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 2009  gennaio 23 Venerdì calendario

QUELLO SPREAD E’ BUGIARDO


Le notizie che si susseguono sulla situazione economica europea sono preoccupanti anche per i risvolti sulle finanze pubbliche dei Paesi membri. In questo ambito attenzione specifica viene posta sui titoli del debito pubblico, anche perché saranno emessi nel 2009 in grandi quantità. E’ perciò utile una riflessione sui titoli italiani sotto tre aspetti: europeo; internazionale; italiano.
Un aspetto europeo è dato dal maggior rendimento dei titoli italiani (Btp) rispetto a quelli tedeschi (Bund). Questo «spread», che misura il maggior rischio di un titolo nelle valutazioni del mercato, oscilla sulle scadenze decennali intorno a 1,5 punti percentuali. Perciò i nostri titoli decennali pagano un rendimento nell’intorno del 4,50% che è notevole in un contesto di inflazione calante sotto il 2%. Ciò che preoccupa, anche per l’aggravio sui conti pubblici, è l’allargamento di questo spread che agli inizi del 2008 era intorno allo 0,40 di punto e che la crisi finanziaria internazionale sta ampliando. Ciò che rassicura è che siamo nell’euro, che siamo stati comparativamente meno penalizzati dalla crisi rispetto ad altri Paesi della UEM (come Spagna, Irlanda, Grecia), che anche per i titoli francesi si è creato uno spread sui Bund. Analisti finanziari hanno inoltre rilevato che lo spread dei titoli italiani è eccessivo e che sarebbe più ragionevole un solo punto di remunerazione in eccesso sui Bund. Noi concordiamo pur nella consapevolezza che il mercato da un lato confronta il nostro debito pubblico, che era al 105% del Pil, a quello tedesco che era al 65% e dall’altro tiene conto degli aumenti in corso e della «concorrenza» che nel 2009 ci sarà sulle emissioni dei titoli di debito pubblico. Ecco perché un costante controllo della nostra finanza pubblica, e del Patto di stabilità interno, è indispensabile a fronte di un debito pubblico che ormai supera i 1650 miliardi di euro.
Un secondo aspetto è internazionale e riguarda i «voti» che società di «rating» specializzate (Moody’s, S&P, Fitch) danno ai titoli del debito pubblico dei vari Paesi per misurarne la qualità e il rischio. Il voto all’Italia è rimasto stabile mentre sono peggiorati o sono in prospettiva di peggioramento quelli di Irlanda, Spagna, Grecia. E’ rassicurante ma non risolutivo perché il voto attribuitoci rimane vari livelli sotto quelli di Francia e Germania. E’ però stato evidenziato un altro elemento favorevole per confermare fiducia all’Italia e cioè il basso grado di indebitamento delle famiglie. Tra le varie stime segnaliamo quella della Fondazione Edison che in base ai prestiti in essere alle famiglie cifra per il 2007 il loro debito sul Pil al 34,2% contro il 49,1% della Francia, il 63,8% della Germania e il 100% della Gran Bretagna. Ciò porta il nostro debito aggregato (quello pubblico più quello delle famiglie) nel 2007 al 138%; livello non molto peggiore di quello della Germania che è al 129%.
Un terzo aspetto, al quale ci conduce il precedente, riguarda la ricchezza delle famiglie italiane che, stando ai dati della Banca d’Italia per il 2007, ha una solida composizione media, il che ovviamente non elimina l’indigenza di specifici ceti. Su una ricchezza delle famiglie pari a 9222,4 miliardi di euro si nota: una netta preponderanza della parte reale (abitazioni, terreni ecc.) per 5570 miliardi di euro pari al 60,3%; una buona entità di depositi bancari per 589 miliardi di euro, pari al 6,4%; una modesta entità di titoli pubblici italiani per 199 miliardi di euro, pari al 2,2%. Senza approfondire altre voci, pur notevoli, della ricchezza finanziaria (azioni, obbligazioni, depositi postali ecc.) delle famiglie, rileviamo che la stessa, dedotte le passività, si avvicina ai 3000 miliardi di euro. Le ragioni di questa nostra situazione sono molte e tra le stesse vi è un consistente risparmio delle famiglie reso possibile dalla loro parsimonia ma in parte anche da una spesa pubblica sociale che tuttavia poteva essere fatta senza lo spreco e la evasione fiscale che hanno aggravato il nostro debito pubblico.
In conclusione. Con queste riflessioni non stiamo dando suggerimenti alle famiglie italiane, che sono razionalmente prudenti, su come collocare la propria ricchezza finanziaria in gran parte amministrata da banche, società finanziarie, assicurazioni.
Rileviamo però la centralità del sistema bancario e finanziario italiano che, almeno per ora, ha dimostrato di essere, nella crisi, tra i più solidi in Europa. Altri Stati hanno dovuto salvare le loro traballanti banche con capitali pubblici. Ciò non indebolisce direttamente le nostre banche ma sbilancia molto il mercato del credito. Perciò confidiamo da un lato che le nostre principali banche possano rafforzarsi anche con la cessione delle loro significative quote di proprietà nella Banca d’Italia e dall’altro che si privilegi la stabilità di quelle medie e minori, territoriali, popolari e cooperative. Perché il sistema bancario deve essere solido per tutelare il risparmio delle famiglie e per finanziare l’economia affinché le imprese, anche nell’attuale difficile situazione, investano in innovazioni e crescano con accorpamenti, che meriterebbero più fiscalità agevolata, per fronteggiare meglio la crisi.