Fabio Pozzo, La Stampa 27/1/2009, 27 gennaio 2009
La strategia della «mannaia» per ridurre i costi e resistere alla «tempesta». Con l’intento, o quantomeno la speranza, di tornare ad una redditività nel lungo termine, quando l’onda dello tsunami sarà passata
La strategia della «mannaia» per ridurre i costi e resistere alla «tempesta». Con l’intento, o quantomeno la speranza, di tornare ad una redditività nel lungo termine, quando l’onda dello tsunami sarà passata. Tagliare, è la parola d’ordine. Personale incluso, una voce di spesa che viene a pesare, soprattutto quando riorganizzazione aziendale persegue un sistema più lineare, che necessita di meno persone per funzionare. Non è un fulmine a ciel sereno, è vero. Le prime ristrutturazioni sono partire agli inizi dello scorso anno, quando s’è cominciato a delineare il quadro fosco della grande crisi: il Financial Times calcola 2,6 milioni di posti di lavoro andati in fumo nel 2008 (il più grande «falò» dal 1945). Ma a far paura, ora, è il 2009. Le avvisaglie, perché si confermi degno della trama di film «splatter», ci sono tutte. Soltanto ieri, sono state annunciate 80 mila nuove «vittime». Caterpillar, il colosso Usa della produzione di macchine per la movimentazione di terra, ha detto d’essere pronto a firmare l’ordine di esodo per 20 mila dipendenti, dopo aver chiuso il quarto trimestre con utili in calo del 32%. Seimila «teste», invece, si propone di far saltare Philiphs, il gruppo olandese di elettronica, che ha registrato la prima perdita trimestrale dal 2003 (il rosso nell’ultimo «quarter» è di 1,5 miliardi di euro, contro un’attesa di 1,2). Texas Instrument ne farà fuori 3.400, Ibm 2.800. Elettronica, informatica e telefonia sono in piena buriana: Microsoft licenzia per la prima volta, con una sforbiciata da 5 mila addetti; 8 mila, l’operatore Usa di tlc Sprint Nextel; 5 mila, la Ericsson; altri 4 mila, per un totale da gennaio 2007 di 17 mila, la Motorola; 8 mila, la giapponese Tdk; fino a 6 mila, il gruppo informatico Usa Sun Microsystems; 24.600 la Hewlett Packard; 16.750 la Siemens; 16 mila la Sony. Non parliamo dell’auto. In Giappone, Toyota, Honda, Nissan, Mitsubishi Motors, Mazda faranno fuori entro marzo oltre 25 mila addetti. In Romania, l’Associazione dei produttori e importati di quattro ruote stima a rischio 100 mila posti di lavoro. General Motors ne taglierà fino a 31.500, Chrysler 5 mila. Non c’è scampo, nessun comparto ha l’antidoto per il «virus». Miniere: dal gruppo cileno Sonami (12 mila licenziamenti) all’anglo-australiano Bhp Billiton (6 mila), a Rio Tinto (2.300). Siderurgia: dall’indiano ArcelorMitall (9 mila) al britannico Corus controllato da Tata Group (3.500), allo statunitense Alcoa (13.500). Farmaceutica: Pfizer, dopo aver acquistato la rivale Wyeth per 68 miliardi di dollari, riduce il personale complessivo del 15% (19 mila addetti); Merck prevede un taglio di 7.200 persone entro il 2011. Servizi: American Express, sforbicia per 7 mila. Elettrodomestici: in casa Whirpool un taglio da 5 mila. Non resiste più nemmeno il settore pubblico. In Sud Corea il governo si appresta a sfoltire gli uffici con 19 mila esuberi. Cade anche il mito del posto in banca: Citigroup ne fa fuori 50 mila, Ing 7 mila. Il gruppo del credito olandese chiuderà in rosso il 2008 per un miliardo di euro: è la sua prima perdita di tutti i tempi (a farne le spese il numero uno Michel Tilmant, che sarà rimpiazzato dal presidente Jan Hommen). Nessun allarme, però, per Ing Italia, che chiude con un utile ante imposte (in calo) a 38 milioni di euro, una crescita commerciale di 2 miliardi e 166mila nuovi clienti. Bene anche Conto Arancio, che registra 430 milioni di nuovi depositi (170 nel 2007). Persino il bricolage non è più un angolo tranquillo: Home Depot, sotto l’uppercut della