. Cioè non stiamo assumendo atteggiamenti negativi. L’attenzione al rischio c’è. Ma noi abbiamo l’80-90% del nostro attivo composto da credito alle imprese: è chiaro che se registriamo una morìa di aziende, anche noi portiamo i nostri libri in tribunale, ma deve essere un fatto davvero terribile, crolla il mondo- Italia e crolla Veneto Banca. Ma se c’è la crisi finanziaria e c’è la caduta dei corsi dei titoli, beh la cosa allora è diversa. E se le imprese sono sane, i soldi me li restituiranno più avanti...».
Ragioniere
Consoli appare diretto. Divide il grano dal loglio, le entrate dalle uscite, i diplomati dai laureati.
«Io sono ragioniere. E ci tengo. La laurea è arrivata
honoris causa
da Venezia, nel 2005: controllo di gestione e pianificazione strategica». Ma la sua strada è stata altra. Nasce a Miglionico, in provincia di Matera, 59 anni fa, poi la famiglia si trasferisce in Piemonte («erano anni in cui la Fiat assumeva...»). Inizia a lavorare a Biella, filiale del Credito Italiano: lana, riso, un po’ di meccanica, i rubinetti della Val Sesia. Era il 1970. «Ho lasciato il Credito Italiano dopo 18 anni, ne ero innamorato. Ero vicedirettore della sede di Vicenza. Mi cercò questa popolare per aprire l’agenzia di Torri di Quartesolo. Mi davano un pacca di soldi. M’avessero dato una pacca sulle spalle sarei rimasto al Credito. M’avessero detto "dai, resta con noi", sarei rimasto. Sono andato via a malincuore ».
Barricate Quattro anni dopo Consoli è in sede. Quando nel ’97 l’allora direttore generale Cremonesi è pronto a sottoporre all’assemblea un accordo stringente con il Sanpaolo di Torino, Consoli arma la resistenza al grido «salviamo l’autonomia». All’assemblea il ticket titolare Cremonesi- Tartini si scontra con gli sfidanti Consoli-Antiga (oggi vicepresidente) e perde. Era il 1997. Esattamente il 22 marzo, giorno conclusivo delle Cinque giornate di Milano, che a Montebelluna sancisce un altro risorgimento. «La nostra storia inizia allora», spiega Consoli e la data è ricordata dalla grande fontana davanti alla sede della holding.
Salottini buoni Da allora la popolare di Montebelluna inizia lo shopping. Apre sportelli anche all’estero, il primo in Romania per stare vicino ai clienti che delocalizzano, poi va in Irlanda, dove apre Veneto Ireland financial services , che gestisce parte del portafoglio mobiliare del gruppo. Il colpo grosso è del 2007, quando si aggiudica la Popolare di Intra, devastata dalla vicenda Finpart. Un’acquisizione pagata tanto. «Tanto – ammette ”. Col senno di oggi, nel pieno della crisi, tantissimo.
Col senno di ieri l’abbiamo pagata il giusto. Noi abbiamo speso 850 milioni per il 100%, c’erano 250 milioni di mezzi propri, abbiamo pagato 600 milioni di avviamento. Su un’ottantina di sportelli abbiamo pagato 7 milioni a sportello che erano i valori di quel momento». L’altro colpo è dello scorso anno: il 40 per cento di Cofito, che vale il 20 per cento di Banca Intermobiliare. Un’operazione carta contro carta, che porta Veneto Banca a essere socia delle famiglie Segre, D’Aguì, Scanferlin e Giovannone a cui vanno – tra l’altro – il 25 per cento della Banca Italo-Romena. «Per noi è l’occasione per fare meglio la gestione delle ricchezze, il private banking e i fondi. Un’opportunità industriale ». Come natura industriale hanno gli accordi con Palladio Finanziaria (20%) e Ferak (20%). «Palladio è un ottimo partner: tutto quello che è private equity o necessità di finanza straordinaria della nostra clientela l’appoggiamo a loro. Ferak nasce da Palladio, che stava impostando con Finanziaria Internazionale e con gli Amenduni dell’acciaio una società per partecipare all’attività di Borsa. Ci ha chiesto di partecipare».
I numeri «Abbiamo chiuso il 2008 con crescite attorno al 15% nella raccolta e negli impieghi. Nel conto economico siamo lievemente sotto al budget, ma sopra al consuntivo 2007. Per noi ha influito la Robin Tax, che pesa, sul netto, circa 14 milioni di euro. Avevamo come obiettivo 125 milioni di utile, 14 li ha portati via la Robin Tax, una decina la crisi dei mercati, siamo attorno ai cento milioni. Nel 2007 chiudemmo a 92 milioni di utile netto». E quasi non c’era la crisi.