Voce Arancio, 21/01/2009, 21 gennaio 2009
LUNGA VITA A STEVE JOBS
Steve Jobs
Da figlio dei fiori a guru dell’informatica
L’incredibile storia della Apple e del suo fondatore
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21/01/2009
Steve Jobs è l’uomo che ha progettato e lanciato il primo personal computer; che ha popolarizzato l’uso del mouse e delle stampanti laser mettendo sottosopra l’industria tipografica; che con l’iPod e il software iTunes ha trasformato il modo in cui ascoltiamo la musica e con cui possiamo vedere film e tv.
Fondatore nel 1976 della Apple, azienda di cui è adesso amministratore delegato, due anni fa Gene Munster, stimato analista di Piper Jaffray, stimò che senza di lui l’azienda avrebbe perso in borsa il 25 per cento.
Alle prese con seri problemi di salute, mercoledì 14 gennaio ha scritto a dipendenti e giornalisti per annunciare «sei mesi di congedo per motivi medici». Subito in tutto il mondo si è preso a parlare di una recidiva del tumore al pancreas per cui fu operato nel 2004.
Quello che adesso viene definito ”il primo paziente d’America” è nato a San Francisco il 24 febbraio 1955, figlio di un docente di scienze politiche siriano visiting professor in California e di una studentessa.
La madre pianificò per lui una vita in cui avrebbe dovuto andare al college, trovare un buon lavoro, avere i soldi: per questo non poteva rimanere con lei. Contattata una coppia ricca e piuttosto colta, trovò l’accordo sui soldi, sull’università, sugli studi, ma tutto andò a monte perché i due volevano una bambina. Steve finì così con i secondi della lista, Paul e Clara Jobs, due genitori non troppo benestanti e neanche laureati che vivevano in una villetta a Los Altos.
All’epoca la valle di Santa Clara non si chiamava ancora Silicon Valley e al posto delle aziende hi-tech c’erano frutteti.
Gli anni Settanta del giovane Steve furono fatti di psichedelia (con un moderato quanto, a suo dire, fondamentale uso di Lsd), controcultura, amore (fu brevemente legato alla cantante Joan Baez), spiritualità. Particolarmente importante fu un lungo viaggio in India.
«Tunica, sandali e testa rasata, visitò vari ashram. Fino a che un giorno, nel corso di un violento temporale, ebbe il suo momento di folgorazione spirituale non attraverso le parole di un vecchio saggio, ma osservando una scarica nel cielo. ”In quel momento realizzai”, raccontò anni dopo, ”che Thomas Edison aveva fatto di più per la civiltà che tutti i guru e tutte le religioni del mondo”» (Lorenzo Soria).
A 21 anni Jobs ebbe l’idea di creare un computer per le masse. In un ritrovo di hacker, lo Homebrew Computer Club, conobbe Steve Wozniak, studente di ingegneria a Berkeley che all’inizio degli anni Settanta si divertiva a costruire apparecchi-parassita per telefonare gratis in tutto il mondo. In breve Jobs lo convinse ad abbandonare un posto sicuro e ben pagato alla Hewlett-Packard.
La Apple, nome preso dalla casa di produzione dei Beatles (l’Apple Corps Project) nel cui simbolo fu aggiunto un morso (in inglese ”bite”, forse giocando con la parola ”byte”, l’unità di misura della memoria dei computer), nacque il primo aprile 1976. «Dopo il morso di Eva nel Giardino dell’Eden, dopo il frutto cascato in testa a Newton nel diciassettesimo secolo, il primo aprile 1976 è la terza volta che una mela ha rivoluzionato la storia umana», scherzano da allora i cervelli dell’azienda.
Per iniziare la sua avventura, Jobs vendette per 1.500 dollari il suo furgoncino Volkswagen. Aiutata dal multimilionario Mike Markkula, nel 1977 l’azienda mise sul mercato l’Apple II, il primo personal computer ad avere un successo popolare: il primo negozio a smerciarlo fu un ex rivenditore di videocassette porno, The Byte Shop su El Camino Real a Mountain View.
