Carlo Cinelli, Corriere della Sera 26/1/2009, 26 gennaio 2009
MILANO
Banchieri e Cgil compagni di strada, «uniti nella comune logica conservatrice» che ostacola le riforme, accusa Maurizio Sacconi. Perché i banchieri non hanno firmato l’accordo sul nuovo modello di contrattazione?
«Quell’intesa – spiega il presidente dell’Associazione bancaria, Corrado Faissola (nella foto) – ricalca, in maniera quasi totale, accordi che per i lavoratori del credito esistono da anni e che sono stati confermati in occasione dell’ ultimo contratto. Nel sistema bancario il modello della riforma, connotare la contrattazione nazionale a livello generale e legare quella aziendale ai risultati, alla produttività e alla redditività della singola azienda, è già una realtà ».
Le banche non hanno dunque bisogno di un nuovo accordo quadro? Non firmerete nemmeno in futuro?
«Al contrario. L’Abi intende procedere sulla stessa identica linea delle altre organizzazioni imprenditoriali, a cominciare da Confindustria e Confcommercio. Loro con l’accordo hanno raggiunto un risultato che per le banche è già un fatto acquisito. Non mi sembra quindi assolutamente il caso di parlare di conservazione».
Ma se l’impianto della riforma è il «vostro», perché non firmare subito?
«Non abbiamo firmato perché, come ho spiegato al tavolo giovedì sera, vogliamo ottenere la condivisione delle organizzazioni sindacali che rappresentano i nostri lavoratori, tra le quali, oltre alla Cgil, è presente una grande organizzazione autonoma che fino a quel momento non aveva manifestato condivisione sull’ opportunità di firmare e non era presente al tavolo».
Cgil e Fabi, il principale sindacato autonomo, al quale lei fa riferimento, raccolgono circa il 65% delle adesioni tra i 340 mila bancari. E dunque vi condizionano al punto di dire no?
«Non è così. Vogliamo fare l’accordo. Non abbiamo criticato alcunché dell’ intesa di giovedì. Non abbiamo riserve sui contenuti. Ma abbiamo sottolineato il nostro disagio a firmare contro la volontà di chi rappresenta la maggioranza dei nostri lavoratori».
A chi avete spiegato la vostra posizione? Ne ha parlato con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, vostro interlocutore privilegiato?
«Sia in via ufficiale, sia per le brevi abbiamo spiegato a tutti gli esponenti di governo presenti a Palazzo Chigi le ragioni della nostra posizione. Dispiace sia stata interpretata in modo diverso».
In effetti, banchieri che sostengono a spada tratta l’unità sindacale sono una particolarità che merita spiegazioni.
«Nel sistema bancario, l’unità sindacale è un valore duraturo, conquistato nel tempo. Proprio grazie ad essa sono stati raggiunti quei risultati che hanno consentito negli ultimi dieci anni di ristrutturare il settore, chiedendo quando necessario sacrifici ai lavoratori finalizzati al mantenimento della competitività delle aziende e della quantità di posti di lavoro che, sostanzialmente, negli ultimi anni non è diminuita».
Eppure, secondo alcune stime, dal Duemila sono usciti dal settore quasi 30 mila addetti. Crede che sotto i colpi della crisi saranno necessari nuovi interventi sull’occupazione?
«Nessuno se lo augura. Ma proprio perché la situazione è quella che è, crediamo giusto fare tutti gli sforzi del caso per preservare un sistema di relazioni sindacali che ha dato i suoi frutti».
Le associazioni di categoria rappresentano una sintesi di posizioni. Tutti i banchieri, anche chi guida i grandi gruppi creditizi, sono d’accordo con una posizione così dialogante che entra in conflitto con l’esigenza di portare a compimento la riforma?
«Questa posizione è condivisa da tutti i miei associati. Non ci sono, sotto questo profilo, piccoli o grandi. Aggiungo che è una posizione costruttiva, che persegue il medesimo obiettivo del governo. Non ci sono altre posizioni».
Che percorso immagina per arrivare alla firma?
«All’accordo si arriverà, questa mi sembra francamente una tempesta in un bicchier d’acqua. Faremo tutti i tentativi per portare al tavolo i nostri interlocutori. E vedrà che ci riusciremo. L’intesa di Palazzo Chigi è fresca: da oggi noi cominceremo a lavorare per definire la strada che ci consentirà di uscire dall’impasse».
Carlo Cinelli