Federico De Rosa, Corriere della Sera 27/1/2009, 27 gennaio 2009
MILANO
La Fondazione Montepaschi batte cassa. In vista della chiusura del bilancio di Banca Mps e della decisione sulla politica di dividendi, ieri il presidente della Fondazione, Gabriello Mancini, ha fatto presente ai vertici dell’istituto che «bisogna tenere conto delle necessità della Banca, ma anche di quelle della Fondazione. Bisogna trovare una sintesi». In poche parole: vogliamo i dividendi.
L’esercizio non è semplice. L’acquisizione di Antonveneta, avvenuta un attimo prima che la crisi del credito deflagrasse, ha ristretto gli spazi di manovra a Siena, che nell’operazione ha investito 9 miliardi, di cui 3 messi dalla Fondazione sotto forma di aumento di capitale. Altri 4 miliardi sarebbero dovuti arrivare dalle dismissioni di asset e immobili, non ancora completate. Anche i 125 sportelli che il Monte deve cedere su richiesta dell’Antitrust sono rimasti dove erano. Il presidente Giuseppe Mussari aveva avuto una proroga di sei mesi da Antonio Catricalà, e prima di Natale avrebbe ottenuto il via libera per vendere le filiali entro fine 2009.
Resta tuttavia l’impegno annunciato dal direttore generale, Antonio Vigni, a riportare i coefficienti patrimoniali a livelli adeguati, e in particolare il Core Tier 1 al 6% e il Tier 1 al 6,5% per fine 2008. Obiettivi condivisi dalla Fondazione, che ha approvato il piano industriale. Ieri tuttavia Mancini ha precisato che il via libera dell’Ente «non è una delega in bianco». «Noi svolgiamo continuamente, e con forza, il nostro ruolo di azionisti – ha sottolineato ”. Vedremo a fine esercizio, che segna anche la fine del mandato per gli attuali amministratori». Se ce ne fosse bisogno, ha aggiunto Mancini «noi siamo disponibili» a rivedere il piano.
In questo quadro, la decisione di non distribuire dividendo per privilegiare il rafforzamento patrimoniale sarebbe logica. Se non obbligata, a detta di molti. Mancini tuttavia non la pensa così. «Non vedo perché la banca dovrebbe prendere questa decisione» ha detto ieri nel corso della presentazione delle linee strategiche della Fondazione per il 2009, spiegando che se Rocca Salimbeni ha le sue esigenze anche il suo maggiore azionista ne ha. E dunque il dividendo ci vuole: «Diversamente non saremmo d’accordo» ha concluso Mancini, che l’anno scorso ha incassato 380 milioni per il 56,8% del capitale del Monte.
La decisione verrà presa dal consiglio di Mps del 27 marzo, convocato per l’esame del bilancio. Sarà l’ultima riunione dell’attuale board guidato da Mussari. Ma anche l’ultimo per Mancini da azionista di maggioranza di Rocca Salimbeni. Con febbraio a Siena si apre infatti una stagione di nomine, che tocca i gangli strategici dell’economia locale. Si comincia con le primarie del Pd per la presidenza della Provincia, poi in aprile il rinnovo del consiglio della Banca Mps, a giugno le amministrative provinciali, per chiudere a luglio con la nomina dei nuovi vertici della Fondazione Mps. L’attuale presidente puntava alla riconferma, ma lo statuto vieta il doppio mandato e la speranza che l’ostacolo potesse essere superato con una provvedimento del governo è sfumata. Per la successione è stato tirato in ballo Alberto Monaci, capogruppo del Pd al Consiglio regionale, che però si è chiamato fuori.
A fronte di un eventuale «sacrificio » la Fondazione dovrebbe attingere alle riserve. O alleggerire il portafoglio. In tal senso il presidente di Palazzo Sansedoni ha detto che la quota dello 0,42% in Intesa Sanpaolo non è strategica, mentre lo è l’1,9% in Mediobanca. L’Ente senese ha già fatto una proiezione sulla propria situazione e, ha detto Mancini, «giovedì scorso ha approvato il testo della lettera al ministro Tremonti », che ha chiesto alle Fondazioni bancarie di conoscere previsioni del conto economico ed eventuali sofferenze.
Federico De Rosa