recessione Usa, ha annunciato sempre ieri che «congelerà» 7 mila posti di lavoro. Sul mare, il colosso danese del trasporto di container Maersk Line sta tagliando il 15% della sua forza lavoro: 2/3 mila dipendenti, 200 a Genova. A proposito d’Italia. Se in passato chi perdeva l’impiego spesso si riciclava nel commercio, oggi non è più tempo: Confesercenti prevede per il 2009 la chiusura di 60 mila imprese. ALTRO PEZZO DI REPUBBLICA SULLO STESSO ARGOMENTO EW YORK - Per il mondo del lavoro è stato il lunedì più nero di una intera generazione. Iniziata in Europa con i 6mila tagli alla Philips, un´ondata di licenziamenti si è abbattuta sulla struttura industriale americana, spazzando in via in un giorno quasi 50mila posti di lavoro. Per via della recessione, del crollo della domanda e di previsioni tanto pessimistiche che il Fondo monetario ha rivisto al ribasso le sue stime della crescita 2009 e 2010, la Caterpillar ha mandato a casa 20mila dipendenti, il 18% del totale. Sempre ieri il gigante farmaceutico Pfizer ha ridotto l´occupazione di 8300 posti, la Corus di 3500, la Sprint Nextel di 8mila, la General Motors di 2mila concentrati nel Michigan e nel Ohio, e Home Depot, il colosso del fai-da-te, di altri 7500. «Non sono solo numeri astratti», ha ricordato ieri mattina Barack Obama. «Come per gli altri milioni di americani che hanno perso il posto nel 2008, dietro a queste cifre ci sono lavoratori che vedono turbata la serenità familiare e congelati i loro sogni. Abbiamo il dovere di agire senza distrazione né ritardi». Le parole del neopresidente erano dirette soprattutto ai repubblicani, che stanno ostacolando il maxi-piano da 825 miliardi di dollari per il rilancio dell´economia. In teoria domani la Camera dovrebbe mettere ai voti il piano, poi sarebbe il turno del Senato in vista di una approvazione definitiva entro il 16 febbraio. «Non vedo l´ora di firmare la legge», ha detto ieri Obama. Ma la destra fa resistenza. «Siamo molto preoccupati per il contenuto del provvedimento», ha tuonato il grande sconfitto della campagna elettorale, John McCain, ora tornato nei banchi del Senato. «Prevede infatti spese che non hanno nulla a che fare con uno stimolo all´occupazione e al tempo stesso non riduce alcune tasse che potrebbero incoraggiarla». Al di là dell´importo complessivo della manovra, che aggraverà per anni i conti pubblici americani, i repubblicani sono irritati da alcune spese sociali introdotte dai democratici nel maxi-piano: come gli stanziamenti per il controllo delle nascite. E secondo alcuni calcoli solo la metà dei fondi complessivi potrebbe essere investito in tempi rapidi in infrastrutture e altri progetti capaci di creare occupazione. D´altra parte, ben sapendo che Obama gode in questa fase di grande popolarità, la destra non vuole attaccarlo frontalmente. Di qui la tattica del temporeggiamento, alla quale il presidente reagisce moltiplicando i suoi appelli. Intanto la situazione peggiora di giorno in giorno. «La massa dei licenziamenti di lunedì conferma l´accelerazione della crisi», commenta Harry Holzer, della università Georgetown. Dall´inizio della recessione nel dicembre 2007 sono stati persi negli Stati Uniti 2,59 milioni di posti di lavoro e il tasso di disoccupazione è schizzato il mese scorso al 7,2%. E gli esperti sono convinti che ormai il ritmo di distruzione degli impieghi sia di 600mila al mese. Anche il Fmi (Fondo monetario internazionale) lancia l´allarme sull´aggravamento delle prospettive. Secondo il "World economic outlook", la consueta analisi semestrale, di cui è emersa ieri una bozza in anteprima, il Fmi prevede che la crescita mondiale sarà nel 2009 di appena lo 0,5%, e non più del 2,2 come pensava lo scorso ottobre. In ribasso anche le stime del Pil per i paesi industrializzati. ARTURO ZAMPAGLIONE