Enrico Lenzi, Avvenire 22/1/2009, 22 gennaio 2009
E IN ITALIA MATRICOLE A SCUOLA DI SCRITTURA
Arrivare all’università e dover frequentare un corso di scrittura. Non per diventare scrittori, bensì per cimentarsi con la stesura della tesi di laurea. Paradossi del nostro sistema formativo e di un’intera società. Aumentano gli atenei che corrono ai ripari contro le conseguenze dei fenomeni di «regressione» nella capacità di scrittura. Complici gli esami orali o basati (sempre più spesso) su quiz o domande a risposta aperta di poche righe, l’esercizio della scrittura tra i giovani si riduce. E così può accadere che una matricola arrivi alla laurea senza avere mai scritto un testo lungo o articolato.
C’è poi il capitolo sms, i messaggini inviati con i cellulari. Il loro uso ha serie ripercussioni sulla scrittura dei nostri ragazzi. Le abbreviazioni utilizzate o la riscrittura di alcune parole degli sms fanno capolino negli elaborati scolastici. Il capitolo delle nuove tecnologie non è certo immune. Non solo influisce sulla lingua scritta, come dimostrano gli sms, ma crea degli «analfabeti tecnologici», cioè coloro che non sanno utilizzare questi strumenti. In questo le giovani generazioni appaiono avvantaggiate, a scapito di quelle più vecchie. Eppure la scrittura e la lettura sono fondamentali per utilizzarli.
In questo scenario si inserisce anche il fenomeno del vero analfabetismo. «Gli analfabeti sono sei milioni», denunciò tre anni fa l’Unione nazionale per la lotta contro l’analfabetismo (Unla), citando dati diffusi dall’Istat. «Al massimo raggiungiamo un milione», replicarono altri esperti del settore educativo. In effetti rispetto all’ultimo censimento svoltosi in Italia nel 2001, quasi sei milioni di concittadini risultavano privi di qualsiasi titolo di studio. Ma soltanto 782.342 persone sono analfabeti totali, cioè non sanno davvero leggere e scrivere. Gli altri 5 milioni, a dire il vero, comprendono anche 2 milioni e mezzo di bambini al di sotto dei 10 anni, che non hanno completato ancora la scuola elementare, il primo titolo di studio che un cittadino italiano ottiene nel percorso scolastico. Resta, in base a questi calcoli, circa un milione di persone prive di qualsiasi titolo di studio e con grandi difficoltà nel saper leggere e scrivere. E per la maggior parte si tratta di persone anziane.
Allarme ridimensionato, allora? Non proprio, anche se formalmente dal 1963 tutti i bambini e le bambine italiane devono andare a scuola fino alla terza media. Spesso si assiste al fenomeno dell’analfabetismo di ritorno. Non che le persone non sappiano totalmente leggere o scrivere, ma non riescono ad approcciare un testo e a comprenderlo esattamente, o scrivere un testo nel quale esprimere in modo corretto il proprio pensiero. E non parliamo solo di persone anziane. In alcune aree esistono ancora i fenomeni dell’evasione e dell’abbandono scolastico, spesso legato a percorsi formativi disastrosi o difficili. Ragazzi «fuggiti» dalla scuola, spesso per entrare nel mondo del lavoro, ma che pagano sul lungo periodo questa loro impreparazione, diventando l’anello debole del sistema produttivo privi anche degli strumenti necessari per un eventuale percorso di riqualificazione.