Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  gennaio 21 Mercoledì calendario

La sterlina è in caduta libera. In un anno la moneta inglese ha perso un quarto del suo valore rispetto all’euro e al dollaro, il 37% sullo Yen

La sterlina è in caduta libera. In un anno la moneta inglese ha perso un quarto del suo valore rispetto all’euro e al dollaro, il 37% sullo Yen. Quando ha esordito la moneta unica europea, il 1° gennaio 2002, servivano 60 centesimi di sterlina per comprare un euro; oggi ne servono 94. Il 30 dicembre 2008 la sterlina ha toccato il minimo storico rispetto all’euro, a quota 98 cent. Praticamente è in parità. La valuta inglese è adesso ai minimi rispetto al dollaro (0,72£ per 1$) e allo Yen (124,78Y per 1£). Solo questa settimana ha perso il 4,5% contro l’euro, 5,8% contro lo yen, il 6,1% sul dollaro. Dietro al crollo della moneta inglese ci sono i timori sulle prospettive economiche del Regno Unito. Come il resto d’Europa l’Inghilterra è in recessione, il Pil calerà del 2,8% e resterà in stagnazione l’anno prossimo. I conti pubblici sono particolarmente preoccupanti. Secondo le stime di Bruxelles il deficit inglese (il 4,6% del Pil nel 2008) salirà all’8,8% del Pil quest’anno, per arrivare al 9,6% nel 2010. L’anno scorso il debito pubblico del Regno Unito ha raggiunto i 697 miliardi di sterline, il 47,5% del Pil. Ci si aspetta che in quattro anni superi i 1.000 miliardi di sterline. Italian syle. ”Il leader conservatore David Cameron accusa Gordon Brown di aver causato il tracollo con la sua politica di spesa e indebitamento che ha definito «Italian style»” [5]. Colpa degli aiuti alle banche. I maggiori istituti di credito inglesi sono al tracollo. Questa settimana le azioni della Royal bank of Scotland sono cadute ancora dell’11% dopo aver bruciato il 67% lunedì. Lloyds Tsb ha chiuso giù del 31% [11]. A febbraio 2008 il governo ha messo a disposizione 11 miliardi per salvare Northern Rock. A dicembre ha concesso 20 miliardi di sterline per ricapitalizzare Royal Bank of Scotland e ha speso 17 miliardi per favorire la fusione tra Lloyds Tsb e Hbos. Il 19 gennaio 2009 il primo ministro Gordon Brown ha annunciato un altro pacchetto anticrisi da 55 miliardi di sterline: serviranno ad ”assicurare” i titoli tossici delle banche inglesi. Il governo ha anche ridotto i propri introiti tagliando temporaneamente la Vat (l’Iva inglese) dal 17,5 al 15% e ha impegnato 10 miliardi per sostenere le medie e le piccole imprese. Oltre a queste misure l’anno passato Londra si è finanziata emettendo titoli di stato per 71 miliardi di sterline (il 92% in più rispetto al 2007). ”Nessuno può immaginare a quanto arriverà il nostro deficit in un paio d’anni” [1]. I bilanci degli istituti di credito fanno particolarmente paura. ”Le banche inglesi hanno circa 4.000 miliardi di asset nei loro bilanci, equivalenti a 2 volte e mezzo il prodotto interno lordo. Se le perdite su questi asset accelerano, il salvataggio delle banche può trasformarsi in una crisi del debito pubblico. Gli investitori potrebbero chiedere rendimenti più alti per i bond inglesi, o rifiutarsi di acquistare i titoli di stato londinesi, provocando un’altra caduta della sterlina. Per ora non è andata così, ma nel mercato dei credit default swap il Regno Unito è considerato un debitore rischioso: peggiore della Francia, ai livelli della Spagna. Facciamo un’ipotesi: il governo britannico si assume il carico di tutti gli asset delle banche. Diciamo che un 15% di quei titoli non vale niente. La svalutazione sarebbe di 600 miliardi, un terzo del Pil. Il rapporto tra il debito e il Pil inglese, con le spese per il salvataggio delle banche ora programmate, è già circa al 54%. Con questi costi si raddoppierebbe rapidamente. Il Regno Unito sarebbe messo come il Belgio, la Grecia, l’Italia. Nessuno di essi ha un rating a tripla A. Molti investitori istituzionali sono tenuti a tenere in portafoglio solo titoli a tripla A, e quindi sarebbero costretti a vendere, come preso vedrà la Spagna, che ha perso la terza A da pochi giorni. La sterlina crollerebbe ulteriormente” [2]. In quanto economia più piccola, il Regno Unito è più vulnerabile alle fughe di capitale rispetto agli Usa. Alcuni osservatori non hanno paura di drammatizzare. Ad esempio Jim Rogers, presidente di Rogers Holdin e cofondatore