Ignazio Ingrao, Panorama, 29 gennaio 2009, 29 gennaio 2009
IGNAZIO INGRAO PER PANORAMA 29 GENNAIO 2009
Storia di Dionigi, che voleva essere papa. Da teologo moralista a «tonaca rossa», da collaboratore di Ruini all’anatema contro gli «atei devoti». La metamorfosi di Tettamanzi, arcivescovo di Milano erede di Martini che, dopo la nomina di Bagnasco alla Cei, sembra essere entrato in rotta di collisione con Benedetto XVI.
La famiglia allunga la vita: parola di Dionigi Tettamanzi. Il prossimo 14 marzo l’arcivescovo di Milano presenterà le dimissioni, per raggiunti limiti di età (75 anni). Ma a differenza del predecessore, Carlo Maria Martini, che aveva domandato al Papa di non rimanere un giorno di più alla guida della diocesi più grande d’Europa, il cardinale Tettamanzi non sembra affatto intenzionato a lasciare. Ha chiesto e ottenuto da Benedetto XVI che il prossimo incontro mondiale delle famiglie nel 2012 si tenga a Milano. Incurante delle proteste della Lega, della diffidenza degli intellettuali, dei malumori di una parte del clero e dei fedeli e di alcuni movimenti, l’arcivescovo di Milano ha anche intrapreso la visita pastorale nelle oltre 1.100 parrocchie della diocesi: ci vorranno almeno due anni per portarla a termine. E per il 2013 ha persino indetto le celebrazioni per il 17° centenario dell’editto di Milano, quello con cui l’imperatore Costantino, nel 313, consentì nell’Impero romano il culto cristiano. Tanto attivismo potrebbe valergli la proroga di uno o due anni, compatibilmente con le sue condizioni di salute. Ma già si fanno i nomi dei candidati alla successione: fra questi il presidente della Pontificia accademia per la vita, Rino Fisichella, il «ministro» vaticano per la cultura, Gianfranco Ravasi, e il vicepresidente della Cei, Luciano Monari. Nel frattempo il severo teologo moralista sembra a suo agio nei nuovi panni di «tonaca rossa», secondo la caustica definizione di Francesco Cossiga. Nel 1981 Tettamanzi scriveva per Karol Wojtyla l’esortazione Familiaris consortio che escludeva dai sacramenti i divorziati risposati. Ora invece, da arcivescovo di Milano, si rivolge ai divorziati invitandoli a partecipare alla vita ecclesiale. Poi era accanto a Camillo Ruini a metà degli anni Novanta, quando lanciava il nuovo progetto culturale della Chiesa italiana dopo la fine della Dc. Ma nel 2006, dalla tribuna del convegno ecclesiale di Verona, lo stesso Tettamanzi si è scagliato contro gli «atei devoti» (avversari di aborto ed eutanasia) e contro i loro estimatori, come Ruini. Da presidente del quotidiano Avvenire Tettamanzi ha contribuito al rilancio del giornale dei cattolici italiani. Giunto a Milano, ha chiuso il settimanale diocesano Il nostro tempo e ridimensionato le altre storiche testate cattoliche di Lecco e Varese, costrette a licenziare metà dei redattori. E ancora immigrazione, campi rom, costruzione delle moschee, degrado delle periferie... l’arcivescovo di Milano diventa un’icona della sinistra ma divide la Chiesa e l’opinione pubblica. La Lega organizza volantinaggi di protesta contro il cardinale persino in piazza del Duomo. Il Foglio lo stigmatizza come caricatura di Angelo Roncalli, il «Papa buono». La metamorfosi di Tettamanzi inizia a Genova, dove viene accolto nel 1995 con diffidenza, per la sua fama di teologo «conservatore». Ma lontano dalla Cei e dal Vaticano il porporato salta subito lo steccato: visita le fabbriche, porta solidarietà agli operai in sciopero, pranza con i barboni. Nel 2001, in occasione del G8, apre ai no global e scrive un manifesto sul mondo solidale indirizzato agli otto paesi economicamente dominanti. Iniziativa che appare come il tentativo di smarcarsi da Ruini e costruire un’alternativa alla presidenza della Cei. Dopo il tragico epilogo del G8 il porporato resta solo: l’episcopato non gli perdona di avere dialogato con i violenti. Eppure, l’incidente non arresta la carriera di Tettamanzi: nel 2002 Giovanni Paolo II lo chiama alla guida della diocesi di Milano. Per il cardinale è la prova del fuoco. Pesa l’eredità morale di Martini ed è ancora vivo il ricordo del duro scontro fra i due presuli in occasione del sinodo dei vescovi sull’Europa nel 1999: il gesuita chiedeva più democrazia nella Chiesa e il teologo brianzolo difendeva le ragioni dell’autorità. «Il complesso di Martini» rischiava insomma di pesare sull’episcopato di Tettamanzi a Milano. Il nuovo arcivescovo lo ha risolto diventando più martiniano di Martini, complice una squadra di collaboratori di provata fede martiniana. Il suo rapporto con la città è complicato. Bonario e con modi da parroco di campagna, qualcuno gli rimprovera di non essere all’altezza del ruolo per una diocesi che ha conosciuto due papi, Giovanni Battista Montini (Paolo VI) e Achille Ratti (Pio XI), e due beati, Ildefonso Schuster e Andrea Carlo Ferrari. Proprio il conclave segna un altro punto di svolta: l’arcivescovo di Milano scende a Roma mentre persino i bookmaker londinesi lo danno favorito. Ma Tettamanzi entra papa in conclave e ne esce cardinale. Pochi mesi dopo Joseph Ratzinger gli preferisce Angelo Bagnasco alla presidenza della Cei. Da quel momento l’arcivescovo di Milano sembra entrare in rotta di collisione con Benedetto XVI: respinge l’applicazione del «motu proprio» del Papa per la liturgia in latino secondo l’antico rito e nello stesso tempo approva un lezionario per la messa ancora più orientato alla riforma conciliare. Quindi scende in politica: l’apertura di un fondo di solidarietà per le famiglie, imitata da altri vescovi, suona come segnale di sfida a partiti e amministratori. Intanto il cardinale rischia di ritrovarsi le truppe ridotte al minimo: crisi delle vocazioni e abbandoni mettono a dura prova il clero milanese. Anche la pratica religiosa è ormai ai livelli delle grandi metropoli secolarizzate d’Europa. Martini aveva parlato alla testa dei milanesi, Tettamanzi cerca di conquistare il loro cuore. Finora non è bastato scendere in strada a stringere le mani della gente per sedurre la città. I più delusi sono i 3 mila preti ambrosiani: dopo Martini, l’intellettuale freddo e austero, speravano di trovare in Tettamanzi un padre attento. Hanno trovato un cardinale che parla di democrazia e partecipazione ma troppo spesso, lamentano i sacerdoti, fa calare dall’alto decisioni prese da un piccolo gruppo di fedelissimi. E chi critica rischia di essere allontanato. Insomma, buonista in piazza ma autoritario in casa.