Leonardo Rossi , ItaliaOggi 24/1/2009, 24 gennaio 2009
COMMERCIO, LA CRISI E’ ARRIVATA
Crisi sempre più nera per le imprese commerciali, e ormai non solo la piccola distribuzione, ma pure la grande deve fare i conti con la recessione economica. Il crollo complessivo delle vendite, che a novembre secondo l’Istat ha raggiunto il 3%, tocca infatti pesantemente sia i piccoli negozi, che vedono scendere gli affari del 4,3%. sia la gdo, le cui vendite diminuiscono dello 0,8%, un evento abbastanza raro che, osservando i dati degli ultimi anni, si è verificato pochissime volte, nonostante il cattivo andamento delle vendite presente già da tempo. La caduta poi, spiegano i tecnici del nostro istituto di statistica, interessa tutta la penisola con valori tuttavia più marcatamente negativi al Sud rispetto al Centro-nord.
La performance complessiva dei primi undici mesi dell’anno, seppure negativa (-0,5%), evidenzia ancora un aumento per la gdo (+1,3%), ma la piccola distribuzione appare sempre in rosso (-1,7%). Tra i prodotti, invece, la riduzione più sensibile arriva dai non alimentari, in flessione del 4%, mentre con una diminuzione dell’1,3% i beni alimentari reggono l’urto dello tsunami che si è abbattuto sul commercio. comunque evidente che i consumatori, con la crisi, hanno ulteriormente ridotto gli acquisti di beni non indispensabili, lasciando più o meno intatte le compere di prodotti alimentari. Non a caso nella grande distribuzione, l’unico risultato positivo arriva dal settore alimentare degli ipermercati; neanche gli hard discount, ormai i punti vendita preferiti dalle famiglie in difficoltà (ovvero quelle che finiscono lo stipendio prima della quarta settimana), fanno registrare un dato positivo: a novembre la diminuzione è dell’1,4%. Comunque una performance migliore rispetto sia ai grandi magazzini (-2,5%) sia ai negozi specializzati di grande superficie (-2,7%), ma peggiore del risultato complessivo degli ipermercati che fanno rilevare una flessione soltanto dello 0,2%.
Per quanto riguarda i soli prodotti non food, l’Istat rende noti anche dati relativi a 14 gruppi di prodotto da cui emerge che neanche un settore registra un segno positivo. La caduta più pesante è quella dei prodotti vari (-5,4%), seguono la cartoleria, libri e giornali (-5,2%), i prodotti della profumeria (-4,8%) e i supporti magnetici e strumenti musicali (-4,7%).
Quanto alle vendite per area territoriale, l’Istat segnala dati negativi ovunque: la diminuzione più significativa ha riguardato il Mezzogiorno (-3,6%) e quella più contenuta il Nord-ovest (-1,9%). Le vendite di alimentari sono diminuite in tutte le ripartizioni, con il calo più marcato al Sud (-2,1%) e quello di minore entità nel Nord-ovest (-0,5%). Nelle vendite di prodotti non alimentari, invece, la diminuzione più ampia è stata registrata nel Centro Italia (-4,9%), mentre quella più contenuta nel Nord-ovest (-2,9%).
Il numero medio di giorni di apertura, infine, è stato pari a 24,8. Gli esercizi della grande distribuzione sono rimasti aperti in media per 25,6 giorni e le imprese operanti su piccole superfici per 24,3 giorni.
Rispetto allo scorso anno sono state registrate diminuzioni di 0,2 giorni per le imprese della gdo e di 0,4 giorni per i piccoli negozi.
Dunque questi ultimi in mancanza di affari aprono pure meno, ma è sempre meglio che chiudere, come hanno fatto nello scorso anno oltre 50 mila imprese commerciali.
«Una flessione dei consumi senza fine», ha dichiarato il presidente di Confesercenti, Marco Venturi. «Del resto anche dicembre, mese della speranza, non è stato esaltante e i saldi di gennaio, lo sappiamo bene, costituiscono una troppo rapida fiammata». Secondo Venturi, «la situazione dei consumi esige più attenzione e più responsabilità da parte del governo. Si vuole provvedere all’auto come è giusto che sia, per il timore di perdere posti di lavoro. Ma se i consumi andranno sempre peggio avremo altre migliaia di imprese chiuse dopo le 52 mila del 2008 con un aumento della disoccupazione in questo settore assai più micidiale di quello ipotizzabile nell’auto. Per ora, infatti, la previsione è di 150 mila posti di lavoro perduti, ma in assenza di interventi rapidi questa cifra rischia di gonfiarsi drammaticamente».
Per il Codacons i dati sul commercio al dettaglio evidenziano «una situazione ancora peggiore rispetto a quella che appare», visto che incorporano sia la dinamica delle quantità sia dei prezzi e che a novembre l’inflazione era stata del 2,7%.
Secondo l’associazione, «il calo dei prodotti a domanda meno rigida, come quelli non alimentari, che registrano un crollo del 4%, dimostra che gli italiani, avendo finito i soldi, hanno deciso di rinviare il consumo di beni superflui, modificando le proprie abitudini di acquisto». Infine, per il Codacons «è interessante il dato rispetto alla forma distributiva. Si conferma lo spostamento della clientela dai negozi tradizionali agli ipermercati, unici a contenere il crollo dei consumi. Una dimostrazione del fatto che», spiega il Codacons, «gli italiani, avendo finito i soldi, vanno a caccia delle offerte più vantaggiose. Anche i piccoli negozi, quindi, se non vogliono continuare a perdere clienti a favore della grande distribuzione, devono abbassare i prezzi del 20%».