Financial Times, 24 gennaio 2009 (Traduzione integrale, Marchionne uomo della settimana), 24 gennaio 2009
In un’industria che si divide tra contabili fagioli e entusiasti delle quattro ruote , Sergio Marchionne appartiene sicuramente agli estremi della seconda categoria
In un’industria che si divide tra contabili fagioli e entusiasti delle quattro ruote , Sergio Marchionne appartiene sicuramente agli estremi della seconda categoria. Il capo della Fiat ha una collezione di Ferrari, un’Alfa Romeo 8C e una Maserati Quattroporte. Un anagramma del suo nome è ”his car engine room” (lo spazio del motore della sua macchina). Come altri grandi manager italiani, Marchionne va in giro con una scorta armata, che lo lascia solo quando raggiunge la frontiera con la Svizzera per andare a Montreux, dove vivono sua moglie e i suoi due figli più piccoli. Alle fiere dell’auto, mentre gli altri manager promuovono i loro veicoli, potreste vedere Marchionne studiare le macchine dei rivali, come le Audi. Così il mondo dell’industria automobilistica è stato scosso questa settimane quando Marrchionne ha rivelato la sua alleanza strategica con Chrysler, che pochi considerano il nome più caldo dell’industria. Il mercato ha risposto con molta freddezza alla notizia che la più grande industria d’Italia, che controlla i marchi più conosciuti del paese, stava unendo le sue fortune al produttore di Detroit, che costruisce mini van e jeep. Chrysler è una realtà di seconda fila negli Usa e nell’industria e vive grazie a 4 miliardi di dollari avuti in prestito dal governo. Alla fine della settimana, quando Fiat ha mostrato deludenti risultati finanziari, Marchionne si è mostrato stanco e poco desideroso di spiegare i benefici dell’intesa a una comunità finanziaria preoccupata per il calo di liquidità e il possibile scontro di culture che ha fatto fallire i nove di alleanza tra Chrysler e Daimler come ha mandato a monte la, più breve, intesa tra General motors e Fiat. Nel chiarire la possibilità di espandere la propria capacità di produzione e lanciare Fiat negli Usa, dove attualmente non vende nessuna macchina col suo marchio, il manager ha spiegato: ”Dobbiamo assicurarci che ogni cosa buona di Fiat sia preservata”. Per chi conosce l’idea dell’industria automobilistica che si è fatto Marchionne, l’intesa ha più senso. Il manager cinquantaseienne ha da tempo tratto una linea tra la sua passione per le macchine e la sua più fredda capacità di gestire l’azienda per garantire un ritorno sul capitale degli azionisti. Formatosi negli uffici amministrativi e legali, Marchionne non appartiene alla truppa dei capi che sono cresciuti dentro all’industria dell’auto. Ha iniziato a lavorare in questo seottre quando gli Agnelli lo hanno preso dalla Sgs, un gruppo di servizi svizzero in cui hanno un quota, per metterlo al volante di Fiat nel 2004. Prima della crisi finanziaria progettava si separare la divisione automobilistica del gruppo dal quelle più profittevoli (anche se meno sexy) delle macchine agricole e dei camion per creare valore per la famiglia Agnelli e per gli altri azionisti. Nel prendere il 35% di Chrysler Marchionne è diventato il primo manager dell’auto dall’inizio della crisi a iniziare quella che lui prevede una serie di alleanze. C’è molto in arrivo, prevede lui, incluse alleanze tra i produttori europei.Se l’alleanza funzionerà, sarà un grande successo per Marchionne, un outsider nel mondo chiuso dell’establishment industriale del Nord Italia. Nato in Italia – in Abruzzo nel 1952 – Marchionne è anche cittadino canadese. Si è spostato là a 16 anni, quando suo padre, ex ufficiale dei carabinieri,è andato in pensione e ha deciso di emigrare. madrelingua italiano e inglese (che parla con accento nordamericano, condita da espressioni colorate). In un paese conosciuto per i suoi abiti e i rigorosi protocolli del mondo degli affari, lui indossa pullover e fuma ai meeting. Alessandro profumo, amministratore delegato di Unicredit e suo amico, spiega: ”Sergio è uno delle persone più stravaganti che io abbia mai conosciuto: un appassionato cuor di leone”. Marchionne ha fatto carriera tra contabilità e affari in Canada, quindi in Svizzera, dove ha guidato Sgs dal 2002. Quando è diventato amministratore delegato di Fiat, era poco conosciuto a Milano, cosa che forse ha contribuito al suo fascino. ”Era uno sconosciuto che veniva dall’estero che entrava nella situazione più italiana possibile” dice una persona vicina alla famiglia Agnelli. Il gruppo era senza direzione dopo la morte del patriarca Gianni Agnelli, con i marchi che sbiadivano, un debito alto e scarsa profittabilità. I veterani di Fiat dicono che sembrava essere più un ministero che un’azienda. Ugualmente dannoso, nell’ottica di Marchionne, era il fatto che il gruppo fosse soggiogato dalle sue banche, che avevano guadagnato alla grande dalle diverse operazioni di finanziamento. Una ragione per cui John Elkann, nipote di Gianni Agnelli e vice presidente, lo aveva scelto era proprio per strappare Fiat dalle banche. Marchionne ce l’ha fatta. Le banche di Milano tremano ancora quando pensano ai primi e tesi incontri: ”Ogni banchiere ha la sua idea su quale dovrebbe essere il prossimo passo di Fiat” raccontano. La sua risposta, in pratica, era ”Perché non fate il vostro lavoro e mi lasciate fare il mio?”. I suoi rapporti con le banche oggi sono migliorati, tanto che lui stesso siede nel cda di Ubs. Comunque, il suo disprezzo per le istituzioni finanziarie rimane. Durante una conference call questa settimana, ha ammutolito un analista di JpMorgan che si stava preparando a fare un domanda, facendogliene una lui: ”Come sta JpMorgan?”. L’analista ha risposto: ”Ci siamo dentro tutti”. Marchionne può essere alla mano ma anche molto duro. Chiede lealtà ma la restituisce anche. Lavora parecchie ore, non si è risparmiato come spalla delle vecchie guardie o come maestro di quelle nuove, giovani che lui spesso definisce i suoi ”ragazzi”. Questo mese Fiat è rimasta scioccata quando uno di loro, l’ex capo di Alfa Luca De Meo – che alcuni indicavano come possibile successore – se n’è andato a Volkswagen. I risultati di Marchionne sono stati buoni, ha trasformato Fiat da un’azienda malata a un leader europeo delle auto piccole, con modelli come la Grande Punto, la Bravo e la premiatissima e retro-chic 500. Ha offuscato Luca Cordero di Montezemolo, l’aristocratico presidente di Fiat, convinto che la sua carica gli avrebbe dato un ruolo centrale, mentre non può mettere bocca nelle strategie dell’aziende. La concentrazione sui risultati da parte di Marchionne gli ha regalato consensi e miglioramenti del rating, ma quest’ultimi oggi sono a rischio. Fiat incontrerà il governo martedì, per discutere degli aiuti di emergenza. La crisi finanziaria accresce l’urgenza del piano di alleanza con Chrysler. Marchionne ha detto che Fiat non metterà soldi in quest’operazione, solo le sue tecnologie per le auto più piccole e motori a basse emissioni. In un’industria in cui le fondamenta sono a rischio, lui spiega: ”Il consolidamento è una risposta. Ci permetterà di essere redditizi e creare un futuro accettabile per il settore”.