del Quantum Fund, con George Soros. ”Vi consiglio di vendere ogni sterlina che avete. finita. Detesto dirlo, ma non metterò più nemmeno un centesimo nel Regno Unito”. Gli investitori si aspettano che sterlina e dollaro vadano in parità, qualcosa di mai visto, dal 1985. Anche i titoli a lunga scadenza inglesi soffrono rispetto a quelli americani ed europei. Nel mercato dei derivati del credito, il costo per assicurarsi contro un default inglese è ai massimi storici, a 133 punti base [3]. Gli inglesi si stanno accorgendo di essere, dal punto di vista industriale, un’economia inconsistente. Nella classifica delle 500 più grandi aziende del mondo per fatturato stilata ogni anno da Fortune, l’Inghilterra può vantarsi solo del 4° posto di British Petroleum. Dopo di lei tre banche oggi allo stremo: Hsbc (20° al mondo), Rbs (36°), Hbos (45°). Quindi aziende di servizi e utilities e commercio. Solo un’industria manifatturiera, dall’Inghilterra, tra le prime 500 aziende: Bae Industry, in 281° posizione. Il Regno Unito si sta facendo raggiungere e superare da altre nazioni. ”Oxford Economics, uno dei più rigorosi istituti specializzati in analisi e previsioni economiche, sostiene che nell’anno appena iniziato l’Italia genererà un reddito pro-capite superiore a quello dell’ Inghilterra che del resto, per effetto della più acuta recessione e della grande debolezza della sterlina, era già stata superata nel 2008 da Stati Uniti, Francia e Germania. Nella hit-parade delle sei maggiori potenze industriali del mondo capitalista, le cosiddette G6, anche il Giappone scalerà di posizioni e, al pari dell’ Italia, produrrà nel 2009 più ricchezza pro-capite del Regno Unito. Per la Gran Bretagna, il crollo è davvero spettacolare: nel 2007 era il Paese G6 con il prodotto lordo pro-capite più alto tra le massime potenze industriali dell’ Occidente: 45.970 dollari contro 45.830 degli Stati Uniti, 40.925 della Francia, 40.405 della Germania e 34.244 dell’ Italia. Nel 2008 – quando la sterlina ha perso un quarto del suo valore nei confronti del dollaro e dell’ euro - è stata retrocessa al quarto posto a quota 43.859 dollari dietro a Stati Uniti (46.993), Francia (45.088) e Germania (44.245). E le cose sembrano destinate a peggiorare ulteriormente nel 2009 quando, secondo gli studi del prestigioso istituto, la cifra di quell’ indicatore dovrebbe scendere a 35.243 dollari, addirittura inferiore del 7% a quello dell’Italia che per il 2008 vanta un reddito pro-capite di 39.641 dollari (superiore ai 38.692 del Giappone) [4]. Non è tutto. ”Per effetto della recessione e del crollo della sterlina l’Italia, secondo il Centre for Economics and Business Research, misurata in base al Pil ora è dietro solo del 6% rispetto al Regno Unito. E l’anno prossimo in base alle proiezioni la supererà di nuovo, come negli Anni 80 di Bettino Craxi [5]. Uno choc per molti inglesi. ”«Niente è più deprimente che dare un pacchetto di banconote all’ aeroporto prima di un viaggio e ricevere indietro una mazzetta più sottile», ha scritto nelle pagine di economia il Times in un linguaggio forse poco elevato ma sicuramente efficace. E nel declino c’ è molto di psicologico. I giornali avvertono i lettori che in queste condizioni «un weekend a Parigi può vuotarvi le tasche». Seguono tabelle: una cena per due l’ anno scorso a Parigi sarebbe costata in un bel bistrot 80 euro, vale a dire 58 sterline. Oggi servono 73 sterline. Una birra in un bar spagnolo è passata da 2,19 a 2,71 sterline (brutto affare, perché gli inglesi sono convinti che in Spagna faccia caldo anche in inverno e ingurgitano quantità industriali di cerveza). C’ è anche un esempio italiano: due biglietti per vedere il Milan a San Siro da 102 sterline a 126” [5]. Svalutare la sterlina porta anche qualche vantaggio alla City. ”La svalutazione è pericolosa solo se esistono una o più di queste tre condizioni: primo, la pressione inflazionistica, che verrà rafforzata dalla svalutazione con l’ aumento dei prezzi delle importazioni; secondo, un gran numero di aziende con ingenti debiti in valuta estera, perché la svalutazione renderà più difficili i pagamenti; e terzo, la difficoltà nel persuadere la gente ad acquistare i buoni del tesoro nazionali, perché in questo caso la svalutazione farà salire i rendimenti dei titoli, aggravando l’ indebitamento dello