Massimo Gaggi, Corriere della Sera 27/1/2009, 27 gennaio 2009
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK – Obama si allea con Arnold Schwarzenegger per spingere l’America verso una rivoluzione «verde» che è industriale e culturale al tempo stesso. E che costringe i gruppi Usa dell’auto a ripartire quasi da zero.
Solo qualche giorno fa sembrava impensabile che il nuovo presidente, davanti a produttori agonizzanti, potesse addirittura alzare l’asticella dei requisiti tecnologici e ambientali per le nuove vetture, reintroducendo i severissimi standard d’inquinamento stabiliti dalla California e messi fuori legge da Bush. «Sarebbe come chiedere a un ammalato di cancro di sospendere la chemioterapia e andare a correre la maratona», aveva tagliato corto il portavoce della General Motors, Greg Martin. E’ proprio quanto ha fatto Obama.
Le decisioni prese ieri a meno di una settimana dall’insediamento capovolgono la linea seguita da Bush che aveva proibito alla California e ad altri 13 Stati di fissare standard per l’emissione dei gas-serra diversi e più severi di quelli nazionali. Bush, poi, non aveva dato attuazione alla norma, approvata a fine 2007 dal Congresso, che fissa un limitato incremento dei consumi medi dei veicoli di nuova produzione (da 27,5 a 35 miglia per gallone) da qui al 2020.
La California si era data un obiettivo più ambizioso di quello nazionale (parco-veicoli con un consumo medio di 18-19 km al litro contro i 15 previsti dalla legge federale), tirandosi dietro altri 13 Stati tra i quali New York e la Florida: metà del mercato automobilistico Usa. Cosa che aveva spaventato non solo le industrie americane, che sono indietro con le tecnologie del risparmio energetico, ma anche quelle giapponesi che già oggi hanno in catalogo veicoli che soddisfano i requisiti previsti dalla California per la fine del prossimo decennio.
La mossa di Obama è rischiosa. Con tre messaggi. Il primo politico: si allarga la gamma degli argomenti sui quali, senza critiche personali al suo predecessore, il nuovo presidente capovolge le scelte di Bush. Al tempo stesso Obama costruisce un’alleanza anche con leader locali molto influenti e non di area democratica (come lo stesso Schwarzenegger, il sindaco di New York, Bloomberg, e il governatore della Florida, Charlie Crist) che hanno un gran bisogno di fondi federali. Il secondo messaggio riguarda la cultura dell’ambiente: in un Paese nel quale è bastato il momentaneo calo dei prezzi del greggio per ridare fiato a una domanda (sia pure limitata) di pick up e fuoristrada, Obama segnala la volontà di orientare la domanda con politiche di lungo periodo. Una scelta apprezzata da liberal
e verdi che fin qui non avevano nascosto la loro delusione per il «centrismo » di Obama. Il terzo è industriale: produrre auto che inquinano meno costa (5000 dollari in più per ogni vettura secondo le case di Detroit) e impone una rivoluzione industriale. Ford e GM, che già producono nei loro stabilimenti europei veicoli leggeri ed efficienti, dovranno riconvertire alcuni impianti Usa. Chrysler, che non ha una presenza in Europa, si è rivolta alla Fiat per le tecnologie del basso consumo. Ieri è circolata la bozza di un piano dei due gruppi che prevede la costruzione e la vendita negli Usa di 7 nuovi veicoli di piccola cilindrata (4 col marchio della società americana, 3 con quelli del gruppo torinese), sempre che Chrysler riesca a uscire viva dopo mesi di bufera.
Lo scenario complessivo sembra essere quello di una riconversione nella quale il governo seguirà molto da vicino l’attività delle imprese del settore e sosterrà i loro investimenti. In tutto questo non è chiaro se e dove Obama intenda porre un argine alle spinte dirigiste e protezioniste. Tanto più che, a fronte della realtà di industrie straniere molto più avanzate sul terreno della riduzione dei consumi e delle emissioni, il presidente promette che le nuove vetture «risparmiose» saranno made in Usa.
PEZZO DI MOLINARI DELLA STAMPA SULLO STESSO TEMA
La rivoluzione verde di Barack Obama inizia nel segno della California, ovvero della legge «Clean Air Act» voluta dal governatore repubblicano Arnold Schwarzenegger.
