Valerio Castronovo, Il sole 24 ore 23/1/2009, 23 gennaio 2009
BENEDUCE, L’UOMO DEI SALVATAGGI
È probabile che negli ultimi due mesi della sua presidenza, di fronte al dissesto di una grande banca dopo l’altra, George W. Bush si sia trovato più di una volta alle prese con una desolante sensazione di sconforto, non molto diversa da quella che aveva colto Mussolini nel mezzo della Grande crisi degli anni Trenta. «Il Duce - si legge in un memoriale dell’Iri del gennaio 1940 - aveva vissuto ore angosciose quando le banche e specie la Banca Commerciale stavano per fallire».
A quel tempo, tuttavia, la soluzione adottata in Italia per salvare il salvabile del sistema finanziario fu differente da quella a cui si è oggi ricorsi negli Stati Uniti. Lo Stato non si limitò infatti, come è avvenuto adesso in America, a far ingresso nel capitale delle banche in cambio di un pacchetto più o meno consistente di azioni, senza tuttavia assumerne il controllo, e ripromettendosi di rivendere i titoli acquisiti dal Tesoro una volta passata la bufera. Nel caso italiano, lo Stato giunse invece a includere le "banche miste" di deposito e di investimento salvate dal dissesto (la Commerciale, il Credito Italiano e il Banco di Roma) nell’ambito dell’Iri, creato nel gennaio 1933, e l’anno dopo a trasformarle in istituti di credito ordinario, con la qualifica di "banche d’interesse nazionale".
Il fatto è che il tracollo di queste tre banche, e soprattutto delle prime due, si doveva a una massa di immobilizzi e di partecipazioni industriali, da cui non era più possibile rientrare, che aveva finito per schiacciarle: al punto che il rapporto fra banca e industria s’era mutato (per dirla con Raffaele Mattioli, allora segretario del consigliere delegato della Comit Giuseppe Toeplitz) da «fisiologica simbiosi in una mostruosa fratellanza siamese». Di conseguenza, lo Stato mise a disposizione i capitali necessari a coprire le perdite patrimoniali subite dalla Comit e dalle sue consorelle (pari a qualcosa come sei miliardi e mezzo di lire d’allora, ossia circa il 5,5% del reddito nazionale lordo) e trasferì all’Iri le partecipazioni e i crediti di queste tre banche verso le imprese, affinché provvedesse alla gestione e poi, gradualmente, allo smobilizzo e alla privatizzazione delle aziende intanto passate in carico all’istituto (ciò che avverrà di fatto solo in parte).
Regista di questa complessa operazione fu, come è noto, Alberto Beneduce, di cui è ora comparsa una biografia a firma dello storico Mimmo Franzinelli e di un economista della Banca d’Italia Marco Magnani. Grazie a questo saggio è possibile disporre di ulteriori elementi di conoscenza e di giudizio sulla figura e l’opera del presidente dell’Iri (già stretto collaboratore di Francesco Saverio Nitti e ministro social-riformista del Lavoro nel Governo Bonomi del 1921), scelto da Mussolini, anche se non aveva la tessera del Fascio, per le sue particolari competenze in materia amministrativa e finanziaria.
Ma, al di là delle vicende personali di Beneduce, che, in quanto insediato sulla tolda di comando dello "Stato banchiere e imprenditore", passava per l’uomo più potente dell’economia italiana (benché, come sottolineano gli autori, dipendesse pur sempre dal beneplacito discrezionale di Mussolini), è interessante notare, in relazione a quanto avviene di questi tempi, come non si sarebbe potuta affrontare la situazione d’emergenza determinatasi allora in Italia continuando a sovvenire le banche più pericolanti (a cominciare da quelle "miste") con iniezioni di liquidità. Alla fine del 1932 i crediti della Banca d’Italia ammontavano infatti, complessivamente, a circa il 54% della circolazione monetaria; né sarebbe stata più possibile un’azione monetaria a presidio del cambio iperapprezzato, quale fissato nel 1926 con la rivalutazione oltremisura della lira voluta da Mussolini per ragioni di prestigio nazionale e per rafforzare il consenso del ceto medio risparmiatore e a reddito fisso nei riguardi del Regime.
All’istituzione dell’Iri fece poi seguito nel 1936 la riforma bancaria, che non solo mantenne la proprietà pubblica delle tre banche passate nell’orbita dell’Iri e distinse nettamente il credito ordinario da quello mobiliare, ma stabilì anche una normativa più rigorosa nella regolazione del sistema finanziario. Ciò che, sia pur con le debite varianti, è quanto oggi torna di stringente attualità sia negli Stati Uniti che in vari Paesi europei, per mettere ordine nei mercati finanziari e garantire la stabilità su basi più salde degli istituti bancari.