Stato. Gli inglesi, al momento, non si preoccupano della parità con l’euro perché non sussiste nessuna di queste tre condizioni [6]. Tanto che a Bruxelles questo deprezzamento non piace molto. ”Anziché infliggere scossoni all’economia, è più probabile che la svalutazione della sterlina scateni tensioni politiche all’ interno dell’ Unione, perché potrebbe apparire come il tentativo della Gran Bretagna di approfittare della situazione a spese dell’ Europa. Il ministro delle finanze tedesco, Peer Steinbrueck, ha criticato Gordon Brown all’ inizio del mese per il «volgare keynesianismo» del suo piano fiscale. Il vero bersaglio era forse la svalutazione britannica, che ha fatto seguito al piano. E se questa funzionerà, diversi Paesi dell’eurozona, come Italia e Spagna, rimpiangeranno di non poter svalutare anch’essi. E accresceranno le pressioni sulla Germania, affinché elargisca generosi incentivi all’economia per far ripartire la domanda, tirando in salvo le economie europee [6]. Qualcuno vorrebbe che Londra decidesse di entrare nell’euro. ”Per la prima volta da quando è sorta l’ euro-zona, in questo Paese si sentono voci favorevoli all’ adozione della moneta comune europea. Simbolo dell’ orgogliosa diversità britannica, icona dell’ euroscetticismo, la sterlina potrebbe essersi avviata sul viale del tramonto. Beninteso, ci vorrà tempo prima che ciò accada; e forse da solo lo scorrere del tempo non basterà, saranno necessari anche altri traumi economici, più pesanti di quelli che la Gran Bretagna ha sofferto finora [7]. ”«Restare fuori dall’ euro vuol dire che la Gran Bretagna sarà esclusa in pratica da più profonde consultazioni economiche, in aree di significativo interesse nazionale», ha concordato un dibattito tra esperti alla prestigiosa Chatam House. «Non abbiamo mai avuto tanto bisogno di far parte dell’ Europa come ora di fronte a questa crisi mondiale», si è schierato senza mezzi termini il quotidiano Independent. Più chiaro di tutti ha parlato José Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea: «La Gran Bretagna è più vicina che mai all’adesione all’euro», ha dichiarato in una conferenza stampa. «La recessione ha indebolito la fiducia nella sterlina. So che la maggioranza dell’ opinione pubblica britannica resta contraria a entrare nell’ euro-zona, ma è cominciato un periodo di considerazione di una simile prospettiva e le persone che contano, a Londra, ci stanno pensando seriamente»” [7]. Un progetto che piaceva molto a Tony Blair, meno a Gordon Brown. ”Quando Tony Blair diventò primo ministro, nel 1997, uno dei suoi obiettivi principali era «portare la Gran Bretagna in Europa»: cioè fare di questo Paese, ancora scioccato dalla perdita dell’impero e dello status di superpotenza, un membro a pieno titolo dell’ Unione Europea. Era venuto il momento di ribaltare, credeva Blair, il vecchio atteggiamento riassunto dalla nota barzelletta: «Nebbia sulla Manica, il continente isolato». Era Londra a rischiare di sentirsi isolata, secondo Blair, se non si univa completamente all’ Europa, magari con l’ ambizione di diventarne leader. Circolava uno scenario, in quegli anni, nelle diplomazie continentali: il Regno Unito avrebbe adottato l’ euro; e il loro premier, il più filo-europeo che questo paese abbia mai avuto, sarebbe diventato prima o poi presidente degli Stati Uniti d’ Europa. Il Clinton europeo. Ma Blair ha dovuto rinunciare al progetto. Non ebbe il coraggio di indire un referendum sull’ euro nel suo primo mandato, quando forse avrebbe potuto vincerlo sulle ali dell’ entusiasmo che riscuoteva in patria; poi nel 2003 le polemiche sulla guerra in Iraq hanno rapidamente consumato il suo capitale politico, e a quel punto non lo avrebbe seguito più nessuno. Del resto il boom economico degli anni del blairismo, quando la Gran Bretagna venne ribattezzata «Cool Britannia», ovvero una Britannia fresca, nuova, trendy, vincente, diventava il primo ostacolo a ogni passo verso l’ euro. Il primo a raffreddare gli entusiasmi di Blair per l’euro, oltretutto, era il suo ministro delle Finanze e "vice" impaziente di prendergli il posto, Gordon Brown, che stabilì cinque criteri per l’ adozione della moneta europea: condizioni al momento irrealizzabili, che chiudevano il discorso [7]. Brown è contrario anche oggi, ma il governo non è proprio compatto. ”«La