Si tratta di un pacchetto di regolamenti che mira a diminuire drasticamente le emissioni di gas nocivi nell’atmosfera: riduzione del 30 cento entro il 2016 con relativo obbligo per i produttori a mettere sulle strade una nuova generazione di auto, capaci di fare 52,9 km con un gallone (4 litri).
Varando questi provvedimenti nel 2007 Schwarzenegger aveva iniziato un braccio di ferro con l’allora presidente George W. Bush terminato con il veto della Casa Bianca, contraria a concedere ai singoli Stati di regolamentare le emissioni. Ma il nuovo presidente, Barack Obama, inverte la rotta.
L’ordine esecutivo firmato ieri chiede infatti all’Agenzia per l’Ambiente (Epa) di cambiare orientamento e consentire agli Stati di legiferare aprendo la strada non solo alla California ma anche agli altri 13 Stati - Arizona, Connecticut, Maine, Maryland, Massachusetts, New Jersey, New Mexico, New York, Oregon, Pennsylvania, Rhode Island, Vermont e Washington - pronti ad applicare gli stessi standard. Tenendo presente che anche altri quattro Stati, inclusa la popolosa Florida, stanno per compiere lo stesso passo, oltre il 40 per cento della popolazione risiede in territori dove gli «standard californiani» sono destinati a entrare in vigore. Ed è proprio su questi numeri che Obama conta per ridurre l’inquinamento prodotto visto che per una quota del 25 per cento viene dalle auto.
«Ci vuole coraggio»
«Per il bene della nostra sicurezza, della nostra economia e del nostro Pianeta dobbiamo avere il coraggio di impegnarci per ridurre la dipendenza dal greggio straniero e sviluppare nuovi tipi di energia che creeranno milioni di posti di lavoro» ha detto Obama, firmando gli ordini esecutivi che obbligano i produttori a mettere su strada i nuovi modelli a partire dal 2011. Il repubblicano Schwarzenegger è stato il primo a plaudire, suggellando la nascita di un’intesa bipartisan: «E’ una storica vittoria per milioni di cittadini che vogliono macchine che consumano meno e rispettano di più l’ambiente».
Gli ambientalisti esultano
Per gli ambientalisti significa che l’era Bush è finita. «Oggi è un nuovo giorno» ha detto Gene Karpinski, presidente della Lega conservazionista. Ma per le case produttrici invece è un brutto colpo. General Motors, Ford, Chrysler e Toyota avevano esercitato forti pressioni su Bush per bloccare le leggi della California, lamentando il fatto che rispettarle avrebbe obbligato a spendere miliardi che non ci sono. Uno studio dell’industria automobilistica attesta che solo sei dei modelli esistenti potrebbero circolare rispettando il «Clean Air Act».
A dare voce allo scontento è stato John Boehner, leader della minoranza repubblicana alla Camera, obiettando: «Nel momento in cui i produttori stanno lottando per tentare di restare a galla salvando posti di lavoro si trovano obbligati a spendere miliardi per rispettare nuovi standard, soldi che potrebbero essere adoperati per l’occupazione».
I prestiti a Detroit
Il riferimento è ai 17,4 miliardi di aiuti che il mese scorso il governo federale assegnò - sotto forma di prestiti - ai tre giganti di Detroit per evitarne l’imminente collasso. Bersagliato dai dubbi dei media sul rischio che Obama abbia compiuto un passo falso, il portavoce Robert Gibb ha ribattuto: «Procediamo verso obiettivi gemelli, creare posti di lavoro e ridurre la dipendenza dal greggio straniero». Ma a Capitol Hill si respira aria di scontro anche perché i repubblicani si preparano alla battaglia contro il pacchetto di stimoli con «spese eccessive». Per la prima volta da dopo le elezioni John McCain critica Obama: «Mi dispiace, non lo potrò votare». Le obiezioni si concentrano su due fronti, l’«eccesso di spesa pubblica» e la «carenza» di tagli fiscali. In questa cornice lo scenario per Obama è di andare ad uno scontro con l’opposizione, con il rischio di esporsi a fughe di voti dal parte dei «Blue Dogs», gli eletti democratici negli Stati del Sud, alfieri del rigore fiscale. Da qui il compito tutto in salita di Timothy Geithner, confermato proprio ieri dal Senato nella carica di ministro del Tesoro.