Eterno outsider disinteressato, vittima di un grave incidente, nel 1985 Wozniak (classe 1950) abbandonò l’impresa. Tra i due i rapporti non erano più quelli di una volta.
«Quando Michael Scott viene assunto come primo presidente dalla Apple perché c’è bisogno di un manager professionale, egli assegna a Woz il numero uno tra i tesserini d’identificazione dei dipendenti; Jobs furioso pretende e ottiene di essere il numero zero» (Federico Rampini).
Jobs non è un tecnico, non è un ingegnere, non è laureato, non è un programmatore, non è uno scienziato, non è un imprenditore e non è uno smanettatore come lo era Bill Gates.
« semplicemente un genio. Jobs ha cambiato il mondo della tecnologia con una rottura, con il marketing, con il design, con un’idea e riuscendo a creare attorno a un singolo prodotto una vera e propria identificazione sociale» (Claudio Cerasa)
L’analista Tim Bajarin: «A spingere Steve non è quasi mai il denaro, quello che conta, per lui, è una specie di ansia di cambiare il mondo».
Propenso a vedersi come un artista, «un acrobata del trapezio senza rete», Jobs mise la sua firma su slogan che fecero epoca: Insanely Great (pazzo e grandioso), Think Different (pensa diverso), Beyond the Box (fuori dalla scatola del conformismo).
Nel 1981 Ibm lanciò il suo personal computer. Apple comprò una pagina del Wall Street Journal per pubblicare questo annuncio: «Benvenuta Ibm. Davvero. Benvenuta nel mercato più importante e eccitante. Congratulazioni per il tuo primo personal computer» ecc. In privato Jobs si mostrò sprezzante: «La più grande azienda informatica del mondo ha creato un apparecchio che non regge il confronto con quello che noi producemmo nel garage di casa mia sei anni fa».
Jobs ordinò ai suoi collaboratori «un computer bello come una Porsche», portò i designer a visitare un’esposizione dell’arte Tiffany a San Francisco, reclutò lo scienziato-musicista Jef Raskin. Risultato: nel 1984 nacque il Macintosh, detto Mac, col quale Apple introdusse la prima versione di icone e finestre che sarebbero diventate universali col software Windows di Microsoft.
Il lancio del Mac passò alla storia. Lo spot pubblicitario firmato dal regista Ridley Scott (Blade Runner) andò in onda una sola volta, durante il SuperBowl, la finale del football americano: dei robot-schiavi con lo sguardo fisso su uno schermo gigante erano indottrinati dal Grande Fratello, accomunato all’establishment capitalistico Ibm. Una ragazza atletica prendeva la rincorsa scagliando un martello che frantumava lo schermo. Grazie a Apple, concludeva lo spot, «il 1984 non sarà il 1984 del romanzo di Orwell».
Nel 1985 Jobs, in disaccordo con l’amministratore delegato John Sculley, lasciò la Apple. Curiosamente, era stato proprio lui ad arruolare dalla Pepsi l’uomo che l’avrebbe licenziato: «Vuoi dedicare il resto della tua vita a vendere acqua zuccherata, o vuoi una chance di cambiare il mondo?», gli aveva detto per convincerlo a cambiare azienda.
Dopo il divorzio, Apple infilò un errore strategico dietro l’altro. Il più grave: non vendendo la licenza del software Mac, si condannò all’incompatibilità con altri sistemi e fu surclassata da Microsoft (Bill Gates) che impose Windows come standard mondiale.
Jobs mise su una nuova società e creò un altro prodotto, NeXT, che si trasformò in un flop clamoroso. La sua fortuna scese da 300 a 100 milioni di dollari.
Da sempre amante dei cartoni animati, si rifece acquistando da George Lucas (il regista di Guerre Stellari) la Pixar. Nel 1995 ottenne un contratto con la Disney per Toy Story, successo clamoroso cui seguì quello di A Bug’s Life.
Nel 1991, con una cerimonia officiata da un monaco buddista, sposò Laurene Powell, nove anni più giovane (ne avrebbe avuto tre figli, cui va aggiunta una figlia adottiva).
