Gabriele Dossena, Corriere della Sera 25/1/2009, 25 gennaio 2009
MILANO
La Libia potrebbe presto nazionalizzare il proprio settore petrolifero, compagnie estere comprese. Per ora è solo un’ipotesi. Ma la minaccia è partita. E direttamente dal suo leader, il colonnello Muammar Gheddafi.
La notizia, che peraltro non rappresenta una novità, ufficialmente è stata motivata dal tracollo delle quotazioni del greggio: «Ci sono appelli a nazionalizzare l’industria del petrolio e del gas - ha detto Gheddafi nel corso di un ricevimento offerto in onore del re di Spagna, Juan Carlos -. Ci auguriamo che non accada, speriamo che il prezzo del petrolio risalga a un livello ragionevole ». Per il colonnello, un «livello ragionevole» sarebbe «intorno ai cento dollari al barile » e uno dei modi per arrivare a questo prezzo è quello di «controllare l’industria del petrolio senza la partecipazione straniera». Ma dopo aver definito la nazionalizzazione «un diritto legittimo», il leader libico ha voluto rassicurare le società petrolifere operanti nel Paese nordafricano, e l’Eni è il principale operatore internazionale oggi presente. Ha infatti affermato che un simile intervento non sarà preso all’improvviso: «Nel passato le decisioni sulle nazionalizzazioni venivano prese unilateralmente e bruscamente, ma oggi non penso che gli organi esecutivi prendano tali decisioni come in passato. Ci deve essere un compromesso con il partner straniero», ha precisato il leader della Jamahiriya. Secondo gli osservatori tali richiami tendono a esercitare pressioni sulle compagnie straniere affinché accettino di ridurre le attività di estrazione dei pozzi.
Attualmente la Libia, settimo produttore Opec con riserve stimate per 42 miliardi di barili di petrolio, produce 1,7 milioni di barili al giorno, ed è il terzo maggior produttore africano, dopo Nigeria e Angola.
In Italia arrivano ogni anno dalla Libia, 29,1 milioni di tonnellate di petrolio, pari al 25% del nostro consumo complessivo. E assieme alla Russia (27%), la Libia, è il nostro principale fornitore di petrolio, con l’Eni che rappresenta la prima compagnia presente e che proprio di recente ha rinnovato per altri 25 anni con Tripoli i contratti di esplorazione e produzione che deteneva. Per inciso, la presenza in Libia del Cane a sei zampe risale al 1959. E lo scorso dicembre il Lybian Energy Fund ha annunciato l’intenzione di assicurarsi una quota intorno al 5% del capitale Eni.
PEZZO DELLA STAMPA SULLO STESSO ARGOMENTO
LUIGI GRASSIA
La Libia incassa (e chissà se questa sarà l’ultima volta) le riparazioni italiane per il passato coloniale e intanto minaccia di nazionalizzare un’altra volta l’industria petrolifera sul suo territorio, realizzata con il concorso determinante del capitale e delle tecnologie che vengono dall’estero e in particolare dall’Italia. Il colonnello Gheddafi ha detto l’altra sera (durante una cena col re di Spagna Juan Carlos) che il suo Paese potrebbe decidere una nuova nazionalizzazione «se il prezzo del petrolio non risalirà intorno ai 100 dollari al barile». In realtà non c’è rapporto diretto fra il controllo, nazionale o meno, dei pozzi petroliferi e la quotazione internazionale del greggio, che è determinata in gran parte dal mercato e in certa misura anche dalle decisioni (politiche) dei maggiori Paesi esportatori, federati nell’Opec; ma la semplice minaccia di spossessare le compagnie straniere potrebbe spaventare i mercati, far temere blocchi nelle forniture, e così spingere artificialmente verso l’alto il prezzo del barile.
Il principale gruppo straniero in Libia è l’Eni (con pozzi e il gasdotto Greenstream) grazie a rapporti allacciati dagli Anni 50. Dalla Libia arriva in Italia un quarto del petrolio e 8 miliardi di mc di gas - quasi tutti per Edison e Sorgenia.
La quotazione del petrolio ha raggiunto il massimo storico nel luglio scorso a 147,25 dollari per barile, poi è precipitato attorno ai 45 (e ha persino sfiorato i 35 nei giorni scorsi) per via della crisi economica internazionale. Questo prezzo è troppo basso per giustificare la ricerca di nuovi pozzi e scoraggia lo sviluppo delle fonti alternative. Crea anche problemi drammatici a quei Paesi petroliferi che (come la Libia) non dispongono di altri introiti. «Ci sono appelli a nazionalizzare l’industria del petrolio e del gas» ha detto Gheddafi, riferendosi ad articoli recenti sui giornali di Tripoli. «Le nazionalizzazioni sono un diritto legittimo, però ci auguriamo che non siano necessarie. Speriamo che il petrolio risalga a un prezzo ragionevole», ha incalzato il leader libico. «Altrimenti, un mezzo per arrivare a 100 dollari sarebbe controllare l’industria del petrolio ».
Però Gheddafi ha voluto rassicurare le società petrolifere operanti in Libia: «In passato le decisioni sulle nazionalizzazioni venivano prese unilateralmente e bruscamente. Ma oggi non penso che gli organi esecutivi libici prenderebbero tali decisioni come in passato. Ci dev’essere un compromesso coi partner stranieri».
un passato remoto quello in cui le compagnie petrolifere straniere arrivavano in Africa, Asia o America Latina e si mettevano a perforare da padrone per poi limitarsi a trasferire, in cambio, ai governi locali una modesta quota di utili (le «royalty»). Ora le compagnie pagano le concessioni, si fanno carico degli investimenti e dei rischi di esplorazione, e dopo aver sviluppato i pozzi devono accontentarsi di una quota minoritaria della produzione, mentre la gran parte va allo Stato ospitante. Nell’energia si investe molto denaro, e sul lungo termine. Il minimo che si chiede in cambio è la certezza del diritto, e i ricatti screditano chi li fa.
Stampa Articolo