Guido Olimpio, Corriere della Sera 25/1/2009, 25 gennaio 2009
WASHINGTON
Metteteli ovunque, ma non nel mio cortile. Sembra essere questo lo slogan di molti parlamentari americani, preoccupati di veder trasferiti nel loro Stato alcuni dei detenuti di Guantanamo. L’ordine di chiusura impartito da Obama se, da un lato, ha suscitato il plauso di molti, dall’altro ha innescato polemiche accese. Su tutte la battuta di Christopher Bond, repubblicano del Missouri, che rivolgendosi all’avversaria democratica Dianne Feinstein (California), ha suggerito di sistemare i qaedisti ad Alcatraz, la prigione- museo nella baia di San Francisco. Immediata la reazione della californiana: «Alcatraz è un parco nazionale e un’attrazione turistica». Dunque non c’è spazio per loro sotto il mitico Golden Gate.
La tosta Feinstein offre una soluzione alternativa: i detenuti potrebbero venir sparpagliati nelle 21 prigioni di massima sicurezza degli Stati Uniti. Il più citato è ovviamente il carcere Supermax di Florence, in Colorado, dove sono rinchiusi da anni criminali famosi e alcuni terroristi, compreso Ramzi Youssef, mente del primo attentato alle Torri Gemelle.
In realtà questa ipotesi viene contestata dagli esponenti repubblicani, per i quali la presenza di un terrorista in una prigione americana la trasforma in un obiettivo ideale. I democratici, invece, ritengono che il pericolo non aumenti, però nessuno ha offerto pubblicamente le installazioni del proprio Stato. Anche loro, dopo aver festeggiato l’annuncio della Casa Bianca, sembrano attenti agli umori degli elettori e alla regola del «non nel mio cortile».
La sistemazione dei «reduci da Gitmo » – come li chiama qualcuno – è allo studio da tempo. Già sotto l’amministrazione Bush, il Pentagono ha studiato diversi scenari. Una delegazione di ufficiali ha visitato alcune basi per vedere se era possibile creare dei piccoli centri di detenzione. Si è parlato di Fort Leavenworth (Kansas), di Camp Pendleton (California), di Charleston (Carolina del Sud). Ma non appena i nomi delle località sono trapelati, gli amministratori locali hanno espresso forti resistenze. Quelli del Kansas hanno invitato Obama a venire a vedere di persona per rendersi conto delle difficoltà sottolineando gli ostacoli tecnici. A Fort Leavenworth non vi è neppure una recinzione, mancano le strutture, è un’installazione militare e non una galera.
Ma quanti dovrebbero essere i prigionieri da trasferire? Dei 245 ancora trattenuti a Guantanamo, si ritiene che siano 50-60 quelli candidati a un’ulteriore detenzione seguita poi da un processo in una corte federale. Un nucleo duro sul quale gli americani avrebbero raccolte prove sufficienti e guidato da una trentina di terroristi coinvolti negli attacchi più sanguinosi. Il resto dei prigionieri, nelle intenzioni di Washington, dovrà tornare nei propri Paesi o in Stati amici disposti ad accoglierli. Una strada tutta in salita e al centro di una complessa trattativa diplomatica. Se non li vogliono nel cortile del Kansas, non sono certo graditi nei parchi della Gran Bretagna. Come ha ammesso il nuovo direttore dell’intelligence nazionale, Dennis Blair, ogni opzione è «imperfetta».