Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  gennaio 29 Giovedì calendario

E PER CHI IN INVERNO NON VA IN LETARGO? COPERTE, ABBRACCI E ANTIGELO NATURALE


Tè caldo, maglioni e borse dell’acqua bollenti. Per gli ospiti del Bioparco di Roma l’emergenza freddo di gennaio è stata affrontata cosi. Per gli animali domestici, invece, non mancano cappottini e gilet all’ultima moda, tanto che i veterinari americani hanno già lanciato l’allarme: non vestiteli troppo, rischiano il colpo di calore, e poi disimpareranno a regolare la temperatura corporea da sé. Si, perché la natura ha elaborato una sorprendente gamma di strategie e comportamenti per superare la stagione fredda. «Con una distinzione tra vertebrati a sangue freddo, come i rettili e anfibi, e quelli a sangue caldo» dice Carlo Zancanaro, docente di Scienze biomediche all’Università di Verona. «In lucertole, rane, serpenti e rospi il livello di attività è proporzionale alla temperatura esterna. Perciò, ai primi freddi, questi animali si infilano in un riparo e cadono in un profondo torpore, fino a primavera».
La rana orientale dei boschi, canadese, ha portato all’estremo questa strategia. E infatti l’unico anfibio a risiedere oltre il circolo polare artico e, quando arriva il freddo, il suo fegato produce zuccheri complessi, che saturano le cellule di tutto il corpo, funzionando da antigelo. Con il crollo delle temperature, la rana orientale diventa un blocco di ghiaccio, ma l’acqua all’interno delle cellule resta liquida, evitando danni.
Così al ritorno della primavera, l’anfibio si scongela e torna a vivere.

Per gli animali a sangue caldo, che spendono circa il sessanta per cento di quello che mangiano solo per mantenere costante la loro temperatura, la sopravvivenza invernale è cosa assai più complessa. La strategia migliore, per loro, sarebbe evitare del tutto l’inverno, ma questo privilegio è concesso solo agli uccelli migratori. Per tutti gli altri la natura ha pensato però una serie di linee di difesa. La prima è l’isolamento termico: piume per gli uccelli, peli per i mammiferi e grasso sottocutaneo per mammiferi marini e pinguini (che arrivano ad avere dodici piume per centimetro quadro di pelle, incastrate fra loro come le tegole di un tetto). Anche il più casalingo dei cani e dei gatti, però, infoltisce il pelo in autunno. Più il pelo è fitto, infatti, e meglio intrappola l’alia tiepida intorno al corpo. Per questo i peli delle pecore comuni hanno trenta micron di diametro, mentre quelli delle vigogne andine, che vivono ad alta quota, scendono sotto i dodici micron.
Ma la più straordinaria pelliccia è probabilmente quella dell’orso bianco, formata da peli cavi, che non solo aumentano l’isolamento, ma convogliano anche la luce verso la pelle nera sottostante, in modo che si trasformi in calore.
La seconda strategia contro il freddo è quella di ammucchiarsi tutti insieme, diminuendo la superficie esposta all’esterno. La usano tantissimi animali a sangue caldo, topi, pipistrelli, bisonti, pinguini. Ma la sfruttano anche alcuni insetti, come le coccinelle, che svernano a migliaia negli angoli riparati dei giardini, pronte a tornare a primavera, per fare strage di aridi.
La terza linea di difesa è quella della produzione extra di calore. Nei mammiferi questa si realizza con brividi e tremori, nei piccoli uccelli con un metabolismo accelerato, che porta il loro cuore a battere anche trecento volte al minuto.

Se poi isolamento termico, brividi e ammucchiate non bastassero, entra in gioco il più straordinario meccanismo anti inverno inventato dalla natura: il letargo.
«Ci sono moltissimi tipi di letargo» dice Marco Biggiogera, docente di Biologia animale all’Università di Pavia. «Si va dal sonno relativamente leggero dell’orso fino all’immobilità simile alla morte dei piccoli roditori. In tutti questi animali segnali biochimici provenienti dal cervello provocano una discesa controllata e coordinata di temperatura e attività di tutti gli organi. I dettagli fisiologici del letargo sono però tutt’altro che chiari: basti pensare che nell’uomo una temperatura intorno ai 25°C provoca arresto cardiaco e morte, mentre il moscardino può scendere ad appena 4°C, senza subire danni. In quelle condizioni, il cuore batte solo un paio di volte al minuto, il respiro si riduce a uno ogni due minuti e l’attività cerebrale non è più rilevabile».
Per uscire dal letargo, poi, gli animali bruciano le loro riserve di grasso bruno, un tipo di tessuto quasi assente nel corpo umano. Il grasso bruno, quando viene metabolizzato, rilascia molto calore, riportando rapidamente la temperatura corporea al livello ottimale. «Per questo motivo» spiega Zancanaro «svegliare un animale in letargo in pieno inverno, vuol dire spesso condannarlo a morte. Per svegliarsi deve infatti consumare le sue riserve, che poi però non saranno più disponibili per il risveglio a primavera. Questo e altri rischi, come l’essere una facile preda, fanno sì che non sia del tutto chiaro il vantaggio evolutivo del cadere in letargo. Certo, per alcune specie insettivore, come il riccio, dormire d’inverno è una scelta obbligata, ma non si capisce, ad esempio, che vantaggio abbiano gli scoiattob dorati, anche perché i loro vicini, quelli rossi, restano attivi».

Dalle strategie antifreddo degli animali potrebbero comunque, un giorno, derivare farmaci preziosi per l’uomo.
Zancanaro e Biggiogera, con Manuela Malatesta dell’universià di Verona, hanno individuato proteine nel corpo degli animali in letargo che inducono un rallentamento metabolico anche in altre specie. Iniettate in persone o colpite da ictus, potrebbero ridurre i danni al cervello, in attesa delle cure. Oppure, inducendo lo stesso consumo di grassi che si ha negli animali in letargo, potrebbero servire da «pillole antiobesità». Purtroppo, i finanziamenti per proseguire gli studi mancano e, per ora, in letargo è finita una promettente ricerca scientifica italiana.