Nel 1996 la Apple, ormai sull’orlo della bancarotta, lo richiamò in servizio acquisendo la NeXT. Jobs accettò con la simbolica retribuzione di un dollaro l’anno.
Massimo Gaggi: «Si presentò con scarpe da ginnastica, pantaloni corti, la barba di alcuni giorni. Convocò i capi area con l’aria di uno che vuole continuare un lavoro lasciato a metà la sera prima, e chiese loro a bruciapelo: ”Cos’è che non funziona in questo posto?”. Alla seconda risposta impacciata interruppe l’interlocutore urlando: ”I prodotti! I prodotti non attirano, non sono sexy, fanno schifo!”».
Grazie al talento del designer Jonathan Ive, nacque il pc dell’era cool, l’iMac dalla forma di un uovo trasparente, oggetto di arredamento popolarissimo tra donne e teenager. Nel 2001 arrivò l’iPod, gadget contenitore di musica e canzoni immediatamente adottato da milioni di adolescenti, presto imitati dai genitori.
Nel 2006 Jobs vendette la Pixar alla Disney, di cui divenne grazie a quest’operazione primo azionista.
Nel 2007 arrivò l’iPhone, 12 milioni di esemplari venduti in 18 mesi, terzo posto nel mercato dei produttori di cellulari.
«Un lunedì mattina sono arrivato in ufficio e ho comunicato: ”Non mi piace. Non riesco a farmelo piacere. Ed è il prodotto più importante che abbiamo mai ideato”. Perciò siamo ripartiti da zero. Abbiamo rivisto il gran numero di modelli pensati e di idee. E alla fine abbiamo puntato sull’iPhone che potete vedere, di gran lunga il migliore. stata dura, siamo dovuti andare a dire ai ragazzi del gruppo: ”Dobbiamo buttare via tutto il lavoro che avete svolto in quest’ultimo anno e ricominciare da capo. E sarà necessario raddoppiare l’impegno, perché non abbiamo abbastanza tempo”. E sa cosa ci hanno risposto tutti? ”Siamo pronti”. Succede più spesso di quanto non si pensi, perché non si tratta solo di scienza e ingegneria. C’entra anche l’arte».
Fama di presuntuoso, geloso, irascibile, anche nella gestione dell’azienda Jobs è un tipo assai rude. Le sue sfuriate, a volte completate col lancio di oggetti, sono celebri.
«I dipendenti che gli devono presentare un prodotto vanno da lui come al patibolo sapendo che, se non lo approva, anche la loro carriera è probabilmente finita» (Gaggi).
Jobs: «Quando assumo personale per un livello molto elevato, il presupposto è la competenza: deve trattarsi di persone davvero intelligenti. Tuttavia, per quel che mi riguarda, il nodo è: si innamoreranno della Apple? Perché se si innamoreranno dell’azienda tutto il resto verrà da sé».
Dopo l’incredibile rinascita dell’ultimo decennio, Jobs è la Apple e la Apple è Jobs. Perciò quando nel 2004 si ammalò («i dottori mi dissero che si trattava di un cancro, che era quasi sicuramente di tipo incurabile. Sarei morto entro tre, al massimo sei mesi»), un hedge fund arrivò al punto di assumere alcuni investigatori per cercare di capire qualcosa sul suo stato di salute.
Nello scorso luglio, mentre i vertici dell’azienda rispondevano alle voci di nuovi problemi (e al -11% in Borsa) appellandosi alla privacy, Andrew Hargreaves, analista di Pacific Crest Securities, sintetizzò la posizione degli azionisti: «Qui sono in ballo milioni di dollari. La sua salute è una porzione importante di questi investimenti e se lui vuole che rimanga un fatto privato allora ritiri il titolo dai listini». Adesso si parla addirittura di un trapianto del fegato.
Fino al prossimo giugno i poteri di amministratore delegato verranno esercitati dal direttore generale della società, Tim Cook. Poi si vedrà. Ai ragazzi che lo considerano un semidio, Jobs ha già lasciato il suo epitaffio: ”Stay hungry, stay foolish” (rimanete affamati, rimanete folli).