Cristopher Hitchens (trad. di Rita Baldassarre), Corriere della sera 22/1/2009, 22 gennaio 2009
GLI STRANI BENEFATTORI DI HILLARY
Vorrei sottoporvi un piccolo test di riflessione, che non esige grandi capacità intellettive. Immaginate che Hillary Clinton sia davanti a una spinosa decisione di politica estera. Con chi si affretterà a discuterne, con il presidente o con il marito? (Ve l’avevo detto che non era difficile). Passiamo a un altro: nell’affrontare temi di politica estera, la Clinton si lascerà condizionare dalle ben note ambizioni elettorali in vista del 2012, e se così fosse, difenderà gli interessi del presidente Obama o i suoi?
La prossima domanda, e mi scuso in anticipo per l’estrema facilità, è questa: chi altri avvicinerà Bill Clinton per averne opinioni e consigli in politica estera? Dalla lista dei benefattori della Fondazione Clinton si evince che non esistono oligarchi, famiglie reali né gruppi di pressione in qualunque angolo del pianeta che non sappiano quale sia il sistema migliore per attirare l’interesse dell’ex presidente. Dal giorno in cui la Fondazione ha accettato di rivelare i nomi dei suoi clienti, fino ad allora strettamente confidenziali – in altre parole, dal giorno in cui queste informazioni sono diventate condizioni imprescindibili per la nomina a segretario di stato della senatrice Clinton – abbiamo scoperto che l’ex presidente Clinton è in rapporti calorosi con un uomo d’affari assai chiacchierato in Malesia e con un altro, in Nigeria, già pericolosamente coinvolto con la dittatura militare ultracorrotta di quel Paese africano.
L’esempio nigeriano è altamente istruttivo. Gilbert Chagoury è un imprenditore di spicco nel fiorente settore edilizio del Paese e ha versato tra 1 e 5 milioni di dollari alla Fondazione Clinton, oltre ad aver stipulato un mega compenso per la partecipazione dell’ex presidente a un convegno nei Caraibi e contribuito con un’ingente somma alla campagna elettorale del 1996 per il secondo mandato. In cambio, questo signore è stato ricevuto alla Casa Bianca e più di recente è stato ospite degli eventi mondani sponsorizzati da Clinton a New York e a Parigi. Tali onori hanno forse smussato le difficoltà in cui Chagoury è recentemente incappato in Nigeria. Come amico intimo del despota nigeriano in uniforme, il generale Sani Abacha, il nostro uomo ha potuto approfittare di alcune ghiotte occasioni durante gli anni della dittatura, benché in seguito sia stato costretto, grazie a un’indagine sulle sue transazioni, a restituire al Tesoro nigeriano qualcosa come 300 milioni di dollari, in cambio dello scongelamento dei suoi conti in banca. Ma qui, direte voi, non c’è traccia di affari loschi. (Vale a dire, questo Chagoury consegna a Clinton una fortuna perché anche lui è seriamente impegnato nella «lotta all’Aids»). Certo, potrebbe trattarsi di una semplice caparra per qualche affare che deve ancora vedere la luce. Ma se Chagoury, o qualcun altro, si è fatto l’idea che i Clinton sono disposti a stare al gioco in cambio di soldi, vuol dire che il meccanismo è di facile comprensione. Resta da capire se un contributo alla Fondazione di Bill Clinton riuscirà a farvi entrare nelle grazie della senatrice Clinton, per lo meno nella sua veste politica e ufficiale. Vediamo. Un recente articolo nel New York Times esordiva con poche frasi chiare, asciutte e corroborate da dati precisi.
Un imprenditore edile dello stato di New York ha donato 100.000 dollari alla fondazione dell’ex presidente Bill Clinton nel novembre 2004, e guarda caso proprio in quel periodo la senatrice Hillary Clinton si dava da fare per assicurare milioni di dollari di aiuti federali al progetto di un centro commerciale del sopracitato costruttore. La signora Clinton ha fatto passare un decreto per consentire a questo individuo, tale Robert J. Congel, di ricorrere a obbligazioni esentasse per finanziare il complesso commerciale e di intrattenimento che la sua ditta Destiny Usa avrebbe costruito. inoltre riuscita ad accantonare, da un fondo destinato alle autostrade, qualcosa come 5 milioni di dollari, sempre a favore della Destiny Usa, per il ramo costruzioni stradali.
Come dubitare allora dell’attualità del vecchio slogan delle elezioni 1992, tanto nelle piccole cose che nelle grandi? Quell’ anno Bill ebbe a dire, con una commovente espressione, che gli elettori, nel garantirgli il loro consenso, avrebbero «preso due al posto di uno». Ma quello che l’America – e il mondo intero – hanno appreso da allora è una leggera variante, che alle mie orecchie suona brutalmente così: «compra uno, e l’altro è gratis».
L’accordo siglato dalla nuova, e alquanto ingenua, amministrazione Obama prevede che la lista dei donatori della Fondazione Clinton verrà esaminata ogni anno e solo i nuovi contributi da Paesi stranieri – che già includono un numero strabiliante di sceiccati del Golfo – saranno sottoposti allo scrutinio della magistratura. Quale sarebbe la nostra reazione nell’ apprendere che questa era la norma nel governo di Vladimir Putin, o in quello dell’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder? Ho sotto gli occhi, guarda caso, la promessa di un versamento di 100 milioni di dollari al «Progetto per un’economia sostenibile» della Fondazione Clinton, a nome di un’associazione di aziende di Vancouver, conosciuta come Lundin Group. Scopo dichiarato di tale sorprendente contributo è un non meglio precisato sostegno allo «sviluppo di economie sostenibili», soprattutto in Africa. Ma so per certo che il Lundin Group fa molti affari in Sudan. Perciò mi sento in dovere di chiedere – e altrettanto dovrebbe fare qualche senatore – che cosa ottengono costoro, e tanti altri, in cambio dei loro soldi? O si tratta forse di un semplice gesto di amicizia?
Che domanda banale e scontata. Basta, non voglio più offendere i miei lettori, e perciò ve ne farò una che non prevede una risposta ovvia. Perché la senatrice Clinton, moglie del grande faccendiere, è stata nominata alla poltrona di segretario di Stato? Se è per dare la sgradevole impressione che il nostro ministero degli Esteri sarà un ottimo punto di incontro per donatori e lobbisti, che cosa ne otteniamo in cambio? George Marshall? Dean Acheson? O Madeleine Albright? No, ci becchiamo una donna ambiziosissima che non ha nessuna esperienza di affari esteri, tranne quella racimolata di seconda mano a un ex presidente incriminato, avvocato radiato dall’albo, e inquilino degli Appartamenti Lincoln. Se il Senato lascerà passare anche questa, non farà che confermare la recente immagine, assai poco lusinghiera, di organo asservito al potere, in una repubblica delle banane, e per di più in bancarotta. Non è un inizio promettente per la nuova era che ci è stata promessa.