Marco Zatterina La Stampa 27/1/2009, 27 gennaio 2009
Geir Haarde entrerà nel Guinness dei primati alla voce «primo leader di governo fatto fuori dalla crisi economica del 2008/9»
Geir Haarde entrerà nel Guinness dei primati alla voce «primo leader di governo fatto fuori dalla crisi economica del 2008/9». Il premier islandese ha gettato la spugna ieri, ormai incapace di reagire alle pressioni della piazza. Le ambizioni della piccola tigre dell’Atlantico del Nord, un tempo in testa a tutte le classifiche planetarie di crescita e sviluppo, sono state falciate via dalla tempesta finanziaria: le banche sono fallite e l’economia è andata a carte quarantotto. Quest’anno la dinamica del pil sarà negativa di 10 punti e la politica ha deciso un cambiamento di rotta. Elezioni anticipate il 9 maggio e poi si tireranno le somme. E’ un modo per prendere tempo e assumersi le responsabilità. Sperando che qualcosa possa cambiare davvero. Due anni fa tutto questo sarebbe sembrato soltanto il brutto scherzo di un politologo burlone. Invece succede, e forse qualcuno avrebbe dovuto pensarci prima che, nell’autunno dello scorso anno, l’indebitamento degli istituti di credito islandesi raggiungesse un volume (61 miliardi di dollari) di 12 volte superiore al prodotto interno lordo nazionale. Il sistema, travolto dalla speculazione, ha bruciato un mare di ricchezza. Poco prima di Natale la Borsa di Reykjavik aveva perso il 96 per cento del suo valore. Risultato: disoccupazione triplicata, riduzione del 60 per cento dei viaggi all’estero, deficit alle stelle, inflazione al 13,1%, tassi di interesse al 10, umore da paradiso perduto per i 300 mila europei della Terra del ghiaccio. La scorsa settimana i pacifici islandesi hanno cominciato a protestare, cosa che non capitava dal 1949, anno dell’adesione alla Nato. Lo hanno fatto con un insolito misto di garbo e furia, cocktail sufficiente per scuotere il governo dalle fondamenta. Del resto, vedere un’isola abitata da un popolo di appassionati dei Suv correre ad accaparrarsi i generi più elementari nei supermercati avrebbe impressionato chiunque. Certo ha scosso i socialdemocratici alleati di Haarde, esponente del partito dell’Indipendenza, solerti nel chiedere un cambiamento di guida per tenere in piedi la coalizione. Il premier non ha ceduto. Niente staffetta, ha replicato. Piuttosto si va a votare. Così sarà. «Sono veramente rammaricato di non poter continuare con questa coalizione - ha confessato ieri il presidente del consiglio dimissionario -. Sono sicuro che sarebbe stata la cosa migliore». Non lo sapremo mai. Il cinquantasettenne Haarde rimarrà in carica per un’amministrazione certo non ordinaria e non parteciperà al voto di primavera perché costretto a sottoporsi ad una terapia per un tumore alla gola. Il tam tam dice che potrebbe prender il suo posto la socialdemocratica e ministro degli Esteri Ingibjorg Gisladottir, ma ieri la donna s’è chiamata temporaneamente fuori dal gioco candidando la collega di partito, Johanna Sigurdardottir, attualmente responsabile degli Affari sociali. Saranno mesi roventi e la polizia dovrà probabilmente ricorrere ancora allo spray al pepe con cui in questi giorni ha tenuto a distanza i manifestanti. L’Islanda, che si è assicurata un prestito pilotato dal Fmi da 10 miliardi di dollari, deve trovare la liquidità per risollevare l’economia e per rimborsare i cittadini europei a cui le banche locali hanno distrutto i risparmi. Sul tavolo, a questo punto, anche l’opzione di un rapido ingresso nell’Unione europea. Secondo i principali sindacati e una buona parte della classe politica isolana la candidatura potrebbe essere presentata già nel 2009. Sarebbe un fatto senza precedenti, l’Ue come ancora di salvataggio per un’ex stella della congiuntura. Anche questo, a pieno titolo, avrebbe ragione di essere segnato nel Guinness dei primati.