varie, 23 gennaio 2009
IL PETROLIO COSTA TROPPO POCO
Ottovolante dei prezzi: il bello e il brutto
del barile sotto i 40 dollari
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21/01/2009
Da un barile di petrolio si possono ricavare anche 1.750 bottiglie di plastica da un litro e mezzo (occorrono all’incirca due chili di petrolio per fare un chilo di plastica per alimenti).
Poco più della metà del barile di petrolio viene trasformato in gasolio (23%) e benzina (22%).
Prezzo toccato dal greggio Wti al Nymex di New York l’11 luglio 2008 (future per consegna in agosto): 147,04 dollari al barile (record assoluto).
Prezzo toccato dal greggio Wti il 19 dicembre 2008 (future per consegna in gennaio): 33,44 dollari al barile. La quotazione ha perso in cinque mesi il 77%.
Quando Cina e India negli anni Novanta iniziarono il loro impressionante sviluppo, la domanda globale di petrolio cominciò a superare l’offerta e il prezzo di un barile prese a salire. Il finanziere George Soros: «C’era una bolla che si sovrapponeva a una tendenza verso un aumento dei prezzi dovuto ai costi crescenti di trovare nuovi giacimenti di petrolio». Alla fine ha prevalso la legge della domanda e dell’offerta: con la domanda ridotta per la crisi economica, basta il petrolio che c’è.
Un incremento dell’1% nella domanda mondiale è in grado di provocare un aumento di 25 dollari del prezzo del barile.
La Cina importa la metà del suo fabbisogno di petrolio, l’India il 75%. Per compensare questa carenza interna, i due giganti asiatici hanno firmato accordi e accumulato quote in società di tutto il mondo che trivellano, raffinano, esplorano. Ad agosto le cinesi Cnpc e Sinopec hanno lanciato un’Opa congiunta per la peruviana Petro-Tech. Cnpc ha firmato il più grosso accordo petrolifero con l’Iraq dall’invasione anti-Saddam (1,2 miliardi di dollari per il giacimento di Ahdab, 90 mila barili al giorno). Ad aprile le compagnie petrolifere cinesi sono entrate in British Petroleum (quota dell’1% pagata quasi 2 miliardi), tre mesi dopo hanno speso 2,5 miliardi per la norvegese Awilco.
Nell’agosto 2008 il colosso statale indiano Ongc si è aggiudicato l’inglese Imperial Energy: 2,58 miliardi di dollari in contanti per 920 milioni di barili di riserve nei giacimenti di Siberia e Kazakhstan.
La Cina sta approfittando del calo del prezzo del petrolio per rimpinguare le sue riserve strategiche. Fonti occidentali stimano che siano aumentate di 25 milioni di barili dall’agosto 2008, il mese in cui cominciarono ad abbassarsi le quotazioni del greggio. Gli acquisti del governo di Pechino avrebbero contribuito a rallentare negli ultimi mesi la caduta del prezzo del barile.
Previsioni. L’Aie, agenzia per l’energia dell’Ocse: fra oggi e il 2015 il prezzo del barile sarà, in media, superiore ai 100 dollari; per il 2030 probabile un prezzo nominale di 200 dollari. Goldman Sachs un anno fa: 200 dollari al barile a fine 2008. Goldman Sachs oggi: intorno ai 45 dollari a fine 2009.
Chakib Khelil, presidente dell’Opec: «soddisfacente», per i Paesi produttori, un prezzo di 75 dollari al barile. Vagit Alekperov, capo della russa Lukoil: il prezzo «giusto» sta tra 70 e 90 dollari.
Picco della produzione globale di petrolio secondo i geologi: in un momento imprecisato tra il 2010 e il 2035. Uno studio effettuato dalla BP avverte invece che il petrolio globale pro capite ha già raggiunto il massimo nel 1979: da allora la quantità di greggio a disposizione di ogni essere umano ha iniziato a diminuire. I pozzi attualmente in produzione si esauriscono al ritmo di quasi il 7 per cento l’anno, declino destinato ad accelerare.
Riserve di greggio nel mondo: 1.237,9 miliardi di barili nel 2007 (il 61% in Medio Oriente). Riserve accertate sotto il suolo italiano: 840 milioni di barili.
A Calvello (Potenza) l’Eni ha cinque pozzi di petrolio. Non possono funzionare perché manca una firma della Regione per poter posare i tubi e portare il greggio verso il centro oli di Viggiano (stessa provincia, 24 chilometri di distanza). Per non mandare in malora tutto il giacimento, viene fatto funzionare a forza uno dei cinque pozzi; i 4 mila barili estratti ogni giorno vengono portati via con le autobotti.
Per la prima volta dal 1982-83, l’Aie prevede due anni consecutivi (il 2008 e il 2009) di contrazione della richiesta di greggio. A lungo termine la domanda globale di petrolio dovrebbe crescere fino al 2013 dell’1,2%, con una riduzione dello 0,4% l’anno per quanto riguarda le prime 30 economie. Entro il 2030 la produzione globale dovrà passare da 84 a 106 milioni di barili al giorno, molto di più di quanto gli stessi petrolieri ritengano possibile. Cristophe de Margerie, direttore generale di Total: «Oltre i 100 milioni di barili al giorno, dove dovremmo trovare tutto questo petrolio?».