sterlina continuerà a esistere, quest’ anno, l’ anno prossimo e quello dopo», ha detto Gordon Brown in tivù. Ma il ministro per le Attività produttive, Peter Mandelson, dalle indiscrezioni indicato come una delle «persone che contano» a cui allude Barroso, ha confermato esplicitamente le rivelazioni del presidente della Commissione Europea: «Rimango dell’ idea che il nostro obiettivo debba essere l’ adesione alla moneta unica europea». I tabloid popolari e il partito conservatore sparano a zero, accusando l’uomo soprannominato «il principe delle tenebre» di tessere un complotto per imporre l’euro alla Gran Bretagna con una specie di golpe. Mandelson, pur essendo il più eurofilo dei politici britannici, non prepara certo nulla del genere. Ma l’ ex-braccio destro di Blair è ora anche il braccio destro di Brown, per venire in soccorso del quale ha abbandonato anzitempo il posto di commissario europeo al Commercio. Insomma, non accadrà in un anno elettorale (il voto è previsto nel 2009 o nel 2010) e molto dipende da come la Gran Bretagna uscirà dalla crisi, ma l’impensabile comincia perlomeno a diventare possibile. Forse un giorno il Regno Unito entrerà davvero in Europa [7]. Anche il capo dei Liberal Democrat Nick Clegg ha spiegato che l’Inghilterra deve prepararsi entrare nell’euro per salvare le finanze pubbliche ed evitare il ”declino permanente” della City [8]. Al popolo inglese l’euro non piace. ”Non ne vogliono sapere. Neppure il crollo della sterlina ha reso i britannici meglio disposti nei confronti della valuta della Ue: il 71% degli inglesi non vuole saperne di gettare alle ortiche la moneta nazionale a favore di quella europea, secondo un sondaggio realizzato dall’istituto demoscopico Icm per la Bbc. I dati parlano chiaro: soltanto il 23% dei britannici intervistati tra il 19 e 21 dicembre per il sondaggio si è detto favorevole all’abbandono della sterlina” [8]. Un’inchiesta condotta dal Financial Times pochi giorni dopo ha confermato la tendenza: voleva l’euro un inglese su cinque [10]. In ogni caso oggi l’Inghilterra l’euro non potrebbe averlo. Per entrare nella moneta unica bisogna rispettare i cosiddetti ”parametri di convergenza” fissati dal Trattato di Maastricht. Criteri che prevedono: 1) Stabilità dei prezzi: l’inflazione dei prezzi al consumo non deve superare dell’1,5% la media dei tre Paesi ad inflazione più bassa. 2) Sostenibilità della posizione finanziaria pubblica: il Paese non deve avere un disavanzo giudicato "eccessivo". Cioè il rapporto deficit-Pil non deve superare la soglia del 3%, a meno che il rapporto non sia diminuito in maniera sostanziale e continua e abbia raggiunto un livello che si avvicina alla soglia, oppure il superamento della soglia sia solo eccezionale e temporaneo e il rapporto resti vicino alla soglia stessa. 3) Il rapporto tra il Debito pubblico e il Prodotto interno lordo non deve superare la soglia del 60%, a meno che il rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini alla soglia con ritmo adeguato. 4) Stabilità del cambio: il Paese deve rispettare i normali margini di fluttuazione degli Accordi europei di cambio del Sistema monetario europeo (SME) senza gravi tensioni per almeno due anni prima dell’esame e non deve avere svalutato di sua iniziativa la propria valuta nell’ambito dell’accordo di cambio dello SME. Per il punto 1 il Regno Unito potrebbe starci (l’inflazione è stata del 3,4% nel 2008, dovrebbe rallentare allo 0,1% nel 2009 e risalire solo fino all’1,1% nel 2010). Ma, come visto prima, è lontanissimo dal secondo obiettivo, quello del deficit-Pil, e si appresta a sfondare la quota del 60% nel rapporto debito-Pil. Per non parlare della impressionante volatilità del cambio. [1] Angela Monaghan, Telegraph, 21 gennaio 2009 [2] Jim Pickard, Financial Time Westminster blog, 20 gennaio 2009 [3 ]Chrisl Gilles e Paul Davies, Financial Times, 21 gennaio 2009 [4] Cinzia Sasso, la Repubblica, 3 gennaio 2009 [5] Guido Santevecchi, il Corriere della Sera, 16 dicembre 2008 [6] Bill Emmot, il Corriere della Sera, 21 gennaio 2009 [7] Enrico Franceschini, la Repubblica, 4 gennaio 2009 [8] Il Giornale, 1 gennaio 2009 [9] Alex Barker and George Parker, Financial Times, 20 gennaio 2009 [10] Ralph Atkins, Financial Times, 29 dicembre 2008 [11] Guido Santevecchi, Corriere della Sera, 21 gennaio 2009