Barbara Ardù, la Repubblica 24/1/2009, 24 gennaio 2009
IL TRAMONTO DEGLI ACCORDI NAZIONALI
Contratti si cambia. Il vecchio accordo del ’93 va in soffitta e il nuovo riscrive un po´ tutto. Non solo la durata o il metodo di calcolo per adeguare il salario all´inflazione, ma anche le modalità con cui si arriva alla firma finale (quella con cui si chiudono le trattative), ridisegnando tra l´altro un nuovo modello di rappresentanza sindacale. L´accordo è racchiuso in diciannove punti e sarà applicato in via sperimentale per quattro anni.
A saltare è intanto la distinzione tra pubblico e privato: ci sarà un modello unico per tutti. Si allunga invece la durata del contratto, da due anni si passa a tre. Due invece i livelli di contrattazione. Il punto di partenza rimane il contratto collettivo nazionale di categoria, quello che dovrebbe garantire la certezza di un trattamento economico e normativo unico su tutto il territorio nazionale. Ma il reale aumento delle retribuzioni verrà affidato alla contrattazione di secondo livello, che potrà essere aziendale o territoriale. L´obiettivo è redistribuire per questa via gli incrementi di produttività anche ai lavoratori. Il principio verrà applicato sia nel pubblico che nel privato e gli aumenti dovrebbero poter contare su una serie di incentivi, a cominciare da detassazione e decontribuzione. Nel settore pubblico però gli incentivi saranno concessi in modo graduale e «compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica», mentre in quelle realtà imprenditoriali dove la contrattazione di secondo livello non viene effettuata sarà il contratto nazionale a prevedere un elemento retributivo di garanzia.
Un´altra modifica sostanziale è l´adeguamento all´inflazione. Sparisce quella programmata nel Dpef: i contratti saranno adeguati in base all´indice europeo dei prezzi al consumo, l´Ipca, che calcola effettivamente le spese del consumatore (per esempio inserisce il ticket e non il costo della medicina). Né si terrà conto di quella importata (dovuta ai costi dell´energia). La differenza tra inflazione prevista e effettiva verrà calcolata alla fine del triennio per i contratti del pubblico impiego (che poi la recupereranno alla fine), mentre per il settore privato il calcolo verrà effettuato prima.
C´è poi il capitolo che riguarda la contrattazione. Le trattative vengono inquadrate in un rigido protocollo dove è previsto anche un periodo di "tregua sindacale" «utile per garantire il regolare svolgimento del negoziato». Se si va per le lunghe al lavoratore è assicurata nel contratto nazionale una copertura economica. Nuove regole anche per la rappresentanza sindacale. Non solo. Nelle aziende di pubblica utilità dovranno essere individuati i sindacati che rappresentano la maggioranza dei lavoratori perché saranno loro, finita la "tregua", a poter proclamare gli scioperi, non altri.
Un accordo che si spera possa garantire aumenti contrattuali consistenti perché gli ultimi, denuncia la Cgia di Mestre, sono stati quasi tutti mediamente inferiori all´importo della social card, 40 euro. «Sia chiaro - sottolinea il segretario Giuseppe Bortolussi, - il confronto è chiaramente provocatorio perché stiamo parlando di cose diverse». Ma certo «a fronte di questi aumenti bisogna assolutamente detassare salari e stipendi per lasciare più soldi in tasca ai lavoratori dipendenti». E il nuovo modello contrattuale ci riuscirà? «Va nella direzione giusta».