Gennaio 2009: domanda Usa ai minimi termini, petrolio texano meno caro di quello del Mare del Nord. Giovedì 15 il Wti chiude in calo a 35,40 dollari al barile, il Brent resiste a 44,69. In giornata il divario si spinge fino a 10 dollari.
L’Aie non si aspetta che la produzione del greggio convenzionale aumenti più di 5 milioni di barili al giorno: il resto dovrà venire dai gas naturali liquidi (il gpl) e dalle sabbie bituminose (come quelle del Canada).
Nel mondo esiste un petrolio leggero che potrebbe reggere i 25 dollari al barile, e un petrolio pesante che ha bisogno di almeno 70 dollari per coprire le spese di ricerca, produzione e trasporto. Oggi la produzione del primo incide ancora per tre quarti sulla produzione mondiale, ma tra 10 anni questa percentuale scenderà al di sotto del 50%. Secondo il Cera (think-tank del premio Pulitzer Daniel Yergin), con l’attuale stato dei costi e della fiscalità e fissando un ritorno economico minimo del 15%, sono fuori mercato gli oli pesanti del Venezuela (114 dollari a barile), le sabbie canadesi (78-87), il petrolio nigeriano (78), le acque profonde americane (65), il Messico, il Regno Unito e il Brasile (tra 55 e 61 dollari). Resta conveniente l’estrazione del petrolio libico (42), cinese (28), dell’Arabia Saudita (21).
Il caso di Oilexco. Compagnia indipendente canadese nata nel 1994, nel 2004 ha aperto quattro nuove piattaforme al largo della Scozia che le consentono di estrarre, dal 2007, 30 mila barili al giorno. Il valore delle azioni della compagnia nel 2007 è decuplicato. Per finanziare il suo aggressivo piano di espansione l’azienda si è indebitata e ha venduto delle quote, ma con il blocco del credito in corso e con il prezzo del petrolio in picchiata, adesso rischia di fallire. In particolare, non riesce a trovare i soldi per finanziare i progetti di nuove estrazioni nel giacimento di Huntington, uno dei più grandi scoperti di recente in Europa, che potrebbe contenere 100 milioni di barili. Le sue azioni sono precipitate dell’80%.
Con il prezzo del barile
• sotto i 60 dollari: i nuovi progetti di estrazione verranno abbandonati (de Margerie). A rischio lo sfruttamento dei giacimenti offshore in Angola, Nigeria e Brasile, le scoperte più promettenti degli ultimi anni;
• sotto i 65 dollari: non sarebbe più conveniente per l’Italia il ricorso all’energia nucleare (studio del Cesi Ricerca); il bilancio dell’Arabia Saudita rischia di non poter sostenere tutte le spese programmate;
• sotto i 70 dollari: la bilancia commerciale russa ha molte probabilità di finire in rosso;
• sotto gli 81 dollari: l’Iran rischia di dover tagliare i trasferimenti agli sciiti iracheni, a Hezbollah in Libano e a Hamas a Gaza;
• sotto i 94 dollari: il Venezuela di Hugo Chávez rischia di non poter sostenere la spesa sociale, gli stipendi e gli aiuti a Paesi alleati come Cuba.
Il presidente Chávez nel 2007 ha nazionalizzato tutti i siti petroliferi venezuelani. Ora vorrebbe convincere alcune compagnie occidentali a sviluppare le risorse del Paese. Riserve stimate nell’area dell’Orinoco Belt: 235 miliardi di barili.
ConocoPhillips, terza compagnia petrolifera statunitense, nel 2009 taglierà del 18,3% le spese per nuovi giacimenti e del 4% la forza lavoro.
L’economista Jeremy Rifkin: tra 25 anni nell’Unione Europea l’energia rinnovabile (idrogeno, solare, eolica, biomasse) sarà la fonte energetica più importante, superando gas e petrolio.
«L’umanità deve prepararsi all’idea che l’era del petrolio prima o poi finirà; dobbiamo cercare altre fonti di energia. Ma per far questo occorrono investimenti colossali che il basso prezzo del petrolio blocca» (Vagit Alekperov).
Con un accordo del Consiglio europeo, ratificato dall’Europarlamento, l’Ue ha dato mandato agli Stati membri di portare le fonti rinnovabili a una quota del 20% dell’energia totale entro il 2020.
«Il problema degli Usa non è trivellare in Alaska, ma controllare un sistema di vita che non è sostenibile, è pazzo. Vivono con il golf in estate perché hanno l’aria condizionata al massimo e poi vogliono stare in maglietta in inverno con il riscaldamento al massimo. Non possono bruciare 26 barili pro capite all’anno mentre gli europei riescono a contenersi a 12» (Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni).
Gli Stati Uniti, con il 24,6% dei consumi sul totale, sono al primo posto nella domanda di petrolio (dato 2007, fonte World Oil and Gas Review).
Nel 2007 i paesi aderenti all’Opec hanno estratto il 42,6% del petrolio mondiale, con una leggera flessione rispetto all’anno precedente.
La Russia è il primo paese produttore di petrolio - con 488 milioni di tonnellate nel 2007, pari a circa il 12,1% della produzione mondiale - e il secondo esportatore, dopo l’Arabia Saudita. Nel 2008, per la prima volta in dieci anni, la produzione si è ridotta (dello 0,7%), soprattutto per il calo della domanda. Gli esperti prevedono una ulteriore diminuzione del 3,5-4% nel 2009.