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 2009  gennaio 25 Domenica calendario

Fiat ha ottenuto un’opzione sul 35% di Chrysler in cambio di tecnologie, piattaforme, modelli. Senza pagare un cent

Fiat ha ottenuto un’opzione sul 35% di Chrysler in cambio di tecnologie, piattaforme, modelli. Senza pagare un cent. Potrà anche salire al 55% al modico prezzo di 26 milioni di dollari. L’annuncio ha suscitato legittimi entusiasmi perché, se la collaborazione parte, la casa italiana avrà accesso al mercato Usa. Ma restano cinque incognite. 1) L’eredità del passato. Non è la prima volta che Fiat cerca di acquisire Chrysler. Ci provò anche nel 1990. Lee Iacocca portava in dote cospicui aiuti pubblici. Come Bob Nardelli oggi. Ma il debito per le pensioni dei dipendenti di Detroit fece paura a Umberto Agnelli. Il fratello Giovanni condivise e Cesare Romiti lasciò perdere. Nel 2009 Chrysler è di nuovo quasi fallita. Daimler l’aveva acquisita nel 1998 per 36 miliardi e nel 2007 ne ha regalato l’80% al fondo Cerberus, che dopo 18 mesi ha alzato bandiera bianca. Governo, sindacati e banche hanno le spalle al muro. Sergio Marchionne può chiedere molto. Sarà vero fino alla fine? 2) La competizione globale. Secondo Marchionne, sopravvivranno solo colossi capaci di produrre almeno 5,5 milioni vetture l’anno. Lo pensava pure Giovanni Agnelli. Ma la lista dei produttori è rimasta lunga. Con due miliardi di nuovi consumatori, i grandi numeri saranno fatti da auto poco costose, da realizzare nei Paesi emergenti per i clienti locali e gli immigrati nel primo mondo. I produttori dei Paesi avanzati, tra i quali c’è Fiat, se la giocheranno sulla quota di valore che sapranno aggiudicarsi più che sul numero dei pezzi. Ed è su questo che si valuterà la nuova alleanza. 3) La finanza. Benché le azioni non costino, sviluppare Chrysler richiederà capitali rilevanti, tanto più con la gelata del credito al consumo sul quale si basa la vendita dei mezzi di trasporto. La stessa Fiat ne porta le tracce nei pesanti debiti fatti per sostenere i trattori Cnh in America. Il Tesoro americano e gli altri stakeholders ne daranno abbastanza per rilanciare Chrysler? 4) Gli aiuti pubblici. A Fiat assicurare il debito costa il triplo che a Renault. Per quanto i credit default swaps non siano il verbo, è la spia di un serio problema. Certo, il rischio paese è diverso. Renault ha una presenza internazionale più ampia. E tuttavia pesa anche la presenza dello Stato nella Régie e la certezza che il governo francese aiuterà pure la Psa, mentre quello italiano, pur avendo sempre sostenuto Fiat, risulta un po’ meno credibile. 5) L’azionariato. Fiat Auto è oggi un’azienda brillante. Ma esaurito il boom borsistico, resta la realtà dei bilanci: tra il 1998 e il 2007 l’Auto ha portato alla holding Fiat otto esercizi in perdita per un totale di 12,3 miliardi di euro e due in utile per 696 milioni. Tra il 2000 e il 2005, Exor, holding quotata degli Agnelli, ha investito 2 miliardi per conservare il 30% di Fiat Spa. Che oggi ne vale 1,5. Non è una tragedia. La ruota gira. Ma se vorrà consolidare Chrysler, e non solo collaborare nelle operazioni lasciando poi diluire la partecipazione, Fiat dovrà presto o tardi mettere mano al portafoglio ed Exor dovrà decidere se difendere il controllo concentrando le risorse sull’automotive o se aprire ad altri condividendo il potere.