Giampiero Di Santo e Alesandra Ricciardi, ItaliaOggi 23/1/2009, 23 gennaio 2009
I CONTRATTI SI TINGONO DI EUROPA
Senza la Cgil, ma non per questo meno storico. Renato Brunetta e Maurizio Sacconi, ministri della pubblica amministrazione e del lavoro, hanno commentato così ieri la firma da parte delle associazioni di categoria e dei sindacati, a esclusione della confederazione guidata da Guglielmo Epifani, dell’accordo-quadro per la riforma del modello contrattuale, valido sia per il settore privato che per quello pubblico, al termine di una riunione a Palazzo Chigi. L’intesa-che prende le mosse dalla bozza concordata dai sindacati al tavolo con Confindustria- a dire il vero non è stata ancora sottoscritta dalle associazioni di banchieri e assicuratori, Abi e Ania, che hanno fatto comunque sapere di condividere il testo e di essere pronte a firmare nei prossimi giorni. Ma in ogni caso, e per i prossimi quattro anni a titolo sperimentale, sarà in vigore un nuovo modello di contrattazione; articolato ancora sul doppio livello nazionale (a garantire regole e stipendi minimi per tutti) e aziendale (incentrato sulla produttività), con differenze però sostanziali rispetto a oggi. La durata del nazionale, tanto per cominciare, sarà di tre anni sia per la parte normativa, sia per quella economica. L’inflazione programmata, introdotta dal protocollo del luglio 1993 sul costo del lavoro come indice di adeguamento dei salari all’inflazione, finirà in soffitta, sostituita dal cosiddetto Ipca, l’Indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia, che non terrà conto dell’andamento dei prezzi dei beni energetici importati e sarà elaborato da un organismo indipendente. La riforma dell’Ipca però non vale per i dipendenti pubblici, dove il datore di lavoro è lo stesso stato. In questo caso, ci sono i vincoli di bilancio da rispettare e i paletti delle manovre finanziarie. E così le risorse da destinare agli incrementi salariali saranno decise dai ministri competenti, «previa concertazione con le organizzazioni sindacali». L’Ipca sarà preso a tasso di riferimento. Il secondo livello contrattuale, sempre di durata triennale, sarà aziendale e sarà incentrato sulla produttività individuale e la competitività aziendale, per le quali è prevista una detassazione. Nel settore pubblico, l’incentivo fiscale-contributivo sarà concesso gradualmente e compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica. «Il livello nazionale non recupererà mai l’inflazione reale», ha commentato Epifani, spiegando il no della Cgil. E aggiungendo che «non vi è davvero un allargamento del secondo livello contrattuale» e che «la derogabilità diventa un principio generale, la bilateralità si allarga a compiti impropri e crea una casta». Il commento del ministro della Funzione pubblica: «Il no della Cgil? Nessuno ha il diritto di veto. Anche i contratti del pubblico impiego li abbiamo fatti senza Cgil». Altro che aspetti negativi, per Luigi Angeletti, segretario della Uil, «per fare le riforme ci vuole coraggio». «Spero che la Cgil ci ripensi e aderisca», ha aggiunto Raffaele Bonanni, numero uno della Cisl, che ha fortemente voluto che la riforma dei contratti andasse in porto.
L’accordo «ha una portata storica», ha osservato il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, «non solo perché sostituisce le intese del 1993, ma perché sostituisce per la prima volta il tradizionale approccio conflittuale nel sistema di relazioni industriali con quello cooperativo». Secondo il ministro l’accordo «promuove lo spostamento del cuore della contrattazione dal livello nazionale alla dimensione aziendale e territoriale dove, anche grazie alla detassazione del salario di produttività, le parti sono naturalmente portate a condividere obiettivi e risultati. Spiace constatare», conclude Sacconi, «che la Cgil non è, allo stato del suo dibattito interno, in grado di convergere su comuni obiettivi di modernizzazione».